THE MAGAZINE OF THOUGHTS, DREAMS, IMAGES THAT PASS THROUGH EVERY ART OF DOING, SEEING, DISCOVERING

03 December 2013

Biennale - Arte 2013 chiude in bellezza.Outsiders all'opera nell'Encicolopedico Serenissimo Palazzo.





L'Enciclopedico Serenissimo Palazzo 
chiude il suo illuministico percorso 2013



Con questa 55a edizione le arti visive contemporanee 
di Biennale Arte Venezia compiono una pausa di riflessione
entusiasmando il pubblico con l'opera di outsiders 




 Cosa ci lascia questa Biennale 2013 ?



Massimiliano Gioni, curatore dell'edizione, apre la sua Biennale 2013 con due curiosità: la prima rappresentata dal Palazzo Enciclopedico di Marino Auriti, luogo di una ideale concentrazione di saperi per una conoscdenza universale, nel cui luogo fisico, costituito da un palazzo alto 7oo metri (il cui modellino è nella foto sotto al titolo, realizzato nel 1955) verrebbero ospitate le collezioni e le creazioni di ogni artista, scienziato, scrittore che vi volesse contribuire. La seconda dalla esposizione delle tavole del manoscritto illustrato di Carl Gustav Jung realizzate in 16 anni di costante lavoro. Le due opere introduttive danno inizio, sulla base dei loro distinti schemi logici, alla messa in mostra di una serie di opere o più complesse istallazioni alle quali artisti di fama d'inizio novecento e semplici giovani creativi contemporanei hanno lavorato, con spirito collezionistico entro la logica delle wunderkammers, all'idea di cumulare conoscenza studiando la natura e riflettendo sulle tecniche dell'informazione.




Sotto al titolo: Marinio Auriti (1891-1980), abruzzese d'origine, critico nei confronti del fascismo, si trasferì con la famiglia prima in Brasile e poi negli Stati Uniti ove si guadagnò da vivere prima come carroziere e poi come commerciante di cornici, realizzò il suo modello architettonico di un museo immaginario, una volta in pensione. Il Palazzo Enciclopedico del mondo, che avrebbe ospitato tutte le conquiste dell'umanità, dalla ruota al satellite, dai più antichi manufastti alle avanguardie artistiche fi probabilmente l'idea che lo impegnò maggiormente nel corso della sua vita. Il complesso, che Auriti sperava di poter realizzare sul National Mall di Washington, sarebbe stato il più alto della sua epoca ad avrebbe occupato 16 isolati includendo una piazza punteggiata da statue di uomini e donne illustri. Auriti era talmente convinto della genialità del suo progetto che nel 1955 richiese un brevetto per il Palazzo e cercò invano i fondi per realizzarlo. Fu esposto una volta in una banca di Filadelfia. Il suo autore non riuscì a realizzare il suo sogno, ma il suo spirito visionario fu simile a quella di molti architetti del suo tempo. Il suo palazzo restò una estrosa testimonianza dell'eterno impulso enciclopedico dell'umanità.

Qui sopra alcune delle tavole dipinte a mano da Carl Gustav Jung nel suo libro Rosso. Trattasi di disegni a colori di piccola dimensione, ispirate ai suoi sogni, ai quali egli lavorò per oltre 16 anni della sua vita.


Ogni artista, insider o outsider che sia (ma soprattutto quest'ultimo) consegna al mondo il proprio immaginario interiore, che qui vediamo sopratutto nei termini di un confronto tra mondi, che permette di far emergere la complessità, ma anche una più nitida definizione, del prodotto creativo quale risvolto onirico personale. E' quindi, quella di questa edizione, una volontaria pausa di  riflessione sulla realtà delle immagini che ci circondano, che punta a rifondare l'operato dell'artista, piuttosto che inseguirne indefinitamente quelle novità ad ogni costo, che i mostri sacri ingaggiano allinseguimento del massimo stupore.



