THE MAGAZINE OF THOUGHTS, DREAMS, IMAGES THAT PASS THROUGH EVERY ART OF DOING, SEEING, DISCOVERING

26 June 2011

ABOUT DESIGN - Evoluzione di un'arte che piace a tutti



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D    E    S    I    G    N

-  evoluzione di un'arte che piace  -






L'imbuto più bugiardo del mondo è prodotto da Alessi, e creato da Stefano Giovannoni con Miriam Mirri nel 1998. Questo prodotto rappresenta assai bene il paesaggio sdrammatizzato del  design contemporaneo "in parte reale e in parte mediatico, capace di concorrere a definire un'atmosfera di auto-assoluzione generale per l'uomo contemporaneo... ove, nel sistema del neocapitalismo globalizzato, tutto fatto di crisi cicliche, continuamente impegnato a trovare equilibri provvisori di sopravivenza, l'individio ricerca segnali amicali, rilassanti e protettivi, che esorcizzano le sue angosce, derivanti dai nodi di un sistema socialoe e ambientale che non funziona. Egli è sensibile quindi alla presenza tranquillizzante di personaggi che lo riportano a una infanzia serena: gli gnomi, i gacha-gacha, i folletti, le bamboline, i mostriciattoli... la cui presenza innocente concorre a ridurre lo stress derivato dall'incapacità di progettare il proprio futuro. Questo stato d'incertezza permanente dell'attuale sistema mondiale dell'economia postfordista è lo stesso che si manifestò nell'America della Grande Crisi negli anni Trenta quando gli animaletti parlanti di Walt Disney ebbero origine. Si tratta quindi di un sottosistema antropologico, di una sorta d'uso abusivo e simbolico del prodotto industriale, che il design ufficiale non ha mai considerato" (A. Branzi)


Noi, che viviamo nel territorio a maggiore vocazione  mondiale di design (fascia Mi-To/Alpi), abbiamo un punto di vista privilegiato d'osservazione, e possiamo argomentare di qualità astratte e concrete della produzione attuale nel quadro storico d'una disciplina in forte evoluzione e di sempre maggiore impatto sul pubblico più vasto, avendone quotidiano contatto coi luoghi di progettazione e di produzione, oltre che di vendita, e quindi di maggior contatto coi bisogni e coi gusti del compratore.





Luceplan, 2005, Alberto Meda e Paolo Rizzato - Queen Titania. L'edizione in formato extralarge di un'icona della produzione di Luceplan. Raddoppiata nelle dimensioni e nell'impatto visivo, Queen Titania è progettata per l'illuminazione di grandi ambienti. La struttura lamellare dell’involucro è composta da una sequenza ordinata di centine in alluminio che hanno la funzione di riflettere e smaterializzare la sorgente luminosa. la lampada assume aspetti volumetrici diversi a seconda del punto di vista: trasparente se osservata di fronte, solida se osservata di fianco. L’inserimento di una coppia di filtri a lato della sorgente luminosa, consente di colorare il corpo della lampada senza interferire con l’emissione di luce bianca.


Merce divenuta arte, oggi, il design passa da un periodo nel quale essere solo un lusso non paga più sui mercati occidentali dilatatisi a dismisura per prodotti di questo tipo, che hanno chiesto da tempo di diffondersi in tutte le case, divantando merce povera in termini di costo unitario ma non di valenze, mentre il "lusso" può ora permettersi un nuovo status, ovvero essere antiquariato (o modernariato che dir si voglia), ovvero di essere oggetto scarsamente reperibile, oppure d'essere l"usso" perchè inserito in produzioni "d'alta gamma", in cui, tra ricerca, materiali e metodi produttivi difficoltosi e complessi, marketing sofisticato e firma di prestigio, s'ottiene il giusto mix per fregiarsi dell'appellativo di "status simbol".





Flos, 1991, Gun Collection by Philippe Starck. La lampada con il grillett. All'accensione, le lampade di norma fanno "click!". Con questa c'e' rischio di sentire un "boom!".
Ma non preoccupatevi.
In realtà, malgrado la forma quantomeno audace di questa lampada, la Lounge Gun di Philippe Starck è innocua e tutto quello che può fare è sparare, si, ma un fascio di luce.
Realizzata con corpo in alluminio pressofuso sovrastampato con polimero ad iniezione e finitura galvanica in oro opaco 18K, è alta 165 cm da terra.
La particolarità della Lounge Gun non è tanto il diffusore, pur sia impreziosito dal rivestimento in carta serigrafata oro all'interno, quanto piuttosoto lo stelo che lo regge dalla particolare forma di fucile puntato verso l'alto.
Questo modello fa parte della linea Gun Collection di Flos, all'interno della quale sono presenti altri complementi in stile, anche da tavolo.


Distinti e variati targets, ben precisamente collocati per le distinte distribuzioni di mercato, tutto però ben ancora unificato dall'essere parte d'un club esclusivo, con tanto di consapevole atto di appartenenza, quello di chi sà cosa distingua il design da prodotti d'altra natura, di cui ancora pieni sono i centri di vendita, che siano essi bancherelle della strada o mega magazzini specializzati. Che la pentola sia o no design lo stabilisce una cultura alla quale ormai tutta la gente guarda consapevolmente quando sceglie, o quando si interroga sul come ed ove utilizzare questo o quel prodotto. Che il water sia o no di storico o recente design, pure viene stabilito al momento di ristrutturare il bagno, e così vale per il rubinetto o lo scopino. Se la poltrona debba essere oppure no un prodotto di design, se il tappeto debba essere un kilim piuttosto che un Marimekko, se le sedie del terrazzo debbano oppure no essere trattate come "prodotti di consumo" piuttosto che fattori che potranno pienamente dimostrare le nostre possibilità economiche.





Morfeo, progettato da Stefano Giovannoni e prodotto da Domodinamica nel 2002, è un divano che propone in chiave ironica una sintesi tra zona giorno e notte; sullo schienale sono integrate due comode lampade snodate da lettura e all’occorrenza il divano nasconde una rete metallica estraibile completa di materasso per trasformare Morfeo in un comodo letto ad una piazza e mezza. Un prodotto per il relax da vivere 24 ore su 24. La struttura è realizzata in poliuretano flessibile assemblato al telaio, il rivestimento è in tessuto elastico colorato.


Tutto quanto sopra riguarderà fattori di mercato che verranno attentamente analizzati dai produttori e dal marketing che ne individuerà i più attendibili consumatori. Spesso accadrà anche che i diversi targett si mescolino l'uno nell'altro all'insaputa anche di chi produce e vende. Ma la qualità del progetto di ciascun prodotto non verrà minimamente intaccato da argomenti economicistici e di mercato in quanto essa farà parte indiferentemente del prodotto di più infimo prezzo oppure di quello molto molto più costoso, in quanto attiene all'idea che vi è sottesa, ed ai criteri di progettazione, il cui risultato formale sarà quello che decreterà inesorabilmente la riuscita in termini di prodotto artistico dell'oggetto, e non già quello, od esclusivamente, quello di vendita.






