THE MAGAZINE OF THOUGHTS, DREAMS, IMAGES THAT PASS THROUGH EVERY ART OF DOING, SEEING, DISCOVERING

28 December 2013

KAN DIN SKY Milano. Dal Centre Pompidou alcune tra le sue opere più importanti






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Sopra al titolo: "Gelb-Rotr-Blau" (Giallo Roso Blu), 1925, Olio su tela, cm 128x201,5. Donazione Nina Kandinsky, 1976 al Centre Pompidou.
Sotto al titolo: "Bleu de ciel" (Azzurro cielo), 1940, Olio su tela, cm 100x73. Donazione Nina Kandinsky, 1976 al Centre Pompidou.
 


Vassily Kandinsky, 1902, "Alte Stadt II (Città Vecchia II), olio su tela, 52x78,5 cm. Lascito di Nina Kandinsky 1987.
Sotto: ingrandimento della parte centrale del dipinto particolare.


La collaborazione che ormai si consolidata tra Palazzo Reale-Milano e Centre Pompidou-Paris ha prodotto un altro capolavoro espositivo: la mostra apertasi in questi giorni su Vassily Kandinsky, che rimarrà visitabile fino al 27 aprile 2014. Dell'artista russo, popolarmente noto come colui che ha inventato l'astrattismo, sono presenti in mostra alcune tra le sue più note opere. Il percorso artistico curato da Angela Lampe in collaborazione con Ada Masoero,  permette al visitatore di ripercorrere per intero, ed in modo quasi didascalico, i passaggi fondamentali che hanno caratterizzato l'evoluzione dell'opera dell'artista dalle tre nazionalità (russa, tedesca e francese), generalmente influenzata dai cambiamenti di residenza dell'artista, costretto dagli eventi spesso tragici della sua esistenza a trasferirsi dalla Russia a Parigi, da Parigi a Monaco, poi in Russia, dalla Russia a Berlino e al Bauhaus di Weimar invitato da Walter Gropius, poi Dessau e poi a Berlino, ed infine, a causa della chiusura del Bauhaus da parte dei nazisti, ancora a Parigi. In ciascuno dei 3 paesi egli ha infatti assunto la cittadinanza. In ciascuna delle culture che nelle loro capitali fervevano, quando vi si è accostato, egli ha messo profonde radici, tanto da sentirne fortemente l'influenza.



Vassily Kandinsky,  1914 "Quadro con macchia rossa", olio si tela, 130x130 cm. Donazione di Nina Kandinsky, 1976
Sotto: ingrandimento della parte del dipinto in alto a destra.



La mostra milanese mette assai bene in evidenza, anche al visitatore meno attento, quanto da tali eventi la sua pittura abbia potuto uscirne modificata, riportandone ben impresso il rispettivo marchio, al di là che dalle naturali evoluzioni dovute agli incontri più o meno profondi o sporadici, da lui avuti durante i numerosi viaggi in Africa del nord, in Nord Europa, o in Nord America. Un artista di alto calibro, Vassily Kandinsky, che ha saputo fortemente assorbire quanto gli proveniva dall'esterno e che, al contempo, ha sviluppato una propria autonoma rigorosa propensione a stabilire regole universali del fare arte, secondo i canoni della modernità da lui stesso propugnata, sia prima, che durante, che successivamente alla straordinaria esperienza del Bauhaus.


  
Sopra: Vassily Kandinsky, 1917, "Senza titolo", olio su tela, 23,5x33,5 cm,. Lascito di Nina Kandinsky, 1981
Qui sotto: Vassily Kandinsky, 1916, "Mosca, Piazza Rossa", olio su tela 51,5x49,5 cm.Mosca, galleria Tret'jako.

I due dipinti sono stati eseguiti a breve distanza di tempo l'uno dall'altro ed in entrambevi è una proponsione verso il fantastico: è lo spirito di Vassily che sembra euforico e pieno di aspettative dalla vita. E' un momento della sua vita in cui egli elabora i concetti sulla spiritualità nell'arte, in cui sembra contemporaneamente, e forse non casualmente, convergere l'idea di una pittura totalmente astratta, o le cui astrazioni espandano il senso dell'opera verso le infinità dalla mente e del suo bisogno di spiritualità. 



Precedette questa, ed in qualche modo ne predispose i migliori semi, la sua lunga permanenza a Mosca quando dovette lasciare Monaco (ove anche lasciò la sua prima compagna di vita Gabriele Munter) allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, per ritornare in patria (1915). Qui Kandinsky creò un numero limitato di opere ma ebbe a rafforzare i lineamenti della propria personalità, nel corso delle numerose collaborazioni coi massimi esponenti della cultura rivoluzionaria moscovita, da Kazimir Malevic a Vladimir Tatlin, da Varvara Stepanova a Aleksandr Rodcenko. Con essi, ed in particolare con Rodcenko mise la maggior parte dei propri sforzi al lavoro organizzativo dei licei provinciali. E' stato questo il periodo in cui il suo amore per l'arte e l'artigianato popolare russo divenne per lui veicolo di nuovi approfondimenti e sintetiche astrazioni, attraverso una pratica artistica trasversale al Suprematismo e al Costruttivismo, movimenti assai diffusi nelle collettive di quegli anni alle quali anche lui partecipava. In quel periodo il suo non è mai stato il suo un identificarsi totale a questo o quel movimento, ma un profondo relazionarsi ad essi attraverso una propria visione che sapeva filtrare dal nuovo i propri e più intimi convincimenti che sarebbero sfociati in modo più maturo nel successivo periodo tedesco, nella scuola del Bauhaus.