Roger Caillois, nato a Reims nel 1913, fu scrittore, sociologo e antropologo, critico letterario francese. Ha fondato nel 1952 la rivista Diogéne, di ispirazione internazionalista e pluridisciplinare. Si trasferì in Argentina, ove rimase alcuni anni e, durante la guerra, fu impegnato antinazista. Affascinato dal mondo minerale, dedicò molte sue opere alla gemmologia, della qualòe fu anche un appassionato collezionista. Inserito nella mostra da Gioni per dare forza alla sua tesi secondo la quale il collezionismo è cultura enciclopedica, specie quando alle sue strutture logiche ed estetiche si richiamano opere letterarie, artistiche, musicali, filosofiche. Nella biografia di Caillois egli vi ha scorto un forte legame tra misticismo e collezionismo gennologico, così dando visione, in mostra, di uno dei numerosi aspetti cui si richiamano le arti contemporanee in fase di profonda riflessione, circa il proprio ruolo nella società e nella cultra, e quindi anche circa i propri territori di germinazione ideale.


E' così che, dalle fantasie di Auriti ai sogni dipinti a mano da Jung in persona, la mostra evolve nella duplice esposizione delle raccolte compiute dal curatore, per dare corpo alla sua personale interpretazione delle cataloganti wunderkammers personali di artisti noti e meno noti invitati da tutto il mondo (molti sono infatti i paesi del mondo alla loro prima partecipazione (tra cui molti paesi africani, asiatici e dell'America latina), e degli artisti chiamati ai singoli paesi a rappresentarne le medesime istanze).




Roberto Cuoghi, nato a Modena nel1973, espone "Belinda" (2013), organismo che manifestamente parla di ibridazioni e metamorfosi. La storia dell'artista è incentrata attorno ai temi che egli stesso ora agisce nella sua opera. Egli, ad un certo punto della sua vita che poco gli arrideva, si volle trasformare nella figura di suo padre: volle ingrassare, mettere i suoi vestiti, farsi crescere una lunga barba, tingersi di bianco i capelli, comportarsi come lui. Questo suo volersi allontanare dalla giovinezza durò fino alla morte del padre. La sua opera d'artista, generalmente consistente in sculture, aggregati di diversi materiali di enormi diomensioni ed espresse in forna d'istallazioni, è frutto di studi ossessivi da lui condotti ove si concentrano i suoi interessi: nel 2006 ad esempio, dopo aver studiato il linguaggio e i rituali assiri, ha scolpito la gigantesca riproduzione di una statuetta talismanica, con un lamento di sottofondo suonato con strumenti realizzati a mano dallo stesso artista. Ber Biennale 2013 "Belinda" è una gigantesca struttura che richiama il principio combinatorio delle catene proteiche, attraverso una analisi dettagliata del mondo naturali con uno sguardo interpretativo tutto personale del microcosmo.





Enrico Baj, 1924-2003 è stato un esuberante iconoclasta, irriverente ed eterodosso negli impegni politici come nell'approccio all'arte. Nel 1951, con l'artista Sergio Dangelo, ha fondato il movimento dell'Arte Nucleare che ripudiava il conformismo dominante in campo artistico e politico, influenzato da André Breton e Max Ernst. Baj ha continuato la tradizione surrealista lavorando con sregolatezza infantile e sfidando continuamente ogni categorizzazione con un approccio libero, socialmente impegnato, insofferente ad ogni forma di autorità. Negli anni '60 Baj ha dato avvio alla produzione della serie Dame, stravaganti ritratti di donne realizzate con collages e assemblaggi con lo sfondo di una tappezzeria. Ogni figura è composta da strati di materiali da "cestino di cucito", bottoni, passamaneria, broccato, nappe e nastrini colorati. Le rappresentazioni primitive e a volte comiche della forma umana sembrano marionette fatte a mano. Con le sue Dame Baj finì per irridere all'avanguardia stessa alla quale partecipava, ottenendo effetti comici, ma a volte anche risultati inquietanti, giungendo a disinnescarne gli intrinseci effetti.