Miscelatore lavabo a fotocellula con scarico automatico, produzione Oras, 2010, design Stefano Giovannoni. Il nuovo miscelatore lavabo senza contatto è un’ alternativa ecologica per il bagno di casa, di alberghi e luoghi pubblici. Permette di risparmiare acqua ed energia. L’utilizzo dei rubinetti a fotocellula è facile e sicuro: è sufficiente avvicinare le mani al rubinetto e l’acqua comincia a scorrere. Alla fine dell’uso il rubinetto si chiude automaticamente. Non occorre toccare il rubinetto, né prima né dopo il lavaggio, garantendo così la massima igiene senza sprecare acqua.


Occorre poi precisare che il design oggi è esso stesso considerato status simbol, in quanto prodotto di cultura, e molte case si riempiono di oggetti di basso o bassissimo costo che sono portatori di messaggi subliminali densi di significato, quali creatività, fantasia, colore, humor, che li sanno rendere bene accetti da chi ne comprende il linguaggio, o addirittura assai ricercati da chi attraverso il design intende autorappresentarsi. Molti collezionisti oggi arredano le proprie abitazioni con prodotti "d'annata", non più presenti nei cataloghi, o con prodotti di grandi firme dell'architettura e del design, o con pezzi assai costosi, così come, una volta, si faceva, ed ancora si fa, con le opere d'arte pura, con quadri d'artisti conosciuti, con opere di serie di grandi firme dell'arte, con pezzi di scultura o di artigianato particolarmente esemplari o significativi della cultura alla quale appartengono.




Alessi Ship Shape Container by Stefano Giovannoni


Il design infatti, in questo modo, ha saputo portare l'arte in ogni casa, a prezzi anche stracciati, attraverso formule di produzione e di distribuzione che hanno saputo fare tesoro dell'insegnamento dei grandi maestri dell'architettura che sin dalla fine del secolo XIX davano corso all'idea che, attraverso la meccanizzazione e ad intense forme di industrializzazione, si potesse giungere facilmente alla produzione di massa d'oggetti anche di grande bellezza. Il cammino, da allora, non fu così semplice come lo si pensava all'inizio, ma condusse pur sempre al risultato auspicato.




Carlotta de Bevilacqua, lampada da tavolo, serie in piedi Metamorfosi. Disponibile in fluorescente (Yang) e alogena (Yang touch). Six feet poco si può regolare la posizione con diverse inclinazioni. Tre proiettori con filtri dicroici nei colori rosso, verde e blu, permettono infinite atmosfere di luce rossa. Materiali: struttura in acrilico e policarbonato, maniglia in alluminio (solo Yang touch).  Emissione di luce: diffusa, bianca e colore.  Yang: attraverso un telecomando in grado di gestire 10 atmosfere standard, crearne e memorizzarne altri 10 e gestire l'intensità luminosa. Un display sulla lampada visualizza la atomósfera selezionato.  Yang touch: regolazione del clima colorato e l'intensità della luce è ottenuta in un modo unico per ogni lampadina tramite tre pulsanti sul corpo della lampada. Una maniglia facilita il trasporto.


L'essenza del design, perciò, fu promotrice d'una divulgazione d'oggetti sempre più semplici nel disegno e sempre più complessi nelle tecnologie d'utilizzo. Molti oggetti che hanno fatto la storia del design hanno infatti avuto la funzione di difondere oggetti d'uso comune, come sedie o lampade ad esempio, realizzate con modernissime tecnologie del legno o del metallo che ne forgiavano la forma in modo inconsueto e talvolta pertfino impossibile manualmente (vedi le Thonet, o le Prouve, o le , oppure le lampade di, rendendo riconoscibilissimo ed anzi auspicabile la derivazione industriale di questo o di quel pezzo).





Magic Bunny, 1998, Portastuzzicadenti di Stefano Giovannoni per Alessi.


I Grandi maestri vi lasciarono poi la loro personalissima e riconoscibile impronta in oggetti di grandissimo pregio, attraversdo produzioni in esclusiva che ne tradirono in parte gli assunti sociali, ma ne divulgarono il messaggio qualitativo, così contribuendo a far diventare il design l'arte per eccellenza a produzione seriale.





Chair One, 2004, sedia prodotta da Magis e disegnata da Kostantin Grcic. Chair One, una particolare sedia dallo stile innovativo è realizzata nella versione con sedile fisso o girevole con meccanismo di ritorno della seduta. Materiali: base in cemento verniciata trasparente neutro. Sedile in pressofusione di alluminio, trattamento di fluotitanizzazione verniciato poliestere.
Su richiesta sono disponibili i cuscini. Adatta anche per esterni. Prodotto ignifugo.
Colori disponibili: rosso, bianco, grigio antracite metallizzato, nero.


In questo modo la tecnica faceva mostra di sè arricchendo il progetto dell'idea primaria che solo attraverso la costante e appropriata applicazione logica delle tecnologie in continua evoluzione, si potesse innovare la produzione, e dare al mercato sempre più soddisfacienti prodotti in grado di rispondere alle esigenze dei compratori.





Prodotto da Magis questo Puppi è disegnato da Eero Aarnio.  Un prodotto oggi pubblicatissimo e presente in ogni rivista di moda, design, arredamento, architettura d'interni, cultura in genere, Body remotely familiar with the designs of Eero Aarnio will instantly realize that his latest creation, the Puppy, is 100% classic Aarnio. The Puppy is part of the new "me too collection" of children's furniture and accessories from magis. This adorable abstract plastic dog is constructed of hard polyethylene that is suitable for indoor or outdoor use. P=uppy is a sculpture, a toy, a small stool, whatever your imagination wants it to be. Puppy è proposto in decine di versioni e colori. In questa foto è la versione capace di muoversi per lungo tempo ad un solo tocco. Il cagnolino sembra vivo divenendo così sostitutivo del cagnolino vero, e come questo tanto amato (un po' come avveniva coi Pokemon per i bimbi più piccoli)


Con il superamento più o meno polemicamente orchestrato, a partire dagli anni settanta, del funzionalismo, e dell'idea che solamente attraverso la ragione applicata alla tecnica potesse derivare la qualità dei prodotti, possono essere spiegati i fenomeni tanto diversi e complessi che caratterizzano l'odierno design. Così come avvenne alla cultura del progetto architettonico, la critica serrata al funzionalismo ebbe seguito anche a quello del progettazione degli oggetti d'uso quotidiano, ove, la seconda fece seguito alla prima quando si dovette assistere al passaggio dal fenomeno del post-modernismo a quello di una sorta di post-essenza dell'oggetto di design. 