Lo spirito speculativo e rigoroso del suo metodo didattico e cognitivo, assieme alla sua grande sensibilità di uomo e di artista, determinano, nella natura analitica e profondamente esplorativa del suo percorso, un susseguirsi di spostamenti nel tempo del suo approccio ai materiali dell'arte, all'inseguimento di verità e di riscontri sperimentali, tali da condurre ad una sorta di scienza dell'arte, che egli saprà condensare in scritti divenuti famosissimi, quali "Dello spirituale nell'arte" del 1912 e "Punto e linea nel piano", scritto nel 1926, nel periodo dell'insegnamento al Bauhaus.






Vassily Kandinsky, "Auf weiss II" (Su bianco II), 1923, olio si tela 105x98 cm. Donazione Nina Kandinsky 1976. Lo stesso quadro alla parete del soggiorno di casa Kandinsky a Dessau.
Sotto: di fotografo sconosciuto, Vassily Kandinsky e Paul Klee a Dessau nel 1926, davanti all'edificio progettato da Walter Gropius, nel quale risiedevano entrambi nei loro distinti appartamenti, destinati agli insegnanti del Bauhaus.



Questo modo di intendere e praticare l'arte induce Kandinsky ad attivare un processo di avvicinamento e di ingrandimento della realtà che lo porta ad esplorare la materia stessa di cui sono fatte le cose, in un primo tempo in quanto espressione squisitamente visiva della luce, secondo le linee guida già indicate dai primi maestri dell'impressionismo, ed in un secondo tempo in quanto manifestazione dello stesso processo fisico di scomposizione delle parti, ma successivamente anche come scientifico approccio al microcosmo invisibile ad occhio nudo, fatto di particelle piccolissime di varia natura e dimensione, tipo e movimento, come anche emerso dalle recenti acquisizioni della teoria della struttura atomica,  formulata nel 1913 da Niels Bohr, che hanno aperto la via a suggestioni speculative tanto nuove da oltrepassano la percezione d'ogni realtà visibile così come fino a qual momento si era data all'esperienza delle persone, per dischiudersi a mondi tutti ancora da esplorare entro una dimensione più prossima allo spirito.




Vassily Kandinsky, "Schwarzer Raster" (Griglia nera), 1922, olio su tela 96x106 cm. Lascito di Nina Kandinsky 1981


La grande avventura del Bauhaus, che Kandinsky ha condiviso con alcuni tra i più grandi artisti dell'epoca per merito dell'incarico attribuitogli da Walter Gropius, dopo che Lazlo Moholy-Naghy ne aveva chiesto la collaborazione per i laboratori di fotografia e tipografia, in un epoca purtroppo non destinata a fortune di lunga durata, ha però segnato il suo momento più fecondo, quello nel quale la sua impostazione pittorica, basata su tentativi di analisdiscientifica della produzione artistica, diventa regola trasmissibile per concetti universalmente validi, e che per questo assume una più semplice e fluida leggibilità, ponendosi come icona d'un tempo e rappresentazione di una tappa dell'arte moderna  storicamente molto significativa.



Vassily Kandinsky, "13 rettangoli", 1930, olio su cartone 69,5x59,5. Lascito di Nina Kandinsky, 1981



Il mondo nel quale questa pittura germina ed incomincia a dare gustosi frutti, divulgandosi come un verbo potente, è particolarmente confacente peraltro alla indole del suo creatore, di sperimentatore lucido e razionale dei propri sentimenti, nonchè della propria imperativa volontà di dare ad essi una forma intelliggibile e rappresentabile. In ciò gli sono stati di grande aiuto le collaborazioni interdisciplinari di quella scuola nella quale insegnava e viveva circondato del massimo fervore d'una consapevolezza collettiva d'essere perfettamente dentro al proprio tempo, ed in particolar modo dell'amico Paul Klee, con il quale divide quei momenti, che sono stati i più importanti della sua vita artistica.



Vassily Kandinsky, 1940, "senza titolo", acquarello e inchiostro di china su carta, 48,7x31,2 cm. Donazione Nina Kandinsky 1976

Con Klee, tra l'altro, mette al contempo in comune le rispettive scene familiari negli interni della villa che aveva appena realizzato Gropius per loro, con ciò condividendo, oltre alla didattica e all'arte, anche uno stile di vita. I loro due appartamenti affiancati, completamente arredati con suppellettili e mobili disegnati da Gropius e con opere d'arte prodotto in quella fucina, nei quali i due amici con le rispettive mogli condividevano tutto, dalle serate colloquiali, alle passeggiate nei boschi, dalle discussioni accese sulle rispettive ricerche ed opere, ai momenti mondani, rappresentavano già l'estrema formalizzazione di quel razionalismo modernista che doveva permeare di sè, oltre alla tragica parentesi nazista che ne negò l'esistenza, tutto il secolo a venire.