Taccuini Internazionali, che segue da tempo l'evoluzione dei principali fenomeni artistici a livello mondiale, ne presenta qui solo alcuni, compiendo una selezione del tutto soggettiva,  anche per l'impossibilità di dare conto dell'immensa quantità di materiale di grande valore, che ha riempito quest'anno le sale sia dei Giardini che dell'Arsenale. E' quindi solo per mancanza di spazio che mostriamo l'opera di una decina di artisti, e non di più.




Eva Kotatkova, Praga 1982, prende in esame le istituzioni e i sistemi disciplinari in esse praticati, dalla scuola alle carceri, riflettendo sui modi in cui esse determinano il comportamento umano. Utilizzando i suoi personali ricordi lei indaga, con approccio che è stato definito "archeologico" i meccanismi di inclusione ed esclusuione narrando quanto accade negli ospedali psichiatrici e negli ospedali. Le gabbie, le barriere, gli ostacoli sono visti da lei come modi per imprigionare e costringere, provocando comportamenti indotti. Le sue istallazioni sono un collages di fantasie e di realtà totalizzanti, assieme. In queste foto è la sua "Re.education - machine!, del 2011. Ciò che accade alla scolaresca sono accadimenti da camera di tortura: ciò che nasce per insegnare ed educare può ttrasformarsi in una congegno per fare propaganda indottrinante. Nel suo lavoro i collages diventano rappresentazioni surrealistiche in cui il materiale educativo diventa un ibrido uomo-macchina.







All'interno del padiglione francese (traslocatosi provvisoriamente in quello tedesco per ragioni logistiche) "Ravel Ravel Unravel" è una stupenda istallazione realizzata su progetto di Anri Sala, incentrata sulla nota vicenda dell'infortunio occorso nel 1930 al grande musicista francese, tradottosi in musica (e assai ben descritto nella biografia romanzata "Ravel" di Jean Echenoz, edito da Adelphi).
Il "Concerto per la Mano Sinistra" per pianoforte e orchestra fu infatti il risultato di un disturbo mentale del suo autore che lo realizzò con non poca enfasi partecipativa per l'amico Paul Wittgenstein (fratello maggiore del filosofo Ludwig Wittgenstein), a sua volta limitato dalla perdita avvenuta nel corso dell'ultima guerra mondiale del braccio destro. Il concerto, che fu commissionato a Ravel nel 1929, dallo stesso Paul, la cui drammatica potenza sonora e vigore timbrico sono le sue qualità meglio note al pubblico, diviene oggetto di interesse per l'artista-curatrice dell'istallazione, che comprende tre sale acustiche (una maggiore al centro e due minori ai lati), potentementer trattata sotto il profilo acustico quella centrale, nelle quali vengono proiettate e trasmesse in simultanea due distinte registrazioni (visive e acustiche) delle principali fasi dello spartito ravelliano. Il risultato accende ancor più la già potente partituta, rinvigorendone i passaggi pi drammatici, mentre la pellicola registra a volte la scattante e vigorosa azione della mano sinistra, ed a volte la inattiva, passiva, devitalizzata, dimenticata destra dei due esecutori.




Il minuzioso lavoro di descrizione e l'atteggiamento collezionistico di Evgenij Kozlov, nato in Russia nel 1955, qui rappresentato dall'esposizione delle pagine del suo "Leningrad Album (1967-73), sfocia in quello che egli stesso ha definito: "Il nostro libro più caro, dedicato a tutti i giovani e agli uomini del mondo del XXI, XXVI e LXIV secolo", una raccoltra di oltre 250 disegni ad inchiostro realizzati dall'artista tra i 12 e i 18 anni. L'album è stato avviato un giorno della fine degli anni '60, a Leningrado, da quello che poteva essere considerato "un giovane, forse aiutato da un amico, molto sensibile e dotato, sicuramente predisposto per l'arte, che ha immaginato in che modo le ragazze migliori, da un punto di vista mentale, intellettuale ed estetico, avrebbero potuto sognarlo, e non solo questo.." L'erotismo acceso ma innocente di Kozlov è ispirato, oltre che dalla sua febbrile immaginazione, anche dalla obbligata promiscuità dei  "Kommunaika", gli appartamenti che in Unione Sovietica a quell'epoca venivano condivisi da più famiglie, nei quali egli stava crescendo. Poichè la madre del ragazzo portava altre ragazze nel locale accanto a quello ove viveva, ove c'era una sauna, egli ne udiva ed intuiva i movimenti di svestizione e vestizione, oltre ad atti sessuali dpogni tipo. Il risveglio sessuale del ragazzo amplificava le fantasie erotiche che lo coglievano sino a catalogarne, con ampia documentazione anche scritta degli accadimenti, i contenuti, in disegni molto espliciti, inquietanti e teneramente ingenui, mettendo a nudo intime fantasie attraverso il suo alter-ego virile. L'album costituisce una miscela di realtà e immaginazione, ricettacolo di desideri personali e documento delle loro prime manifestazioni, il diario di una incredibile fuga dell'immaginazione.