Sedile "Sella" di Zanotta, progettata da Achille e Pier Giacomo Castiglioni nel 1957. Sella di bicicletta da corsa, colore nero, asta in acciaio verniciato, colore rosa. Basamento in fusione di ghisa. Sgabello per telefono realizzato con elementi industriali, si traduce in una seduta “sempre in piedi”. Eʼ composto di un basamento dellʼequilibrio dinamico a mezza sfera in fusione di ghisa (diametro 33 cm), il sedile è composto di una sella da bicicletta in cuoio, regolabile in altezza, portata da un tubolare verticale in acciaio verniciato rosa. Lʼaltezza totale del sedile è di 71 cm ed è estensibile. Lʼidea progettuale di questo oggetto non può essere colta se non si ricorda che negli anni cinquanta la maggior parte dei telefoni anche nelle abitazioni erano collocati su di una parete e le persone per utilizzarli dovevano restare in piedi accanto allʼapparecchio. 
Oggi la "Sella" del maestro Castiglioni è un oggetto di culto e da collezione. Esso è utilizzabile come seduta temporanea in ogni ambito della casa. ma esso è soprattutto una scultura ed una icona del design concettuale, del quale Castiglioni faceva intelligente e costante uso, anticipando il design ironico e simbolico più tardi introdotto dai radical e soprattutto dalle nuove forme di cultura dell'immaginario a sfondo antropologico


Tale fenomeno, che non ebbe nessun addentellato col corrispondente architettonico, il quale vide in un primo tempo nascere una sorta di tendenza alla neo-classicità per poi assumere l'aspetto d'una moda che si volle determinare come "destrutturante", nel design divenne invece pura e semplice decontestualizzazione del significante (solo i primi edifici di Frank Gehry furono tali), così che uno scopino da cesso apparisse come una piantina, oppure un imbuto una maschera di pinocchio, o un cavatappi un omino divertente, oppure una lampada un mitra dorato, che più semplicemente tutto ciò apparisse come fenomeno d'ironico divertissement in grado di rendere, in sè stesso, più gradevole ed accettabile la vita domestica d'ognuno, pur nella consapevolezza dell'attimo fuggente che la determina e la rende evanescente.





Universalmente conosciuta è la poltrona UP 5-6 dalle forme femminili e con un poggiapiedi sferico che ricorda la palla al piede dei detenuti. Vuole rappresentare la condizione femminile di schiavitù nei confronti del proprio corpo e dell'immagine di donna oggetto. Pesce in tal modo esprime il proprio dissenso di designer socialmente impegnato verso la società consumista, che mercifica e riduce ogni cosa a oggetto di consumo.
L'uso di forme antropomorfe che ricordano quelle umane costituisce una rottura degli schemi nel disegno industriale, tradizionalmente legato alle forme squadrate del razionalismo. Di grande attrattività emotiva e per i sensi, fortemente fotogeniche, queste sedute hanno superato la loro funzione, per diventare attraverso la forma vere e proprie icone Pop del design moderno, così dirompenti da essere ancora attuali. La serie UP è perciò entrata di diritto nei manuali e nei musei internazionali di storia del design, per aver rappresentato una grande innovazione tecnica ed esempio mirabile di design organico.


Molto parlare oggi si fa nel quotidiano, sia tra gli addetti ai lavori che tra la gente, e molte anche incominciano ad essere gli studi che ne approfondiscono l'essenza, la storia e le evoluzioni del linguaggio, nonchè le pubblicazioni divulgative e di approfondimento per tutti.





 Ottima ci è sembrata, ultimamente la collana dedicata alle firme più significative che questa arte ha, sin dalle sue origini rappresentato, che l'hanno fatta, determinata e costruita nelle sue plurime valenze, sino alle più giovani generazioni che ne hanno saputo imprimere svolte molto significative sia sul piano del gusto che su quello dei significati. La collana "I maestri del design", edita dal Sole 24 Ore e diretta con acuta intelligenza da Andrea Branzi, è oggi un ottimo modo per portare a tutti non solo il design in quanto prodotto da consumare, ma anche l'oggetto di culto, da conoscere ad apprezzare perchè dice qualcosa sulla sua funzione, sulla sua storia e sui messaggi che sà mandare al mondo.




Alessi, SG04 "Merdolino", scopino da bagno. Con questo primo oggetto Alessi per il bagno, non esente da critiche per avere osato toccare un tema difficile, Giovannoni ha portato una ventata di poesia in una tipologia per noi del tutto inconsueta ma destinata ad aprirci un nuovo territorio di sviluppo.


Diventa chiara attraverso la lettura degli editoriali di Branzi quanto formidabile e significativa sia stata la svolta che dal design degli architetti ha condotto, fino ad oggi, al design dei creatori e manipolatori di messaggi, instaurando una cesura netta tra l'arte dei Maestri (quelli con la M maiuscola), che hanno mostrato quanto lo spazio non fosse solo architettura entro la quale proteggersi, ma anche gli oggetti  quotidiani che lo rendono vivibile, e la produzione di figure e immagini tridimensionali capaci sì d'esserci utili nelle loro funzioni primarie, quanto anche, e forse in taluni casi soprattutto, attraverso l'ammiccante linguaggio che ci rende sicuri, che perfino a volte sà renderci felici.



Privé di Cassina. Una collezione composta e formale, che racchiude seducenti elementi di deroga e trasgressione, uniti a sottile provocazione e ironia. Preziosa e sensuale nei ricchi rivestimenti in pelle, la collezione Privé si articola in diversi modelli: poltrone, chaise-longue e divani di diverse dimensioni. Le dimensioni lussureggianti caratterizzano il divano a isola con due schienali e bracciolo d’appoggio piatto. Di misura extralarge tanto da assomigliare a un letto, la struttura di base e i piedini di appoggio sono in alluminio lucido con fasce a vista in pelle. L’ampia seduta è in poliuretano espanso a densità differenziata, schienali e braccioli sono realizzati con struttura in acciaio e imbottitura in poliuretano espanso schiumato abbinato a ovatta di poliestere. Il bracciolo orizzontale destro o sinistro, che assolve anche la funzione di sostegno o piano di appoggio, può essere fisso o ad altezza variabile. Dettaglio prezioso, la lavorazione capitonné impiegata accanto alle superfici lisce in una dialettica alternanza. Il progetto è ispirato nelle sue forme e nei materiali utilizzati ai contenuti del design dei grandi maestri, da Le Corbusier a Mies van der Rohe. Il suo progettista, noto anche come appassionato cultore del sesso, ha confessato in una intervista, d'aver preso ispirazione, nel progettare questo prodotto, alle necessità  d'avere uno strumento ove poter fare bene l'amore. C'è da chiedersi se anche Albini, o Aalto, nella fase ideativa dei più noti loro progetti di chaise longue e di divani, abbiano tenuto conto di tale funzione...


Tavolino d'appoggio Gnome Attila di Kartell. Philippe Starck ci porta in un mondo favoloso, quello della magia e delle leggende. Incantevoli, ammaliatori, simboli di gioia, questi nanetti vi porteranno fortuna. Mobili da appoggio e piccoli sgabelli troveranno posto nell'universo dei grandi e dei piccini. 





Anche "Mezzadro" che Achille Castiglioni ha progettato per Zanotta nel 1957, assieme alla "Sella", è un oggetto che ha dato il via alla seconda vita dell'arte del design, alla sua "post-essenza", ovvero alla sua capacità d'essere altro, rispetto alla funzione attribuitagli, oppure, addirittura, solamente "altro"






Oggi anche l'oggetto più legato ad un utilizzo specifico, che voglia anche essere concepito secondo le tradizionali tecniche progettuali (discendenti dalla cultura degli architetti), come dimostra questo "Mami, bollitore", disegnato per Alessi da Stefano Giovannoni, cerca forme rassicuranti, avvolgenti, affettuose, invoglianti, materne, ecc....