Il periodo parigino di Kandinsky, iniziato nel 1933 (data nella quale egli si è trovato a dover scegliere se emigrare negli Stati Uniti d'America oppure in Francia per scappare dal nazismo) ha dato ragione al suo istinto che lo spingeva verso la città più ricca d'arte che ci fosse allora nel mondo, nonostante che le sue apparizioni oltre atlantico fossero già state piuttosto numerose. A Parigi egli visse per l'intero resto della sua vita, incontrando e dialogando coi maggiori artisti del momento: Piet Mondrian, Hans Arp, Fernand Léger, Le Corbusier, Marcel Duchamp, Tristan Tzara, Paul Eluard, Joan Miro'. Egli, già molto noto al suo arrivo nella capitale francese, esercitò probabilmente più influenza sull'arte che era allora in mostra nei grandi circuiti dell'arte parigina, di quanta ne subì. Fu però molto attratto da Miro', del quale divenne anche molto amico, al punto da acquisire dalla sua pittura, generalmente prodotta su gigantesche tele, un irresistibile fascino. Tutte quelle forme zoomorfe, biomorfe, e botaniche che le popolavano finirono per riversarsi anche sulle sue, anche perchè vi corrispondevano, in termini di sentimento e di carattere. In quelle tele, di entrambi i grandi maestri di quegli anni, non vi era più alcuna separazione tra genere  figurativo ed astratto. Esse sembrano placare definitivamente quella forte contrapposizione che fino ad allora divideva costantemente i produttori dell'arte, che fossero critici, galleristi, enti di cultura oppure artisti. Questa fu l'ultima delle grandi stagioni vissute dall'uomo che, forse più e meglio di altri, seppe esprimere, nel corso del XX secolo, l'idea stessa della modernità, e che ancor oggi, trascorso un secolo dalle sue prime mature produzioni, esercita un fascino indiscutibile e irripetibile.

Tutte le opere qui illustrate sono in mostra a Milano fino al 27 aprile 2014.

Enrico Mercatali
Milano, 18 dicembre 2013

17 December 2013

Duomo di Milano Museografia rinnovata. Finalmente al passo coi tempi, e con le più avanzate concezioni del museo moderno, è l'impostazione recentemente attribuita da Guido Canali agli spazi espositivi del Tesoro del Duomo nelle sue diverse età, dal medioevo ai giorni nostri. E ora ascensore sì - ascensore no ?



Duomo di Milano
Museografia rinnovata





Finalmente al passo coi tempi 
e con le più avanzate concezioni del museo moderno è
l'impostazione recentemente attribuita da Guido Canali 
agli spazi espositivi del Tesoro del Duomo
nelle sue diverse età, dal medioevo ai giorni nostri


  E ora ascensore sì - ascensore no ?





Sopra e sotto: Guglia Maggiore, Madonna Assunta, 1774, rame sbalzato e dorato, opera dello scultore Giuseppe Perego e dell'orafo Giuseppe Bini. Più sotto l'intelaiatura originale in ferro della Madonnina, oggi rifatta.



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Da poche settimane è stato riaperto il Museo del Duomo a Milano, ancora nella sua storica sede di Palazzo Reale, ma interamente riconcepito secondo attualissimi criteri museografici dallo Studio dell'architetto parmense Guido Canali. Ora il Museo, rispetto alle sistemazioni che l'hanno preceduto, è davvero un bel museo di cui Milano può vantarsi, nel quale può moltiplicarsi l'esperienza acquisita dai visitatori della cattedrale milanese nel corso della loro visita sia all'interno che all'esterno del monumento. Il criterio che ha guidato la realizzazione del nuovo museo è stato quello infatti di rendere maggiormente coscienti i visitatori del Duomo delle straordinarie bellezze che in esso vi si contano offrendo loro una visione molto ravvicinata delle sue statue marmoree o in rame dorato, dei suoi tesori interni, delle sue vetrate, dei suoi doccioni, dei suoi quadri e dei suoi arazzi. Tutte queste opere di complemento all'architettura in quanto tale, che fanno del Duomo una summa d'arte e di cultura tra medioevo e i tempi nostri, solo se visti da vicino possono essere veramente apprezzati, cosa che non avviene dalla naturale posizione loro assegnata quando posti in funzione decorativa o liturgica sulle guglie o dentro al tempio. Non solo, ma nel museo ogni pezzo viene presentato nell'ambito di apposite sale dedicate a questo o quel genere, e reso visibile da molteplici angolazioni.



Qui sopra (dall'alto a scendere) alcune immagini relative al lungo e complesso lavoro svolto in preparazione del rinnovato Museo del Duomo, realizzato su progetto dell'esperto museologo Guido Canali, e recentemente riaperto al pubblico:
Deposito annesso al laboratorio di restauro delle sculture, presso il Museo. Vi si scorge, tra l'altro, il Mascherone in rame dorato del Volto di Dio Padre del 1425. 
Laboratorio di restauro di pittura delle opere di Giovan Battista Crespi, detto il Cerano (1573-1632). Sullo sfondo "Il miracolo di Clementina Crivelli Arese", tempera su tavola realizzata tra il 1608 e il 1610. Sul tavolo "Incontro di Salomone con la regina di Saba", tempera monocroma su tela reralizzata tra il 1628 e il 1629. Appoggiato al mobile "Giuditta e Oloferne", tempera monocroma su tela realizzata tra il 1628 e il 1629.
Laboratorio di restauro degli arazzi. Sul tavolo, Nicolas Karcher, Arazzo gonzaghesco della serie con Storie di Mosè, Passaggio del Mar Rosso, seconda metà del XVI secolo.
Sala delle colonne, durante i lavori.
Allestimento di ponteggi per i lavori di manutenzione e di conservazione delle guglie del Duomo.
L'architetto Guido Canali nel suo studio a Parma. Autore del riallestimento del Museo del Duomo di Milano (già realizzatore di numerosi progetti di Musei, tra cui il Museo Archeologico di santa Maria della Scala a Siena ed il Museo Storico Archeologico di Savona. Importante anche menzionare i suoi allestimenti al palazzo della Pilotta a Parma per "la Città Latente", del 1995, e a Siena per la mostra su "Duccio da Buoninsegna, alle origini della pittura senese".