Imran Qureshi, nato nel 1972 a Hyderabad, Pakistan, ha imparato la tecnica della miniatura moghul al National College of Art di Lahore. ove, negli anni ottanta del Novecento, si assistette ad un revival di questa antica pratica artistica, tradizionalmente riservato alla raffigurazione di icone religiose, battaglie militari e vita di corte, che aveva visto nel Cinquecento e Seicento la sua massima fioritura. Le miniature a gouache di Qureshi, venate di ironia e soffuse di tenerezza, sfruttano e al tempo stesso mettono in discussione le caratteristiche tipiche di questo stile, ampliandone le possibilità espressive: simboli del Pakistasn odierno compaiono all'interno di paesaggi ordinatissimi ed idilliaci, incorniciati da bordi delicatamente dorati, e sembrano cogliere i paradossi del Pakistan contemporaneo, integrando la vita quotidiana attuale in un mondo pervaso di costumi tradizionali. Nella serie rapporesentata dalle miniature qui sopra riportate "Moderate Enlightenment" (illuminazione moderata, 1006-09) diversi personaggi sono impegnati in innocui passatempi, o in realtà quotidiane: portano borse per la spesa, sollevano pesi, oppure si soffiano l'un l'altro bolle di sapone. I protagonisti indossano borse a tracolla e canottiere, oppure hijab con calze a motivo mimetico, tali curiosi personaggi, facenti parte d'un mondo presente, sono stagliati su fondi riccamente decorati. Essi, utilizzando ma al contempo sfidando lo stile moghul della tradizione, sembrano opporsi ai preconcetti occidentali del mondo islamico, come fossero raggiunti da una luce conoscitiva illuminante, pur restando a contatto col reale.



Domenico Gnoli, 1933-70, Roma (Italia), era nato, come lui stesso affermava, "in mezzo all'arte" (madre ceramista e padre storico dell'arte) e la carriera di pittore gli era stata prospettata fin da piccolo "come l'unica possibile". L'amore che nutriva per l'artigianato lo condusse a lavorare come scenografo, anche se la sua indole itinerante e anticonformista lo fece diventare illustratore, professione che lo vide attivo in pubblicazioni internazionali ed in volumi di narrativa e di poesia. Dagli anni '60 la sua pittura si concentrò su particolari sempre più minuscoli, quali indumenti, capelli, mobili ed oggetti che lo ossessionarioni per quell'aura di soprannaturale che possedevano. Una eccezione è costituita dalla serie di disegni intitolata "What is a monster?"(1967), bestiario estroso pubblicato per Horizon accanto ai testi del poeta Robert Graves. Colte dal brulicante mondo onorico di Hieronymus Bosch e dei surrealisti queste opere presentano una quantità enorme di creature viventi che abitano tra oggetti di erredo quali quelli che Gnoli utilizza quotidianamente, vasche da bagno, divani, sedie, scrivanie, divenendo veri e propri oggetti d'una fantastica raccolta di simboili e di sogni.