Inversamente Philip Stark, come nella lampada mitragliatore per Kartell, e come in questo esempio di decontestualizzazione materica d'un disegno tratto dalla storia del mobile settecentesco, cerca enel proporre elementi di novità, un approccio fortemente ironico e beffardo
 




Franco Albini, 1940 (prototipo), Dondolo in legno PS16, 1959 (Poggi), 2009 (Cassina), legno di noce, tessuto, cuscini in gommapiuma rivestiti di panno, cinghie di pelle. Design artigianale con cenni di contenuto tecnologico, tratti dal repertorio classico della cultura degli architetti, prodotto indistriale di grande raffinatezza, come forse solo Albini sapeva fare, ancora totalmente pieno d'essenza, dell'essenza che del design ha fatto una nuova arte, e totalmente estraneo  alla piega successiva che abbiamo definito, per comodità, della "post-essenza, appunto per distinguerlo, sia sul piano contenutistico che su quello dell'approccio linguistico, da quello del quale questo esempio è ancora uno dei più alti che si possano annovarare


Lesa, 26 giugno 2011
Enrico Mercatali 



25 June 2011

Il turismo lacustre si raffina, arricchendosi di nuovi gioielli


Ora il Tesoro dei Borromeo è aperto a tutti
nella nuova ala del Palazzo all'Isola Bella 
Il grande evento è documentato da un libro presentato oggi alla Braidense di Milano




Bona e Gilberto Borromeo, gli eredi della casata più illustre di Milano, con possedimenti di prestigio sul Lago Maggiore, tra cui le perle del lago, le isole al centro del Golfo che prende il loro nome, da  anni curano con passione e dedizione e arricchiscono la famosa collezione di dipinti che ebbe origine da quando Vitaliano VI, alla fine del Seicento, inaugurò il grande palazzo sull'isola Bella con i suoi spettacolari giardini all'italiana.
Sono ancora loro, i rappresentanti odierni della casata, che hanno preso la decisione di aprire ora al pubblico una ala del palazzo che finora era rimasta in uso esclusivo dei membri della famiglia e dei loro ospiti, nella quale ha massimo spicco una vera e propria pinacoteca, ovvero una collezione di oltre 120 opere, composta da dipinti di elevatissimo pregio artistico, i quali, da oltre tre secoli, venivano raccolti con interesse autentico dai proprietari del palazzo, con l'intento di creare ammirazione e stupore da parte degli illustri invitati, principi, ambasciatori, dignitari d'ogni paese e provenienza che per ragioni politiche o diplomatiche erano a palazzo.




Oggi la vista di questo patrimonio diventa piacere di tutti i già numerosi visitatori del palazzo e dell'isola, che noi ci auguriamo diventino ancor più numerosi per via dell'ingigantirsi di una offerta turistica e culturale già così tanto apprezzata prima, per la magnificienza architettonica dei giardini dell'isola e del palazzo, che oggi sicuramente potrà meritare ulteriore attenzione da parte di tutto il pubblico, e degli amanti della pittura in particolare.



La copertina del volume che illustra e nalizza tutte le opere dell Quadreria borromaica all'Isola Bella, opera di Alessandro Morandotti e Mauro Natale



Contemporaneamente all'apertura della nuova ala e delle sale che contengono la preziosa quadreria è uscito nelle librerie il volume che ne illustra l'intera collezione, col titolo: "Collezione Borromeo - La Galleria dei Quadri dell'Isola Bella", dedicato allo studio dell'intero patrimonio, tesoro e simbolo stesso della casata, volume curato da Alessandro Morandotti, storico dell'arte, e da Mauro Natale. "La cosa interessante", spiega Morandotti nel presentare ogi stesso il volume alla Biblioteca Braidense di Milano, "è che la quadreria è l'unica collezione lombarda pervenuta sino a noi nel suo assetto originario", e ciò spiega la gelosa passione con la quale ogni membro della famiglia nel corso dei secoli vi abbia dedicato, arricchendola continuamente e mai smembrandola, il che l'ha fatta giungere fino a noi intatta.




L'arco temporale dei tre secoli che rappresentano, dell'intera quadreria, i nomi degli artisti più in voga nei laboratori artistici succedutisi dal XVI al XIX secolo, vanta nomi quali il Giampietrino, allievo di Leonardo, con la sua "Didone" (olio su tavola del 1520), il Procaccini, del quale vi è rappresentata la Trasfigurazione (olio su tela del 1588-89), il De Conti, altro Leonardesco, presente con un ritratto di giovane cavaliere del 1505-10), il Boltraffio, qui con un ritratto di dama in grigio (olio su tavola del 1498-1500). E poi Bergognone, Daniele Crespi, Paris Bordone, il Langetti, lo Schedoni, fino a Ludovico Carracci. Opere come queste, di questi artisti, restituiscono uno spaccato dell'arte e del costume nell'Italia settentrionale nei secoli nei quali la famiglia Borromeo era all'apice della sua potenza nel mondo allora conosciuto, e che esercitava la sua influenza nella politica europea dell'epoca anche attraverso le magnificienze che era stata capace di collezionare nel tempo, come ai quei tempi usavano fare i grandi della terra, regnanti, sovrani o principi che fossero, non solo per abbellire le loro dimore, ma anche per attrarvi l'interesse dei loro pari.





La raccolta si articola oggi in ambienti di varie dimensioni: arrivati in testa allo scalone del piano nobile, ci si addentra in due camerini fitti di dipinti significativi (tra i quali due Vedute di Roma di Gaspard van Wittel, un Ritorno del "Figliol Prodigo" di Alessandro Turchi e "Una Famiglia di poveri" di Giacomo Ceruti). Anche nello spazio ridotto di queste stanze i dipinti sono sistemati sulle pareti a mosaico, secondo un criterio decorativo comune alle dimore aristocratiche di epoca barocca.
Da qui si accede alla immensa "Galleria dei quadri", cuore pulsante del collezionismo della famiglia Borromeo tra la fine del Seicento e oggi, datta anche Sala Berthier, dal nome del generale napoleonico che, nell'agosto del 1797, vi dormì dentro all'alcova posta sul lato corto, così che dal letto vi si potessero ammirare tutti i quadri in essa collocati.






La "Galleria" è una tipologia architettonica molto diffusissima tra il Cinquecento e il Seicento in Europa, adatta alla civile conversazione ("Le Gallerie sono luoghi di trattenersi le persone nobili, e ricche, e passeggiare al coperto", scrive l'architetto Vincenzo Scamozzi nella sua Idea dell'architettura edita a Venezia nel 1615), ma soprattutto tradizionalmente destinata alla raccolta di quadri, sculture e oggetti d'arte. Conosciamo in molte parti d'Italia esempi illustri di questi ambienti dalla pianta sviluppata in senso longitudinale, ma la Galleria Borromeo dell'Isola Bella costituisce l'unica traccia superstite e intatta dell'antica fortuna di simili ambienti nel territorio dell'odierna Lombardia.








Gli antichi inventari di casa ce la descrivono con nomi diversi. Alla fine del Seicento viene indicata come "Galleria dei quadri vecchi", perché vi si conservavano anche opere di maestri attivi nel Cinquecento o nel primo Seicento, mentre sempre a cavallo fra Seicento e Settecento viene anche definita "Galleria dell'alcova", in virtù dell'originaria e insolita 'appendice' architettonica: una alcova aperta sulla Galleria, ma da essa separata attraverso il diaframma di una monumentale 'cornice' di gusto barocco, segnata dalla presenza di due lesene di marmo sormontate da una complessa 'armatura' decorativa in legno scolpito, dipinto e dorato con al centro lo stemma della famiglia. Il particolare fa capire quanto elevata fosse la considerazione che la famiglia aveva della quadreria, al punto da renderla disponibile agli illustri ospiti perfino durante la notte, in funzione così solo ed esclusivamente rappresentativa ed iconica.