Nel complesso, seguendo un percorso obbligato assai ben tracciato da appositi indicatori fissi facenti parte dell'arredo, siamo ora in grado di vivere una avventura narrativa che accomuna, esaltandoli con la luce e la materia degli espositori, i periodi principali della produzione orafa, statuaria o pittorica, del monumento più importante della città, drammatizzandoli da una sapiente scenografica serie di istallazioni illuminotecniche, oltrechè da un essenziale e sofisticato trattamento delle superfici orizzontali e verticali dell'impiantio espositivo, organizzato in perfetta consonanza con la tradizione museografica padana, e più in particolare della modernità di stampo meneghino.




Cave di Candoglia, Val d'Ossola (Verbania, Lago Maggiore), nel Comune di Mergozzo, sulla sponda sinistra del fiume Toce. La prima fu aperta nel 1770. Con il loro marmo, negli ultimi 20 anni sono state restaurate o ricostruite 25 guglie del Duomo milanese.


Ciò che ha voluto fare Guido Canali, nelle nuove sale che a lui sono state affidate, è mostrare gli otto secoli di storia che attraversano il monumento più illustre della città tenendo desta l'attenzione del visitatore stimolandone la curiosità. Il modo di esporre gli oggetti doveva essere un susseguirsi di coup de theatre ottenuti mediante un sapiente dosaggio dimensionale delle altezze e delle profondità da cui osservare le opere, dandone una visione a volte tanto ravvicinata da alterarne la naturale percezione alla quale normalmente si è abituati nel vedere un oggetto o una statua dentro a un Museo, ma ancor più quando li si guardasi nel rapporto così irreale che impone essere loro uno delle miriadi di dettagli cosparsi sulle faccite o sulle guglie del Duomo. Diverso è infatti osservare un doccione disposto lungo i profili delle falde del tetto del monumento e lo stesso oggetto scultoreo alla distanza di un  metto o due due metri. Diverso è vedere un particolare delle merlature a pochi centimetri dai nostri occhi rispetto alle molte decine di metri in lontananza. Diverso è vedere d'una statua i lineamenti del volto, o del corpo, se investiti da una forte luce radente, piuttosto che osservare gli stessi se disposti sopra alle guglie alla luce del sole. 




Il "Modellone", il più grande dei modelli del Duomo mai realizzato, del XVI secolo, in legno di tiglio. E' costruito senza chiodi nè viti. I mille pezzi di legno di cui è costituito sono incastrati come in un perfetto puzzle. E' stato per secoli il progetto guida per tutti gli architetti che misero mano al Duomo.
Dalla sala dedicata all'arte vetraria in Duomo tra l'inozio del '400 a la metà del '500. Scene dell'Antico Testamento: qui i ladroni crocefissi accanto a Gesù.



Infatti solo visitando questo museo ci si rende conto della straordinaria quantità di materiale di cui il Duomo è fatto, e della grande qualità di cui ogni dettaglio è dotato, anche se realizzato per una visione più che complessiva, nel coacervo delle visioni d'assieme. E' quindi la "festosa sontuosità cromatica e luministica" che viene esaltata di tali oggetti, e delle vetrate in particolare, in questa moderna versione di museo semplice, rarefatto, minimale a volte, ma assai pregnante, nella sua volontà di stupire, oltre che documentare. Multimedialità invece (ma ancora in allestimento) nella spaziosa e sfarzosa sala delle colonne, nella quale si darà risalto nel tempo a tutte le specificità d'una moderna concezione anche didattica del Museo.



Il volto del Padre Eterno, 1425, rame sbalzato e dorato realizzato dall'orafo milanese Jacopino de Zuttis da Rho su modello di Jacopino da Tradate.


Anche questo Museo entrerà a far parte dei circuiti privilegiati dell'Expo 2015. Già oggi il tetto è letteralmente assaltato da turisti e cittadini in cerca di emozioni, per visitarne e poterne gustare più da vicino gli archi rampanti e le guglie, e per poter spaziare con lo sguardo sui luoghi deputati della metropoli lombarda, la quale, nei giorni limpidi offre uno dei più pegli spettacoli della natura, con lo sfondo alpino che sembra tanto vicino da poterlo toccare con mano. Ecco che infatti, per questi motivi, in previsione del grande evento internazionale, è di questi giorni la proposta avanzata dalla stessa Veneranda Fabbrica del Duomo di costruire al più presto una torre-ascensori, capace di movimentare 50 persone contemporaneamente in salita e discesa per un più rapido e facile accesso alle coperture del monumento.




Sopra: Museo del Duomo di Milano, sdtatua di Eva, primi del '400. 
Duomo di Milano, doccione del tetto di primo livello sull'abside.




