THE MAGAZINE OF THOUGHTS, DREAMS, IMAGES THAT PASS THROUGH EVERY ART OF DOING, SEEING, DISCOVERING

28 March 2013

del Museo Mercatali, nel prosieguo della sua attività "Enrico Mercatali, pittore, grafico e poeta anni '30", in Lesa - Lago Magiore (di E. Mercatali)

Enrico Mercatali, "Ecco le donne!", particolare, 1939



Museo
Mercatali

continua la sua attività


Nel dare avvio a Lesa, in Casabella-Lago Maggiore, a "Museo Mercatali", iniziativa museale virtuale incentrata sulla figura d’artista di Enrico Mercatali, che ha vissuto e operato dalla fine degli anni '20 all'inizio dei '40, assurgendo a fama internazionale, Taccuini ne pubblica oggi un articolo che, dando conto dell’avvenuto oblio, cercandone le motivazioni, raccontandone la storia, intenda oggi dare un senso all’idea di raccoglierne i cocci entro un contenitore che ne sappia riattribuire i giusti meriti, e le qualità da rivendicare alla storia.

Sopra al titolo: di Enrico Mercatali un dettaglio del bozzetto acquarellato dal titolo "Ecco le donne!", del 1939
Sotto al titolo autofotografia di Enrico Mercatali scattata all'inizio degli anni '30
Qui sopra una autocaricatura autografa di Enrico Mercatali eseguita nel 1934

Nel voler descrivere di Enrico Mercatali i lineamenti d’un contributo, e d’un quadro stilistico personale ma anche organico alla prospettiva storico-artistica del novecento milanese, ben tracciabili attraverso il sia pur esiguo materiale documentale oggi rimasto, e nella memoria di chi ve li descrive, per sommi capi ve ne riportiamo qui un riassunto, anche inquadrandone i tratti biografici dell’uomo e dell’artista che sono ben collocabili, a partire dal periodo pur breve che egli visse, nell’impianto novecentista ad oggi consolidatosi.
Sono forme, stili, caratteri, figure, idee che ancora muovono l’immaginario di chi le osserva nell’opera di Enrico Mercatali collocandole sullo sfondo del panorama novecentista che ha avuto a Milano le sue massime espressioni nella grande mostra Annitrenta”, realizzata a Palazzo Reale nel 1982, e nell’odierno Museo Novecento.

(Continua)
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27 March 2013

Ville Savoye, Casa Farnsworth e Fallingwater in "Capire gli spazi che viviamo" - di Enrico Mercatali e Vanessa Passoni





Il duplice approccio oriente-occidente
ci aiuta a capire gli spazi che viviamo




Sopra e sotto al titolo: Tre immagini delle vedute esterne (sopra) ed interne (sotto) di Ville Savoye (1928-31) di Le Corbusier e Pierre Janneret a Poissy presso Parigi, di Casa Farnsworth (1945-51) presso Chicago, di Ludwing Mies  van der Rohe e di Fallingwater (1935-39) di Frank Lloyd Wright, presso Bear Run in Pansylvania


Taccuini Internazionali ha visitato le tre case più pubblicate al mondo, opera di noti maestri dell'architettura moderna, per rilevare ed annotare aspetti ai quali i più prestigiosi critici e storici dell'architettura hanno dato scarsa importanza: abbiamo, per così dire, "testato" la vivibilità dei loro ambienti interni. 

(Continua)
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18 March 2013

Novara: Teatro Coccia e Barriera Albertina (di Eliana Frontini - prefazione e postfazione di Enrico Mercatali)



Questa sera a teatro


al Coccia di Novara
attraversando la Barriera Albertina


 
"Passeggiando tra belle ottocentesche architetture"
-  II  -

di Eliana Frontini
(prefazione e postfazione di Enrico Mercatali)  



Da tempo il nostro magazine aveva in mente di introdurre i suoi lettori alla splendida sala del Teatro Coccia di Novara, così prospettandovi una realtà non solo architettonica e culturale, ma anche artistica, sociale ed imprenditoriale  di grande valore nel territorio italiano di Nord-Ovest. Spiccano ovunque, in Italia, le perle del melodramma e dell'opera, sia come gioielli architettonici che come centri di irradiazione culturale, ma è straordinario quanto, dopo l'esempio scaligero, riuscì particolarmente significativo l'impulso che il capoluogo novarese seppe imprimere, nello scorcio del secolo XIX, all'istituzione teatrale e musicale, lì riuscendo a convogliare la più parte delle sue risorse economiche, per erigervi uno dei maggiori teatri lirici del nostro Paese e certamente il più importante teatro "storico" del Piemonte. Ci ha  lasciato con esso una testimonianza di elevato valore architettonico, capace di esprimersi non soltanto nell'edificio in sè stesso, che pure è di notevole impianto ed espressione di originali caratteri tipologici, nella sua squadrata ma anche articolata e originale massa volumetrica, ma anche nella storia delle sue prestigiose programmazioni di cultura.