A partire dalla fine dell'Ottocento, la galleria dei quadri venne anche detta "Galleria del generale Berthier" o "Galleria Berthier", in ricordo del soggiorno all'Isola, al seguito di Napoleone e della moglie Joséphine, del generale francese Louis-Alexandre Berthier (1753-1815).






Le pareti della Galleria accolgono circa 130 dipinti disposti ad occupare, con studiato horror vacui, ogni minimo spazio delle superficie muraria, letteralmente tappezzata da un mosaico di quadri, secondo quanto era tipico nell'allestimento delle quadrerie del Seicento e del Settecento. L'assetto odierno documenta l'ultimo ordinamento della Galleria, databile ai primi decenni del Novecento, ma gli studi in corso di Alessandro Morandotti e Mauro Natale permetteranno di seguire nel tempo, a partire dall'inaugurazione di quest'ambiente avvenuta poco prima della morte di Vitaliano VI Borromeo (1690), gli ingressi e le uscite di numerosi quadri, ancora oggi presenti in Galleria o invece dispersi in altre zone del Palazzo, in ragione dei cambiamenti di gusto dei vari membri della famiglia. 






Il numero dei dipinti esposti rimase costante nel tempo, ma l'originaria predominanza della pittura barocca dell'Italia settentrionale, e in modo specifico lombarda, venne col tempo modificata, soprattutto in seguito al cambiamento di gusto in età neoclassica promosse di Giberto V Borromeo (1751-1837); appartengono alla più antica fase tardo-barocca le ricche cornici intagliate e dorate che punteggiano le pareti della stanza, parte integrante del progetto decorativo della Galleria.
La Galleria include capolavori, opere d'arte di primo piano e , secondo una prassi ricorrente in altre collezioni nobiliari dell'epoca, alcune copie da grandi maestri del passato che documentano il successo duraturo degli artisti più illustri (Raffaello, Correggio, Guido Reni)






La Galleria dei quadri dell'Isola Bella è fondamentale per studiare la pittura lombarda del Rinascimento, dalle opere di alcuni strenui difensori della tradizione artistica locale come Ambrogio da Fossano, detto il Bergognone, e quelle della compagine dei pittori leonardeschi. Tra i dipinti che possono essere annoverati in questo ambito, si ricorderanno i due Ritratti di Giovan Antonio Boltraffio, il più dotato seguace milanese di Leonardo, o le seducenti eroine di Giampietrino, Didone e Sofonisba, degne di essere esposte idealmente, per il suadente accostamento alla maniera internazionale, tra le opere possedute dal re di Francia Francesco I nel castello di Fontainebleau.





La pittura veneta del Cinquecento è documentata dall'opera da un di allievo di Tiziano, il trevigiano Paris Bordon (1500-1571), attivo nella Milano di Carlo V (dove è documentato tra il 1548 e il 1551). Bordon venne apprezzato dai collezionisti locali anche dopo la morte, come è documentato tra l'altro dalle vicende della raccolta Borromeo, nella quale diversi erano i dipinti assegnati al pittore fin dall'inaugurazione del cantiere dell'Isola Bella alla fine del Seicento. 
In Galleria, tra le numerose opere che gli sono tradizionalmente attribuite, si riscontra la qualità di originale nella Sacra Famiglia con Santa Elisabetta, San Zaccaria e San Giovannino, un'opera di squillanti colori (tra aranci, rossi e viola) ammirata anche da Bernard Berenson in una sua breve visita all'Isola nel 1904.
Dominano le pareti lunghe della Galleria due tele colossali di Camillo Procaccino provenienti da chiese milanesi; sono attorniate da altre opere dei maestri del Seicento lombardo come Giulio Cesare Procaccini, Daniele Crespi, Giovanni Battista Discepoli (lo Zoppo di Lugano), Carlo Francesco Nuvolone o di autori riscoperti anche grazie alla riapertura della Galleria, quale si deve considerare Carlo Cornara (1608-1676), l'autore del Mosé che calpesta la corona del faraone (superstite e coloratissimo capolavoro del barocco lombardo fin dall'origine nella Galleria), ci introducono idealmente alla cosiddetta Sala del trono, una delle sale più spettacolari di tutto il Palazzo, vero e proprio museo dell'arte barocca lombarda.

A noi, che siamo interessati all'arte, e che al contempo coltiviamo le buone pratiche turistiche, la notizia di questo avvenimento pare fantastico, per le conseguenze che avrà sicuramente sul turismo del nostro territorio, ed italiano in generale, ma anche e soprattutto sulla selezione, in questo, d'un turismo più qualificato e attento non solo al mangiar bene e al dormir meglio, ma anche propenso agli approfondimenti che non dovranno restare soltanto degli addetti ai lavori, ma più diffusivi e generalizzati, specialmente se ogni operatore saprà fare bene e fare squadra con l'obbiettivo, che deve essere unico, di far progredire il nostro paese.


Stresa, 22 giugno 2011
Enrico Mercatali

20 June 2011

"Fascination for ceramics" - Mostra della ceramiche di Gio Ponti al Grattacielo Pirelli - Milano




Fascination for Ceramics
Gio Ponti  Una modernità sospesa





Una sorpresa non è stata il ritrovare alcuni disegni già da molto tempo conosciuti e pubblicati, tratti da alcuni pezzi assai famosi della collezione Richard Ginori, che Gio Ponti realizzò tra gli anni 1923 e il 1930, arrivando alla Mostra allestita nella sala Eventi al Piano terra del Grattacielo Pirelli, di Milano,  quanto piuttosto la grande novità di trovarvi una enorme quantità, o meglio una quantità da me veramente imprevista, di oggetti ceramici da lui dipinti, piatti e vasi, non uno solo che presentasse un calo di qualità rispetto agli esempi pur assai conosciuti e perciò a suo tempo selezionati da esperti collezionisti, da editori, da curatori di mostre, da critici d'arte: tutti di altissimo livello iconografico ed artistico.

Dico questo per cercare d'infondere interesse nel lettore non attento agli eventi delle arti minori, ma anche perchè corrisponde a verità l'impressione avuta che il livello eccelso raggiunto da ciascuno dei pezzi messi in mostra sia stato il frutto d'un perfetto connubio d'interesse artistico tra il giovane Maestro e l'azienda Richard Ginori per la quale egli creò queste ceramiche negli anni centrali del secondo decennio del secolo scorso.