Dal tetto della navata centrale del Duomo di Milano vediamo la Torre Velasca 
(BBPR + Pieruligi Nervi, 1950), icona del paesaggio milanese, inquadrata dalle merlature Sud.


Come era prevedibile a tali proposte v'è sempre chi si oppone, ed in tal caso proprio la Soprintendenza ai beni Architettonici e Monumentali della Lombardia, anche se già quasi tutti gli altri pareri erano stati positivamente acquisiti. Secondo il nostro parere nulla di scandaloso se tale manufatto fosse realizzato con le più attente delle cure, con i migliori e adatti materiali, con le più sofisticate delle tecnologie. Anzi, ben venga, e non soltanto per le più che ragionevoli necessità di migliorare un servizio di salita e discesa ormai divenuto insufficiente e vetusto, ma anche per valorizzare il monumento più insigne della città, che vanta importanti interventi in esso a partire del medioevo tardo, quando se ne avviò la costruzione a partire dall'abside, fino alla facciata del tardo ottocento ed a portoni di ingresso, l'ultimo dei quali porta la firma di Luciano Minguzzi (ed in Museo vi sono alcuni pannelli realizzati per il concorso nientemeno cha da Lucio Fontana).

Facciamola quindi la torre, dato che se ne sente il bisogno da ogni punto di vista. Noi di Taccuini la preferiremmo più alta, per meglio distinguersi in autonomia dalle mura perimetrali del Duomo, e la vorremmo sul versante Sud dell'abside (anzichè Nord), per lasciare linda la prospettiva visiva,  asimmetrica grandiosa e perfetta, che si ha da Corso Vittorio Emanuele.




Rendering dell'abside del Duomo con l'inserimento della proposta nuova torre-ascensori in acciaio e vetro. Noi di Taccuini preferiremmo questa torre sul lato opposto dell'abside e magari appena più alta così da renderne maggiormente l'autonomia rispetto alla massa muraria del Monumento. Ma non ne disdegneremmo la sua realizzazione, finalizzata a modernizzare il servizio di risalita, ma anche a continuare la vita, mai finita, della Veneranda Fabbrica, la cui enorme valenza nasce proprio dall'essere frutto di continui lavori a partire dal 1386.

Avremmo preferito, al posto dell'austero ingresso, bello ma un po' angusto, un vasto spazio ricettivo, molto luminoso (a differenza dell'assai buio percorso tra le opere), magari ben dotato in comode sedute, un fornito book-shop con annessa raffinata caffetteria.  

Oggi i migliori musei sono così, e sono quelli più visitati e lungamente abitati dai turisti. La meta del Duomo è oggi assai ambita, come anche la sua visita alle coperture. Il Museo, certo non da meno, oggi, per come è concepito, difetta unicamente di questi complementi, necessari quanto massimamente graditi ai suoi visitastori. Chissà se, un domani, la grande e luminosa Sala delle Colonne potesse integrare in sè anche alcune di tali funzioni?

Enrico Mercatali
Milano, dicembre 2013

14 December 2013

Franco Piavoli - Un sussurrato rapporto con la natura. Cineasta e fotografo, disegnatore e pittore, amante di Pozzolengo, ove vive raccogliendo e catalogando piante (Testimonianza di Enrico Mercatali)





Franco Piavoli
un sussurrato rapporto con la natura




Cineasta e fotografo, disegnatore e pittore, 
amante di Pozzolengo
ove vive raccogliendo e catalogando piante


Testimonianza di Enrico Mercatali


Lo spunto di questo ricordo dell'amico Franco Piavoli è stato l'articolo apparso ieri di Simona Spaventa su la Repubblica, intitolato "A casa di Franco Piavoli, regista della natura e del mondo contadino - lo raccontano i giovani Casazza e Ferri". L'articolo a sua volta trae spunto dal documentario "Habitat" in arrivo a Torino, e presentato al Beltrade, realizzato dai due giovani registi che hanno incontrato il loro maestro nella sua casa di Pozzolengo (BS). I giovani cineasti lo incontrano e lo raccontano, senza farne una biografia, ma descrivendone l'ambiente nel quale abita e lavora da una vita, e che da sempre ha ispirato le sue azioni, le sue opere, che fossero cinematografiche, artistiche, documentarie o semplicemente collezionistiche, di quanto maggiormente  lo attraeva, e di cui nutriva il suo animo semplice, oggetti, foglie, rami, paesaggi silenziosi.





E' appunto da questa premessa che nasce il mio desiderio di ricordare, a mia volta, l'amico che non vedo più da lungo tempo, proprio perchè anch'io ho amato quello stesso ambiente che vogliono ora raccontare i due giovani registi nel loro film-documento che approda adesso a Torino. E' l'ambiente che li ha affascinati, così come ha loro affascinato l'opera del maestro Piavoli. E quell'ambiente è ciò su cui essi hanno concentrato il loro lavoro, perchè raccontare quello è forse il miglior modo per intervistare il famoso regista, il quale, come si sa, è tipo di poche parole. Anche i suoi film sono fatti più di prolungati silenzi che di parole, e soprattutto di immagini, immagini sussurrate con tutto l'amore che in esse Piavoli sapeva riversare, perchè trattasi delle immagini dei luoghi suoi prediletti, quelli che sono l'essenza stessa della sua vita.