Novara, Teatro Coccia, il lampadario centrale della sala

Nel 1886 l'antico Teatro "Nuovo" (inaugurato nel 1779 su progetto di Cosimo Morelli) veniva abbattuto per le modificate esigenze di una città in grande spansione demografica e per l'affermazione di una borghesia sempre più interessata all'affermazione di una sempre più cospicua produzione teatrale e musicale, cui da tempo si aggiungeva anche quella della normale cittadinanza.  Già intorno al 1860 l'architetto Alessandro Antonelli, divenuto noto per la Mole torinese e per la cupola novarese di San Gaudenzio, aveva proposto, con la fusione del Teatro Nuovo col Teatro Sociale per accorpamento di diverse unità tipologiche di spettacolo, un maestoso progetto, poi abbandonato perchè eccessivamente costoso. 
Così, col progetto del milanese architetto Oliverio, si posero le basi per l'attuale costruzione, che fu totalmente "azzeccata", sia nello stile che nelle proporzioni, che fu chiamata, da un articolo del Corriere della Sera del 1933, anticamera del Teatro alla Scala di Milano. Moltissimi grandi nomi della cultura musicale italiana e internazionale, infatti, prima di "passare" al teatro milanese, ebbero i loro esordi in quello novarese.




Novara, l'edificio Centrale della Barriera Albertina, visto da uno dei caselli daziari. In testa all'articolo la sala del teatro Coccia. Sotto al primo titolo: il frontone principale della Barriera Albertina. Sotto il secondo titolo: immagine esplosa dell'interno della grande sale del Teatro Coccia.


"Era il 1886 quando vi fu la posa della prima pietra del Nuovo Teatro di Novara, che andava a sostituire il precedente ormai inadatto alle necessità della città. L'architetto incaricato fu Giuseppe Oliverio, milanese, che riuscì ad inaugurare il nuovo teatro già il 22 dicembre del 1888 con la rappresentazione degli Ugonotti di Meyerbeer, diretta da un giovanissimo Arturo Toscanini.

Troviamo subito la bella facciata con colonne in stile dorico per il piano terra e ionico per il primo con il porticato in granito rosa di Baveno. Nell'atrio sono visibili i busti di Giuseppe Verdi, Vincenzo Bellini, Gioachino Rossini e Gaetano Donizetti, in Platea quelli di saverio Mercadante e Carlo Coccia. Il nuovo teatro ebbe ed ha dimensioni davvero imponenti: il palcoscenico misura 16 x 23 metri, idoneo alla rappresentazione di spettacoli equestri, e tutti i palchi potevano contare su retropalchi che ospitavano piccole cucine, per servire pasti alle famiglie nobili tra un atto e l'altro e, nel caso del conte Caccia di Romentino, addirittura il suo piccolo museo teatrale privato, L'edificio fu completato solo nel 1928."


Novara, il teatro Coccia visto dall'esterno. L'impostazione grandiosa e articolata delle sue volumetrie è evidente, sia per gli aggetti delle aree dei ridotti, sia per l'emergenza della torre di palcoscenico. Esteticamente efficaci, sul lato dell'ingresso, il profondo portico che ne deternina l'osmosi con le superfici del passeggio cittadino, nonchè la bella "veranda", di poco posteriore, in ferro e vetro, che ne allarga il ridotto delle gallerie.


Non lontano dal Teatro Coccia, porta della città storica per chi proveniva dalla zona dei Laghi, è collocata la Barriera Albertina.

"Altro non era che una dogana, posta all'ingresso di ponente di Novara, la cosiddetta Porta Vercelli. Venne incaricato della costruzione l'ing. Antonio Agnelli che pensò di costruire il complesso monumentale separandola in due edifici gemelli, quello a Nord destinato al servizio di guardia, quello a sud per la riscossione del dazio."



Novara, i caselli daziari della Barriera Albertina

"La struttura verrà inaugurata nel 1837 e dedicata a carlo Alberto per ringraziare il monarca per gli interventi promossi a favore dell'agricoltura e del commercio novarese. Le due costruzioni sono impostate sull'ordine dorico sormontato da un timpano, come da perfetta tradizione neoclassica. Le sculture sono ad opera dello scultore Giuseppe Argenti di Viggiù, che raffigurano le personificazioni della beneficienza regia (con accanto una civetta, uccello che vede anche nelle tenebre), della riconoscenza (che accarezza una cicogna vicina a un elefante, animale che non dimentica nè i benefici nè i torti), dell'agricoltura (con accanto una cornucopia con mazzi di riso, grano e uva) e del commercio, raffigurato come un giovane dio Mercurio con i suoi simboli: sfera, compasso, squadra, bussola, fiaccola."



Novara, una immagine della sala interna del teatro Coccia


"Completano il tutto le statue della Concordia e della Vigilanza, sedute, la Concordia tiene nella mano destra una torcia e nella sinistra un rametto di melograno, la Vigilanza ha in grembo una lucerna ad olio e vicino ad essa c'è un gallo."