Soggetti allegorici e mitologici tratti dal repertorio iconografico classico, ma anche dalle narrazioni popolari in voga in quel periodo, questi oggetti di pregio, per la finezza delle porcellane e dei decori utilizzati, avevano un gran mercato nel periodo compreso tra le due grandi guerre mondiali, ed il loro creatore era allora un architetto che s'avviava già a diventare un nome assai importante nel panorama mondiale, per le prime case da lui costruite, ma soprattutto per le riviste che aveva fondato, d'arredamento e architettura, e che erano pure ritenute non solo in Italia le migliori d'allora in questi campi: Domus (1928), Stle (1941). L'architetto era Gio Ponti.
Ecco che il giovane Ponti, lavorando per una azienda di prestigio, quale già allora Richard Ginori poteva vantarsi d'essere, divulgava, non solo tra le classi agiate che acquistavano simili chicce, ma anche ai lettori tutti delle sue riviste di stile, moda, arti e architettura, la sua maestria multiforme che  egli dimostrava d'avere, la quale non solo spaziava dalle arti decorative applicate alle costruzioni e all'arredo di interni, ma anche alle arti minori tra cui il disegno per l' arte della ceramica.




Queste divennero per lui, tra l'altro, un lait motiv che lo accompagnò per tutta la vita, diventando perfino oggetto di interesse per chi, di lì a poco, si mise a produrre ceramiche da pavimento e da rivestimento, perfino di facciate di edifici.  Egli stessò ne propugnò un uso sempre più vasto in tali settori sino a divenirne emblema stesso di modernità e prestigio, per le enormi possibilità decorative, derivanti dall'uso del colore in varianti praticamente infinite. L'arte della ceramica divenne perciò nei decenni successivi terreno di cimento da parte sia degli industriali che vi seppero vedere un futuro, ma anche da parte di artisti e architetti che ne seppero proporre varianti capaci ancor oggi di stupire per quanto ingegnose ed allettanti a fini applicativi sempre più vasti, così passando da un fatto puramente decorativo in senso stretto, come questo vasellame può dimostrare, a materiale funzionale e decorativo al contempo, dilatando il proprio campo di applicazione a dismisura, come lo stesso Ponti seppe dimostrare. 


 



Ma lo scopo di questa mostra è quello di mostrare qui del Ponti più giovane la doti d'artista, più che di architetto, che invero con queste ultime sono sempre coesistite. Il richiamo ai temi classici è qui un misto di tributo alle mode dell'epoca, ma anche una sintesi del gusto, il quale, specie in chi, come lui, sapeva spaziare liberamente nei diversi campi di applicazione della nozione di arte, stava per portare alla luce quanto già vi era custodito in nuce. Una classicità semplice e lineare, costituita da una sintesi formale estrema e pulita, portata e vocata a quello che oggi definiamo minimalismo, che tra la fine dei '20 e l'inizio dei '30 già veniva espresso dagli anticlassicisti nelle nuove forme che il razionalismo si accingeva a produrre. Daltro canto già all'inizio dei '20 a Vienna c'era chi turbava la quiete dei benpensanti erigendo palazzi totalmente privi di aggiunte decorative (vedi Loos nella Michaeler Haus). Ma in Italia a risultati analoghi si giunse con almeno vent'anni di ritardo, proprio perchè non furono protagonisti gli elementi di rottura, gli eventi provocatori, quanto un più lento rimescolarsi dei due filoni, che Ponti rappresentava perfettamente in se stesso, quello di derivazione classicista, sia pure nella sua estrema sintesi purista, che qui ben vediamo espresso nelle ceramiche Richard Ginori, e quello orientato alle nuove istanze del funzionalismo e della razionalità formale. Questi due distinti elementi giocarono sempre in Ponti come elementi di un dialogo proficuo tra tendenze, senza mai che una di esse potesse sovravanzare l'altra. E questo fattore resterà ben evidente in tutta la sua opera architettonica, specialmente evidente in quella più tarda.



"Classic conversation", "La conversazione classica", white porcelain with blue, grey, black, purple, green brown, orange-yallow decoration 19 cm h., Cerro di Laveno, collezione privata



E' d'altro canto anche evidente che l'evento bellico del secondo conflitto mondiale ha costituto un forte fattore di cesura tra tutto ciò che la precedette e quanto la seguì, nel campo delle arti e dell'architettura, e se alcuni elementi classici ancora ben convivono coi passi che anche Ponti faceva ancora alla fine dei '30,  per  seguire i richiami che l'evoluzione del gusto ed i nuovi principi dell'architettura facevano provenire dal resto d'Europa, certamente nel dopoguerra questi erano scomparsi del tutto in favore d'una decoratività d'altra maniera, più moderna non solo nell'uso ma anche nel segno, più geometrizzante, più netta, più astratta.
Ora, tornando al tema della mostra, e alla stupefacente produzione pontiana in Richard Ginori, sospesa tra classicismo e modernismo, è questa appunto che, forse assai più d'ogni altra produzione dell'artista architetto, a ben rappresentare questo passaggio di gusto al moderno, attraverso la lenta evoluzione dell'elemento classico, ed alla lettura sobria, essenziale di questo, e a dichiarare anche quanto, in tale lentezza evolutiva, stia proprio l'aspetto che caratterizza l'evoluzione del linguaggio nel nostro Paese, mai perfettamento maturo per la modernità quanto indulgente verso le tradizioni, specie se appartenente ai settori cosiddetti "minori", che sono oggetto d'interesse da parte di categorie di cittadini e di consumatori più propense alle selezioni più guardinghe, meno innovative.
Nonostante ciò le ceramiche Ginori ebbero enorme successo, proprio per l'art direction pontiana, ed un salto di qualità propose all'intero settore. Dobbiamo ricordare altri due settori dell'attività artistica dell'epoca che si avvalsero d'una interpretazione altrettanto attenta al dettato del mondo classico nel linguaggio formale tendente alla modernità. E non è un caso che siano entrambi settori di punta nel quadro mediatico d'allora: i cartoons, quale settore speciale e innovativo dell'arte della pellicola, e l'advertising, e la cartellonistica pubblicitaria. Tutta la produzione di quegli anni in tali due settori ricalca il gusto che abbiamo descritto, appartenente ad una linea mediana che attraversa orizzontalmente il lento passaggio dal dettato classicista, specie evidente nella figura umana e nella stilizzazione e simbolizzazione dell'architettura, alla sintesi semplificatoria e telvolta riduttivista della forma moderna, quella proposta dall'arte della pittura e della scultura nel passaggio tra la fine del secolo precedente e il primo decennio del ventesimo.



"La conversazione classica che Gio Ponti  ha disegnato per il grande vaso chiuso per Richard Ginori è quasi un programma. E' l'ideale di città. Il suo bel piano di marmi contesti s'allontana nell'orizzonte tra respiri calmi di misurate proporzioni; è più di una conversazione classica, una infinita conversazione di cose e di spiriti ne spiega ed intesse l'ideale ritmo. Nella conversazione classica ogni figura è al suo posto, ogni gesto è controllato, ogni scena è rinchiusa. Son pure persone vive questi putti con la serpe, l'emafrodita, il filosofo seduto, il disegnatore, il nummario, il polipo della fontana, l'architetto; e pure sono così regolati come pedine di scacchiera, che s'infilano a piombo come statue. E' un curioso gioco. Sembra che le figure s'impietrino, e invece la città si muova nell'obliquo scorcio. Il programma teorico si dichiara in forma di fiaba". Così il critico d'arte Raffaello Giolli scrive sulla rivista "Problemi d'arte attuale" a commento della Biennale di Monza del 1927." 