Quegli stassi luoghi, quello stesso ambiente, è quello che io stesso ho amato, quando ne sono stato partecipe negli anni nei quali i miei genitori, suoi amici, vi trascorrevano i loro week-end, le loro vacanze. E' il territorio fatto di bei paesaggi collinari che attornia casa Piavoli, nell'anfiteatro morenico a Sud del Lago di Garda, ma è anche quello più specifico costituito dalla sua stessa grande e magnifica casa e dalle sue corti, dai suoi locali interni, dagli arredi e dagli oggetti dei quali si era circondato negli anni. Ho memoria di tutto ciò perchè in quell'ambiente ho vissuto, a cavallo tra gli anni '60 e '70, traendone in giovinezza un grande piacere, che credo sia qualcosa di simile a quello che ne traeva Franco, in tale intensità da indurlo a rappresentarne i profili coi films, con le sue giovanili riprese fotografie, con la sua più recente pittura e con l'arte di collezionarne i più intimi segreti del mondo vegetale, che proteggeva incorniciandoli sottovetro, che erano i suoi più affini strumenti di espressione e di comunicazione.




Ho trascorso in quei luoghi periodi di vacanza con i miei genitori, i quali erano divenuti essi stessi amici di Franco, attraverso la comune amicizia dei fotografi Mulas. A loro Franco aveva offerto in affitto un piccolo appartmento, facente parte della grande, bella casa a più corti interne, tenute a giardino ed orti. In quella casa vi era abbondanza di verde sia dentro che fuori, e soprattutto fuori si spalancava uno dei più bei panorami, ampi, tranquilli e suggestivi, che sio potesse raggiungere in tempi ragionevoli pere chi allora viveva a Milano. Casa Piavoli, era una casa colonica di antica origine, dotata di due piani, che disponeva di un'ala padronale riccamente decorata ad affreschi e stucchi, dotata di un ampio scalone, e di ali contigue più spartane. Franco abitava nella parte padronale con la sua famiglia, nella quale spesso ospitava gli amici registi e critici cinematografici, coi quali si intratteneva lunghi periodi di tempo a colloquiare di cinema e di arte. Tali meetings erano però preclusi, tanto essi erano gelosamente da lui vissuti e custoditi, ai "non addetti ai lavori". Ma, al di là di tali spazi privati, Franco era persona sempre disponibile e affabile con chiunque, generoso nel darsi, in lunghe passeggiate ed altrettanto lunghe, accalorate ed entusiastiche discussioni, attorno ai temi della vita che più gli stavano a cuore. 



Franco Piavoli, scena primaverile da "Il Pianeta Azzurro", 1982


Si stupì Franco, un giorno, prima ancora che venisse il tempo di mettersi a fare il suo "Pianeta azzurro", nel sentire che stavo lavorando alla elaborazione di un testo, dal titolo "Circuiti", che sarebbe diventato un lavoro autoprodotto che la mia Compagnia teatrale avrebbe rappresentato di lì a breve nelle piazze italiane. Si stupì perchè allora ci conoscevamo appena, e non pensava potessimo avere interessi tanto simili. Io, che ero assai più giovane di lui, stavo facendo qualcosa che lui aveva in animo di fare e che ancora non aveva iniziato, qualcosa che, quando l'avrebbe fatta, gli avrebbe reso importanti riconoscimenti e l'avrebbe reso famoso. Fu curioso, allora, di sapere ogni dettaglio, e mi restituì la gioia, tanti anni dopo,  d'essere diventato amico di un famoso regista, e di aver parlato con lui di regia, di testi teatrali, di sceneggiature, di arte insomma. E mentre lui proprio allora avviò una bella avventura d'arte divenuta poi pubblica, io spostai ogni mio interesse sull'architettura, lasciando il teatro e l'arte di far recitare a chi meglio di me avrebbe potuto farlo.

Successivamente ho sempre seguito Franco Piavoli, attraverso il suo lavoro, incontrandolo a volte proprio nelle occasioni importanti della sua carriera, durante le presentazioni dei suoi film, ed immancabilmente egli, nel corso di quegli sporadici incontri, s'apprestava con calore e passione ad argomentarne gli aspetti che gli sembravano più degni di nota, quelle caratteristiche che in quel momento a lui sembravano le più degne di nota, le quali erano sempre fondate su ragioni intime, personali, nate da sentimenti fortemente interiorizzati.



Franco Piavoli, anni '70, "Paesaggio del basso Garda", firmato, (19,6 x 16,4 cm), pastelli a cera grassa su cartoncino (collezione privata)


Conservo, tra le cose che ho collezionato nel tempo, e che più mi danno piacere, due piccole opere di Franco Piavoli, che aveva regalato tempo fa ai miei genitori. Una era parte della sua raccolta di piaccole piante lasciate essiccare e messe in cornice sottovetro. Le pareti della sua casa ne erano piene. Le sue piante venivano da lui selezionate  e raccolte complete delle loro radici, e poi messe sotto vetro catalogandole con i loro nomi scientifici, che egli stesso scriveva a matita. Un'altra consisteva in un "paesaggio del basso Garda", firmato (19,6 x 16,4 cm), realizzato con tecnica impressionista mediante l'uso di pastelli a cera grassa, dominato da un immenso cielo cosparso di nubi, nel quale la qualità principale è data dalla resa cromatica delle profondità, che rivela una profonda conoscenza dei luoghi e delle sue caratteristiche meteorologiche e geomorfologiche.