L'artista italiana Marisa Merz (1931) è figura al contempo centrale e isolata del panorama artistico del dopoguerra. Divenne famosa aderendo  (unica donna del gruppo) al Movimento dell'Arte Povera, negli anni sessanta e settanta. L'interiorità è tema costante nella sua opera. Nel 1975 fece una personale, presso l'Attico di Roma, dal titolo "Ad occhi chiusi gli occhi sono straordinariamente aperti". Arte e vita sono per lei un unicum indissolubile, tanto che è anche accaduto che allestisse le sue mostre tra le sue stesse pareti domestiche, coinvolgendo in esse ogni genere di materiale tra i più comuni. Molti furono i suoi autoritratti, e costante il suo interesse per il mondo femminile.




Nel Padiglione degli Stati Uniti d'America sono Sarah Sze (l'artista), Holly Bloch e Carey Lovelace (artista e curatrici-commissari), che realizzano "Triple Point", e che, nel video qui sotto,  illustrano e spiegano valenze e significati dell'istallazione.  La complessità segnica e simbolica dell'insieme, costituito da foglie, pietre, cartoline, nastri colorati, bottiglie, libri, bicchieri, peraltro strabordante anche all'esterno dell'edificio per interessare ampia parte dei giardini, rappresenta una galassia di oggetti che compone un ricchissimo microcosmo, delicato, babelico, colorato. Nonostante la presenza costante di strumenti di misura, di livelle, di compassi, di teodoliti, lungi dall'essere perfetto l’universo molteplice di "Triple Point" s’ispira (apparentemente) al principio di casualità più che a un geometrismo ostinato; contempla falle e difetti, a scapito dell’esattezza matematica dell’insieme. Sarah Sze riproduce un mondo reduce da una deflagrazione cosmica: è quel che resta di un antico ordine astrale. 
 




Il titolo della mostra allude a una nozione di termodinamica: il punto triplo è il momento in cui coesistono le diverse fasi di aggregazione di una sostanza – gli stati solido, liquido e gassoso. Si tratta di un equilibrio precario e destinato a incrinarsi; una sorta di campionario temporaneo delle varie conformazioni che può assumere la materia. "Triple Point" richiama, nella disposizione degli oggetti, una specie di catalogo pseudo-scientifico. Assomiglia a una bizzarra camera delle meraviglie, colma di oggetti di poco pregio che compongono strambe costellazioni galattiche. Una summa del mondo soggettiva, incompleta, immaginifica. Un equivalente visuale del Voyager Golden Record, l’archivio terrestre di suoni, immagini e parole lanciato nello spazio nel 1977. Proprio come quest’ultimo, il lavoro di Sarah Sze costituisce un curioso inventario del nostro mondo – ma concepito per noi, i suoi abitanti, più che per forme di vita extraterrestri.



"English Magic" di Jeremy Deller, 1966, si intitola la complessa e varia istallazione che l'artista britannico ha concepito per il padiglione del suo Paese in Biennale 2013. Essa espone una eterogenea  serie di riflessioni sul tema del folclore e della storia socio-politica e culturale del Paese, a partire dai suoi simboli e dalle sue icone, le radici stesse della sua arte in rapporto con i suoi materiali. Attraverso una narrazione quasi psichedelica, oscillante tra realtà e finzione, tra verità e immaginazione, l'artista coglie in perfetto equilibrio quanto proviene sia dai fatti più popolari che dai più raffinati ambienti dell'alta società, mescolandone gli effetti in una visione contemporanea. L'artista raccoglie ricordi, documenti, fatti storicamente accaduti ma anche loro proiezioni al futuro, per raggiungere un effetto d'assieme sul quale riflette ed invita a riflettere, in cui fanno anche la loro bella presenza: una veranda sui giardini nella quale viene servita al pubblico la bevanda nazionale, il thè, ed un pannello ceramico con motivi floreali realizzato da William Morris nel 1876.