"Egli svela", continua Dario Matteoni, curatore della mostra al Pirellone, "o meglio ancora promuove, l'ispirazione nerrativa che pervade la produzione di ceramiche che di lì a poco Gio Ponti avrebbe reso tanto cospicua per la Richard-Ginori, la storica manifattura per la quale il giovane architetto nel 1923 avrebbe assunto la direzione artistica." Continua poi Matteoni, indagando a fondo lo spirito del tempo e lo stato dell'arte in quello scorcio d'anni, "E' assai probabile che la successiva immagine della scacchiera, nella quale Ponti obbliga i suoi personaggi, rachiusi, o forse sospesi, come pedine in uno spazio di misurate proporzioni, eppure vivi e desiderosi di dare corso alle proprie intime pulsioni, rimandi, nella lettura proposta da Giolli, al romanzo di Massimo Bontempelli "La scacchiera davanti allo specchio, pubblicata nel 1922. 





E' un infinito conversare quello che attraversa programmaticamente, ma anche materialmente, lo scenario di una città immaginata, definita da regole e ritmi di assoluta classicità. I tanti peronaggi, intercalati da oggetti che alludono alla classicità, quali colonne, obelischi, vasi, emergono dalla continuità di una pavimentazione rigorosamente scompartita e disseminata di segni anch'essi tratti dall'antico."




Milano, giugno 2011
Enrico Mercatali

A Milano, Grattacielo Pirelli, dal 6 maggio fino al 31 luglio (dal martedì al venerdì ore 15-19, sabato e domenica 10-19).


jj




19 June 2011

Nella Grande Vagina di Anisk Kapoor (alla Fabbrica del Vapore di Milano) - testo e foto di Enrico Mercatali



Nella Grande Vagina

di Anish Kapoor
Mega Installazione site-specific del grande artista angolo-indiano
alla Fabbrica del Vapore di Milano



Anish Kapoor all'imboccatura della sua installazione milanese, appena montata.



Dirty Corner è il titolo dell'opera colossale (60 metri di lunghezza x 7 metri di altezza) che Kapoor, uno dei più grandi artisti contemporanei, ha progettato e realizzato specificamente per la sua esposizione dentro all'edificio più ampio della Fabbrica del Vapore, a Milano, e che potrà essere visitato fino all'8 gennaio del 2012. Essa propone la rappresentazione iconica d'un percorso che è stato all'origine stessa della vita di ciascuno di noi, sia all'atto del concepimento, sia al momento stesso della nascita. E' infatti una Grande Vagina che vi vediamo rappresentata, entro la quale il pubblico viene come istintivamente risucchiato, attratto dall'oscurità dei suoi misteri, da un infinito  ed incommensurabile interno fatto di memoria primigenia, ed anche di possibile futuro.
Dirty Corner è una installazione "site specific", voluta dal Comune di Milano proprio in occasione della inaugurazione delle opere di restauro da poco terminate dell'intero comparto della "cittadella dell'arte giovane" nella quale il Comune stesso ha inteso trasformare l'intera area della già soprannominata "Fabbrica del Vapore" che, nel cuore di Milano (via Procaccini, angolo Cimitero Monumentale), da tempo vede attivo un utilizzo, sporadico e poco organizzato, a scopo espositivo degli antichi corpi di fabbrica protoindustriale della Ex Carminati e Toselli (fabbrica che fin dal 1936 costruiva vetture tramviarie). In essi, ed in particolare nel più vasto degli edifici, quello che da tempo veniva soprannominato "la Cattedrale", oggi pullulano i laboratori d'arte gestiti da giovani artisti, selezionati in base a un bando pubblico, ove si svolgono attività di sperimentazione culturale e artistica. Nel bel mezzo del gigantesco  piazzale centrale, tra le vecchie fabbriche, sorge tra l'altro in sede provvisoria il Nuovo Teatro Ciak, che costituisce una tra le più vivaci realtà culturali cittadine, divenuta nel tempo fucina di talentuosità giovanili dello spettacolo. 





Quello della "Cattedrale", che all'interno alla Fabbrica del Vapore (già destinato all'assemblaggio delle vetture tramviarie, quindi dotato di carri-ponte tuttora esistenti che consentivano il sollevamento delle vetture per disporle sui binari) è lo spazio più vasto, capace di raccogliere fino a 2000 persone,  è stato scelto per esporvi, in occasione della sua inaugurazione, la più grande installazione che sia mai stata realizzata in un interno, un'opera assai speciale di uno dei maggiori artisti contemporanei, l'ianglo-indiano Anish Kapoor, da tempo portato alla realizzazione di opere gigantesche ovunque nel mondo,  capaci di una fortissima attrattiva di pubblico. Qui a Milano vi è stata abbinata anche la mostra di altre sue opere, alla Rotonda di via Besana, che ne illustra l'originale percorso artistico.






Trattasi di un'opera, Dirty Corner, della quale si parla da tempo a Milano, ora finalmente realizzata dall'Assessorato alla Cultura e a quello dello Sport e Tempo Libero del Comune di Milano in collaborazione con la società di produzione artistica  MADEINART.
Dirty Corner è opera assai caratteristica e tipica dell'arte di Kapoor, scultore che, come anche abbiamo appreso dall'ottimo filmato a lui dedicato che si può vedere nel corso della visita alla mostra, da almeno 10 anni, utilizza esclusivamente due materiali, l'acciaio e la cera, per confezionare le sue opere.

Egli ha con la scultura una vera e propria affinità elettiva. Egli porta dentro di sè il convincimento che solo attraverso una lenta percezione visiva ed un contatto altrettanto intenso con forme tridimensionali nello spazio possa essere raggiunto uno stato di piena consapevolezza del proprio essere e dello spazio stesso che ci circonda. Diventerebbe perciò un unicum di perfezione assoluta il nostro sentirci parte integrante d'uno spazio costituito da forme tridimensionali che percepiamo come perfettamente appropriate al nostro modo naturale di sentire e di vedere, attraverso una percezione coinvolgente e completa. Ed è la ricerca appunto di Kapoor, attraverso la scultura, di tale perfezione che lo ha portato a sperimentare, nelle numerosissime opere anche pubbliche, spesso di dimensioni gigantesche, la ricerca del "silenzio", ovvero, come spiega l'autore, del raggiungimento d'una armonia interiore assoluta, ove null'altro occorra alla percezione per darci la sensazione d'aver ottenuto una perfetta corripondenza tra noi e il nostro spazio. Un modo altamente filosofico di correlarsi, da parte dell'autore, alla propria opera, in un continuo ricercare i termini di una perfezione che ha già trovato assai convincenti espressioni di partecipazione da parte del pubblico, specie nelle realizzazioni di grande dimensione ed impatto con l'ambiente.





La sua ricerca perciò si è sempre rivolta al tentativo di ottenere, attraverso la scultura, unica arte possibile in tal senso, l'armonia più completa  tra una forma tridimensionalmente percepibile e lo spazio che la contiene e la avvolge, così che, quasi, verrebbe da dire, non dovessero darsi altre possibilità formali in quello spazio se non quel frutto ottenuto da questo indagare continuo e quasi ossessivo attorno al nocciolo ideale dal quale l'esperienza ha avuto inizio.