Franco Piavoli sorride compiaciuto all'applauso che gli sta offendo Ermanno Olmi



Franco Piavoli
Filmografia:

Il Pianeta Azzurro, 1982  (88' 35mm col.)
Nostos - Il ritorno, 1989  (87' 35mm col.)
Voci nel tempo, 1996  (86' 35mm col.)
Al primo soffio di vento, 2002  (85' 35mm col.)
Affettuosa presenza, 2004  (65' DV.)
L'orto di Flora, 2009  (HDV - 26')
(Fotografia e montaggio di Mario Piavoli
Parte del film documentario Terra Madre diretto da Ermanno Olmi)

Cortometraggi:

Le stagioni, 1961  (25' 8mm col.)
Domenica sera, 1962  (12' 8mm col.)
Emigranti, 1963  (12' 8mm BN)
Evasi, 1964  (12' 8mm BN)
Lucidi inganni, 1986  (35'U’Matic)
Il parco del Mincio, 1987  (27' 35mm col.).








































































































Enrico Mercatali
Lesa, 6 dicembre 2013







10 December 2013

Piero Fornasetti e l'arte di decorare





L' eccentrico dendy 
ha fantasia da vendere





Piero Fornasetti
 e l'arte di decorare 


Piero Fornasetti (Milano 1913 - Milano 1988) è un personaggio veramente speciale ed egli si identifica totalmente con la propria opera, altrettanto perciò speciale. Lui non esisterebbe senza di lei e viceversa. Ha riempito un secolo di essa e con essa, inondando oggetti, pubblicazioni, arredi ed intere case. Fornasetti artista. Perchè speciale?



Molte sono i ritratti e gli autoritratti di cui il personaggio narciso s'è attorniato, gelosamente collezionati e riccamente elaborati nel corso degli anni, divenendo essi stessi icona delle icone, parte del processo di autoconoscenza ed espressione piùche mai personale del processo creativo. Degli innumerevoli esistenti qui sopra due esempi importanti, in un disegno da lui stesso eseguito negli anni '30 a matita rappresentante una scatoletta antropomorfa decorata all'interno con motivi floreali, riportante sul coperchio il volto sornione dell'autore. Felicissimo scatto invece, quello sotto, di Ugo Mulas (anni '60), che lo ritrae affacciato ad una tenda alla  veneziana dalla superficie totalmente serigrafata con motivi architettonici classici.


Speciale? Speciale, ovvero diverso il modo suo di approcciare, vivere e produrre arte, speciale l'ambito circoscritto ma al contempo variopinto dei soggetti, speciale il modo di commercializzarne i prodotti. Arte, decorazione. Speciale perchè unico. L'iconografia che ne è sottesa è inequivocabilmente sua, personalissima, ineguagliabile e copiosa, suggestiva e ironica, surreale e divertente pur essendo stata presa a prestito dagli archivi della storia, dai cataloghi, dalle enciclopedie, da libri sntichi illustrati e dalle riviste d'epoca. Essa è però in grand parte incentrata su di un unico onnipresente soggetto che assume il ruolo di protagonista assoluto, che diventa la fissazione ed anzi l'ossessione del suo mentore: sulla faccina in mille salse, quella faccina che fu di Lina Cavalieri, soprano e attrice cinematografica italiana tra otto e novecento, la "donna più bella del mondo" dallo sguardo innocente e il visino rotondo tutto acqua e sapone.



Horror vacui, potrebbe essere il motto che meglio descrive cosa sottende l'arte decorativa di Fornasetti. Dalla vita reale, del suo studio, della sua abitazione, dei suoi negozi, dei suoi arredi, all'arte realizzata, come singolo soggetto o come decorazione, tutto vi è pieno, spazi vuoti nessuno. Il flusso della sua grafia non conosce tregua. Esso è totale e totalizzante. Ogni cosa vi è espressa in meraviglia!. Questa la sua sigla.


Piero Fornasetti la fece diventare l'icona della sua vita, si potrebbe dire, ovvero delle sue collezioni moltiplicate all'infinito che costituiscono certamente il suo racconto autobiografico, ma anche il suo percorso psicanalitico, intricato ma comprensibile, vorticoso ma a volte contemplativo e sereno, oniorico e visionario ma spesso anche divertito e giocoso. 



Il cassettone, prodotto in serie infinita, fa sfoggio del palladianesimo. Ogni sua superficie mostra i disegni dei prospetti d'una villa inglese che ha subìto l'influenza del Palladio. L'oggetto stesso (anni '50) è divenuto un prodotto neo-palladiano, impreziosendosi mediante una trasformazione semantica. Il top, invece, rappresenta la pianta d'un giardino all'italiana. Con questo oggetto siamo già in un piccolo museo, come fossimo nell'abitazione di Sir John Soane.


"Cento anni di follia pratica" si intitola la mostra e il relativo catalogo che ora, a cento anni dalla nascita, Milano ne hanno raccontato la storia. Una storia d'ingegno e divertissement, di bravura e creatività, di certezze borghesi e di geniali ossessioni dai risvolti erotici ma più spesso compiacenti verso i propri piccoli piaceri della gola, della vista, dei profumi, dello scherzo condiviso in compagnia.