La Svizzera è stata rappresentata quest'anno dal pittore Jean-Fréderic Schnyder, nato nel 1045 a Basilea. A partire dalla sua appartenenza al movimento dell'Arte Concettuale Schnyder frequenta con ironia tutti gli elementi dell'arte popolare svizzera, ripetendoli tanto frequentemente da riuscire a volte a ribaltarne il senso, conferendo loro una importanza del tutto sproporzionata rispetto a quella che la realtà loro riserva. Alcune sue serie famose, tra cui i 90 dipinti di sale d'aspetto di stazioni ferroviarie o le 119 miniature di autostrade svizzere viste dai cavalcavia, capovolgono lo stereotipo della svizzera pittoresca e bucolica. Il tema religioso è dall'artista frequentato con sapienza tecnica ed ironia naif, con esuberante disinvoltura e sarcastico paradosso così da ottenere effetti stridenti e fintamente ingenui. Nel grande arazzi qui raffigurato, "Apocalypso" (olio, fibra e acquerello su lino, 1976-78) la danza macabra di tradizione medievale viene trasformata dall'artista in un paesaggio allucinato, tra visioni idilliache e tramonti da Club Med. Nel dipinto, pure qui rappresentato, "Ein Freund" (un amico), il diavolo vestito elegantemente, si riscalda davanti a un improvvisato falò in una anonima periferia urbana.





Thierry De Cordier, 1954, Ronse (Belgio, Studi sul "Mare del Nord" (2011-13. L'autore di questi quadri marini è assieme piottore, e scultore, filosofo e uomo di spettacolo, scrittore e poeta. Il giovane artista, dall'esistenza nomade dedicata a riflettere sull'architettura come causa del modo di interagire degli individui, ha visto il giardino della propria casa come una metafora del mondo. Egli è un esistenzialista che cerca di vedere il mondo attraverso la propria esperienza. Il suo lavoro è una ricerca di relazioni che gli servono a meglio interpretare la realtà sociale. Nel suo lavoro l'infinitamente piccolo interagisce con l'infinitamente grande, in una relazione che è riflesso organico della sua psiche. La sua pittura si ispira a quiella cinese tra il 17 e il 18 secolo. Il bianco e nero, presente anche in quella pittura, consente un interpretazione più vera dei paesaggi desolati, delle montagne e dei paesaggi marini nei quali meglo egli si identifica. Nei mari del Nord egli sperimenta la forza della natura quando le grandi masse d'acqua marina durante tempeste e maremoti diventano montagne.




J.D. 'Okhai Ojeikere, Nigeria, 1930 è artista centro africano ormai molto anziano. La sua passione per la fotografia è nata in lui quando ha compiuto 20 anni, ed incominciò a fotografare di tutto con la sua economica Brownie D.  Come fotografo lavorò per il Ministero dell'informazione nella città di Ibadan fono alla proclamazione di indipendenza del suo Paese. dal 1960 incominciò la sua collaborazione fissa con la televisione africana NTV. La sua passione personale per la fotografia documentativa lo portò a sviluppare, più di quanto fecero i suoi colleghi, gli aspetti estetici ed un certo individualismo  lo formarono come artista. Le serie più note e pubblicate dei suoi reportages sono quelli che ritraggono le donne nigeriane con le loro stravaganti acconciature tradizionali, interpretate e modificate a seconda dei villaggi che visitava, alcune delle quali potevano richiedere molti giorni se non settimane per essere realizzate. Tali documenti che oltrepassavano la pura immagine che raccoglieva e catalogava le diverse tipologie della moda femminile e della grande manualità ad esse sottese, per diventare repetorio dei cambiamenti che riflettevano il progredire di una nazione alla ricerca della sua autodeterminazione.



Il padiglione del Portogallo è uscito dal reconto di Biennale Giardini o Arsenale per trasferirsi dentro a un vaporetto lagunare. In esso la tradizione marinaresca viene interpretata da interni bui nei quali le diverse fantasmagorie di color blu marino intenso vengono costuite da una fitta rete di giochi di luce artificiale, conformate ad imitazione d'una grotta marina fatta di stalattiti e stalagmiti attorno alle quali muovono lenti passi polipi e meduse. L'esterno dell'imbarcazione invece, non rinunciando al colore marino che accomune venezia ai porti lusitani, offrono allo sguardo dei visitatori enormi superfici rivestite d'azulejos, le famose ceramiche portoghesi bianco-azzurre sulle quali sono riprodotti i profili architettonici di Lisbona.


Enrico Mercatali
25 novembre 2013
(foto di Enrico Mercatali)

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