Trattasi quasi sempre, spiega Kapoor nell'intervista che ha rilasciato per il filmato presente alla mostra, di forme astratte, assolute e pure, nelle quali il colore assume una importanza ostentatamente basilare (la sua ricerca  si incentra sui gialli intensi, sui rossi - l'ormai famoso Rosso Kapoor - e le superfici perfettamente riflettenti), nelle quali anche la materia e la predisposizione d'una particolare superficie, o pelle, assume la sua importanza primaria. Trattasi di forme dotate di una spiccata tensione o propensione alla sensualità, alla fluidità, alla morbidezza avvolgente, e alla percezione di essa in termini non solo visivi, ma anche e soprattutto tattili, essendo esse attrattive all'accarezzamento, e al godimento che da esso può esservi tratto, come spesso dimostra lo stesso artista, che indaga le superfici da egli stesso create, mentre muove su di esse la mano, per assaggiarle, per assaporarne le sensazioni tattili, come si vede nel filmato, mentra ne certifica estasiato il risultato ottenuto, alla fine del lungo lavoro effettuato non solo da parte sua, ma anche delle numerose maestranze che con lui collaborano nello studio.





In effetti, pur essendo ogni sua opera assai diversa dalle altre per forma, colore, materiale utilizzato, efinitura, occorre riconoscere la grande capacità di Kapoor di "integrarla" in modo sorprendente allo spazio  che la contiene, in modo che vi appaia come "naturalmente" in esso disposta, sia esso un interno, come nel caso della nostra mostra milanese, oppure viceversa d'uno spazio esterno, come quella grande, sterminata piazza del Millenium Park di Chicago nella quale domina al centro una sorta di grande sella iperbolica continua, dalle forme ricurve e avvolgenti, in acciaio reso perfettamente specchiante in ogni sua parte, al di sotto della quale si muove la folla dei passanti, che la tocca e nella quale vi si specchia, stupefatta per la perfezione d'un momento tanto particolare ed intenso che  in quel sito vi si è vissuto come perfettamente inserito. E' quasi il ritorno, questo d'oggi, allo stupore che sapeva destare la grande statuaria rinascimentale nell'astante, che vi scopriva il senso della perfezione, d'una armonia irripetibile che sapeva fare grande l'Artista Maestro che ne era l'autore. Sì, oggi, credo trattasi proprio di questo, ovvero d'un ritorno (che accomuna alcuni tra i più grandi artisti contemporanei, tra cui certo dobbiamo annoverare anche Anish Kapoor, specie quando lavorano nella sfera pubblica) ad una squisita comunicazione con il loro pubblico, e perfino con le folle (come avveniva per esempio nel Cinquecento fiorentino in un momento topico come fu quello della traslazione pubblica del Davide michelangiolesco in piazza della Signoria).




Trattasi questa volta di un lungo tunnel, nel quale il pubblico è invitato ad entrare ed a percorrerne il lungo tratto interno alla struttura tubolare in acciaio Corten che lo contiene, fino all'estremo senso di  smarrimento che ciascuno avverte a causa del buio pesto che vi regna all'interno appena percorso un piccolo tratto che lo separa dall'imboccatura. Qui l'esperienza estetica assume una rilevanza sensoriale particolarmente molteplice ed estrema, risolvendosi a tratti, per alcuni, in un vero senso di decontestualizzazione e di paura perchè non se ne vede più una via d'uscita.
Assai spesso l'artista ricorre a forme organiche assai sensuali dall'aspetto avvolgente ed assai levigato, che invogliano ad essere guardate a lungo e poi toccate. Spesso gli capita di rappresentare l'imbocco d'una vagina e di descriverne l'ancestrale attrazione da essa suscitata in chiunque di essa abbia saputo trovare la strada d'un ricordo, e d'un benessere innato ad essa dovuto, dei liquidi che in essa transitati abbiano fecondato la vita, del liquido nel quale prima d'emergere alla vita ciascuno  ve ne abbia  sperimentato le piacevolezze primigenie d'un contatto con se stesso e con il corpo della propria madre. Percorso psicoanalitico quindi, questo, ricercato da Kapoor, per far compiere ai suoi visitatori in una dimensione non più solo visiva, ma olistica, l'esperienza di tutto ciò che sensualmente ci attragga, attraverso l'atto sessuale, il quale si trasforma, egli spiega, in molte culture, anche simbolo religioso. Ma a noi pare che nulla vi sia da spiegare in quanto appare del tutto evidente, specie quando entri in quell'antro scuro (quasi fosse questa la caverna degli istinti primordiali di cui parla Eugenio Scalfari nel suo "Scuote l'anima mia Eros") e, mentre percorri con difficoltà il lungo percorso fino al punto più interno, ti pare proprio d'essere uno di quegli spermatozoi particolarmenti arditi che ce la fanno, anche se a fatica,  ad arrivare alla metà.



 In questa foto, e in quella sotto, l'imboccatura del lungo tunnel visto dall'interno, a pochi metri da esso. Dopo esservi entrati per una ventina di metri, l'imboccatura sparisce completamente lasciando al buio completo chi vi si è avventurato all'interno



L'installazione consiste nella presenza, entro la navata centrale della "Cattedrale", di un enorme tubo in acciaio Corten, realizzato in più sezioni, sia in lunghezza che in altezza, finito all'esterno con una superficie rugginosa, dall'imboccatura a tromba, ben divaricata ed invogliante così da captare l'interesse del pubblico ad entrarvi, per iniziarne il percorso intriso di sensazioni, previste dall'artista, tra cui il senso di smarrimento, e perfino di panico per taluni, che nascerebbe dal sentimento claustrofobico che la pura oscurità produce mentre si è anche immersi nella folla.  A metà del tubo, all'esterno, l'artista ha previsto che un nastro trasportatore scarichi continuamente del materiale sabbioso di colore scuro, in modo lento e silenzioso, fin tanto che, dopo mesi, questo dovrebbe averne completamente ricoperto l'intero tratto in lunghezza.











Le due foto sopra: "Cloud Gate" al Millennium Park di Chicago. In quella qui sopra Anish Kapoor vi si riflette in mezzo alla folla. Qui sotto "C-curve (2007), opera le cui immagini sono esposte alla Rotonda di via Besana, con la quale l'artista vuole creare un forte effetto di spaesamento. Sotto, in perfetto "rosso Kapoor", "My Land Homeland (2003), installazione  in continuo divenire, in cera rossa, esposta alla Roltonda della Besana. Il colore rosso utilizzato per l’installazione milanese, ad esempio, fa riferimento al sangue e alle viscere e dunque alla condizione umana, ma in qualche modo anche alla storia dell’arte.








Anish Kapoor a Milano Rotonda della Besana – via Enrico Besana 12
31 maggio - 9 ottobre 2011
Fabbrica del Vapore – via Procaccini 4 31 maggio – 8 gennaio 2012
Orari Lunedì: ore 14.30-19.30
da martedì a domenica: ore 9.30-19.30 giovedì e sabato: ore 9.30-22.30 (ultimo ingresso un'ora prima della chiusura) Biglietti 6 euro per ciascuna sede espositiva 10 euro per entrambe le sedi.




Milano, 16 giugno 2011
Enrico Mercatali
(foto alla Fabbrica del Vapore, tranne l'ultima, di Enrico Mercatali)