Incoerenza linguistica come summa museale permanente e continua, ridondata dalla riproduzione serigrafica, Molti oggetti di Fornasetti, specialmente quelli di arredo, propongono una congerie di rappresentazioni architettoniche di varie epoche tra loro affiancate o sovrapposte. Scrigni, secretaire, scrittoi minuscoli "da camera" ne sono ossessivamente afflitti, mostrandosi come giochi senza fine, dall'esterno all'interno, tutto in essi vi si mostra come pura sommatoria: frontoni e prospetti classici, interni prospettici di chiese e templi, chiostri e portici, ariose scalinate a tripla rampa, corti gotiche, balconi e logge fiorentine del quattrocento, paramenti di pietra bugnata di stile manierista. Nei paraventi, invece, che si presentano come quadri ad ampia superficie,  si sviluppano immagini tratte dal sogno. In questo Duomo sommerso fanno capolino in posizione defilata, nell'orizzonte più lontano, i faraglioni di Capri, quasi a ricordare l'ultima vacanza prima del rientro al lavoro.



Un personaggio tipicamente milanese, Piero Fornasetti, che ha vissuto la modernità senza mai lasciarsene totalmente catturare, sedotto da tutto ciò che la storia abbia potuto offrirgli come materiale di lavoro, da utilizzare per decorare i suoi ambienti, il suo paesaggio, la sua stessa vita un po' dandy, volutamente svolta volteggiando in superficie. Il mondo che lo ha circondato e di cui lui stesso amava circondarsi era fatto di libri, tanti libri riccamente illustrati, oggetti di cui amava le forme sensuali, vasi piatti e ceramiche di varia foggia, cofanetti, scatole istoriate, tavoli e tavolini d'ogni specie forma e altezza, sedie e poltrone, quadri e stampe, giochi e cose senza scopo apparente ma per lui piene di di vera sostanza, quella vera materia che fa scattare il mondo dei sogni. Il suo studio è, fin dai tempi che sono immediatamente seguiti agli studi in Accademia, è già un grande archivio, assai ben organizzato e catalogato, ove raccogliere la documentazione occorrente per fare di quel mondo un regesto completo, pronto allo scopo ogni qualvolta un'idea s'affacciava alla mente. Ma anche ovunque comodi divani nei quali sprofondarsi nella lettura, comodi e rilassanti luoghi ove pensare, immaginare, dialogare con se stesso interrogandosi sui piaceri e sugli incanti offerti dalla vita che scorre.





Qui sopra e sotto: Lina Cavalieri, la "donna più bella del mondo", soggetto onnipresente tratto dalle fantasie oniriche di Piero Fornasetti, in queste foto illustrato in alcune delle sue più originali versioni, su vasi e ampolle, su piatti, vassoi o sedie, ella appare sempre imbambolata con quei suoi occhio da bambina, e rappresentata nelle forme dadaiste, surreali o metafisiche che di volta in volta meglio si convenivano alle esigenze estetiche dell'autore.





In quella età giovanile ancora aperta ad ogni avventura ancora possibile, egli incontra gli artisti che hanno fatto il suo tempo, Carrà e De Pisis, coi quali si apre agli interessi internazionali del Surrealismo e del Dadaismo (Dalì, Ernst, Picabia, Savinio e De Chirico, ma senza dimenticare le lezioni di Kircher, di Lippi, del Bronzino, di Sr John Soane. E poi, dopo aver messo nero su bianco le prime personali esperienza di grafico e di pittore, diviene naturale conseguenza quella di moltiplicarne gli esiti a scopo commerciale, giacchè molto apprezzato era quello strano suo modo di abbinare il mobilio con l'arte, il decoro con le suppelletili dell'arredo, capace di precorrere i tempi. 




Tra gli anni '50 e '60 Gio Ponti ordinò a Fornasetti lo studio dei mesi, per la realizzazione di piatti per le ceramiche Ginori. Ne sono stati fatti anche dei calendari, come questo qui sopra rappresentato.


Quasi pre-postmodernisti erano i risultati del suo gusto applicato alle cose, pre-pop sono state quelle sue serigrafie diffusamente profuse sugli oggetti d'arredo, frutto di una ricerca estetica che sarà anche quella di Warhol e Lichtenstein ante litteram. Certamente anticipatorie le sue fantasie applicate al mobilio, ai vassoi, ai separè, ai piatti e alle scodelle, ai vasi, ai calendari, alle cravattese non nel gusto almeno nellla diffusività seriale, nella quale compare ingrandita la grana da stampa. Gio Ponti ne comprese immediatamente le potenzialità estetiche e commerciali e ne divenne, negli anni '50 uno dei suoio massimi consumatori, nonchè veicolo di diffusione. Fu infine un piccolo ma famosissimo negozio-galleria dparte, a Milano in via Brera, a far da tramite tra lo studio dell'artista ed il pubblico interessato, divulgando l'opera dagli anni '70 in poi.




Qui sopra: una suggestiva immagine sottomarina nella quale il volto della "donna pià bella del mondo" fissa lontano, quasi ignorando l'intenso movimento di una multiforme fauna acquatica che si svolge davanti a lei. Immagini surreali ed incantate come questa non erano, se non molto raramente, opere pure, ma venivano utilizzate dall'autore per decorare separè, tende, superfici di piastrelle. Questa la sua vera sigla.
Qui sotto: Il Maestro Piero Fornasetti si fa ritrarre in una narcisistica posa d'artista impegnato a disegnare seduto all'interno di una vasca da bagno decontestualizzata, decorata con un volo di coloratissime farfalle.




Enrico Mercatali
Milano, novembre 2013