Così come avvenniva a Milano, nella città napoleonica e poi teresiana, ove un'idea della "manificienza civile" veniva applicata alle costruzioni di pubblica utilità e decoro della cintura daziaria,  anche nelle citta minori della provincia lombarda e piemontese ebbe i suoi recapiti naturali. Così come il verbo della purezza architettonica neoclassica si faceva icona, nei caselli daziari attorno alle mura spagnole, nella grande Milano, come ad esempio a Porta Venezia, a Porta Nuova, a Porta Garibaldi o a Porta Ticinese, anche a Novara analoga tipologia edilizia, di poco posteriore, con analoga impostazione degli apparati decorativi, veniva adottata. Ecco che particolarmente nella Barriera Albertina ne ritroviamo l'impianto, e perfino i caratteri. Anche a Novara, come a Milano, queste soluzioni ebbero molta fortuna, così che ancora oggi se ne possono  riconoscere le qualità e quei fattori di grande forza nell'immagine complessiva delle loro città.


Eliana Frontini
Novara, 18 marzo 2013
(prefazione e postfazione di Enrico Mercatali)
Il testo di Eliana Frontini è anche comparso su Nuovo Sestante, n. 65



Novara, una bella immagine dello skyline cittadino, 
ritagliato sullo sfondo scenografico del massiccio del Rosa



09 March 2013

Modigliani e i "Maledetti di Montparnasse" - dalla collezione Netter in mostra a Milano (di Enrico Mercatali) -



dalla Collezione Jonas Netter


M  o  d  ì
e  i  "Maledetti"


Grande mostra milanese a Palazzo Reale:
"Modigliani e i maledetti di Montparnasse"



Nella foto qui sopra Modigliani (il primo a sinistra) con gli amici (Jean Cocteau, Max Jacob, Andreü Salmon e Manuel Ortiz de Zaürate davanti all'ufficio postale di boulevard de Montparnasse 12 agosto 1916


Milano avvia la sua brillante stagione d'arte 3013 offrendo ai turisti ed ai propri cittadini una mostra davvero affascinante, per i numerosi "tesori" esposti appartenenti alla collezione Jonas Netter (1868-1946), nella quale si mostrano alcuni dei più pregevoli dipinti (prevalentemente ritratti, ma anche paesaggi, nudi e nature morte) della stagione "maledetta": quella che, dagli anni  '10 e '30  del secolo XX mostrava, della capitale francese, allora "capitale del mondo", il volto  ancora umano, semplice, ma anche difficile, specie per quegli artisti che avevano scelto di viverla in modo bohémienne, godendone intensamente i piaceri estetici a discapito di quelli d'altro genere.




Amedeo Modigliani, "Ritratto di Jeanne Hébuterne", 1918, olio su tela, 100 x 65 cm


Fiumi di parole sono state scritte su quel periodo e su quanto accadeva a Parigi in quegli anni, fecondi d'arte, letteratura, musica, dibattito politico, e sulle vita "bella" che di quella variopinta società ne riempiva i locali, le strade, le piazze, i teatri a cavallo della prima guerra mondiale, ma forse mai vi si sono approfonditi, come ora sta facendo Marc Restellini, curatore della mostra, le istanze rivoluzionarie che ne permeano il dibattito e ne modellano i sottesi contorni socio-culturali, filtrati dai dipinti tra i più fecondi della figuratività moderna.



Amedeo Modigliani, Ritratto di Soutine, 1916, Pinacotheque de Paris Fabrice Gousset


Nella Parigi di allora, in quelle strade e in quei locali ci si poteva imbattere in artisti della grandezza di Chagal o di Modigliani, in scrittore quali Hamingway o Miller, pensatori quali Lenin o Trotsky: in essi fibrillava infatti una vita intensa di pensiero e di idee, che i pittori registravano nelle loro tele, sia documentandone talvolta i personaggi, in ritratti certamente capaci di sintesi ed acume introspettivo,  ma anche interpretandone lo spirito più profondamente radicato.


Amedeo Modigliani, "Ritratto di Beatrice Hastings", 1915, olio su tela, 45 x 35 cm


Nel mondo artistico, di quella che allora era considerata la più importante città europea, emersero, accanto a quello di Modì (diminutivo di Modigliani, da “maudit” che in francese significa appunto  “maledetto”), che già ne primeggiava, nomi quali quelli di Soutine, Utrillo, Kisling, Kikoine, Ebiche, Antcher e Fournier, Valadon, Krémègne, Heyden. Molti di essi neppure si sarebbero potuti conoscere se non  fosse esistita l'attività mecenatistica di Jonas Netter, geniale e generoso collezionista d'arte e gallerista, che si adoperò per sostenerne l'attività.



Modigliani, Ritratto di ragazza dai capelli rossi (Jeanne Heübuterne), 1918
Pinacotheque de Paris.  
La pittrice francese, frequentatrice dell'ambiente artistico del quartiere parigino di Montparnasse, nel quale viveva, si infatuò di Amedeo Modigliani, col quale ebbe una relazione, dalla quale fu annientata: il 24 gennaio 1920 Amedeo muore e Jeanne Hébuterne viene condotta nella casa paterna dai propri familiari ma, appena due giorni dopo, la giovane (al nono mese di gravidanza) si lancia dalla finestra dell'appartamento al quinto piano, morendo sul colpo. I familiari di Jeanne, che disapprovavano la sua relazione con Modigliani, la tumularono nel cimitero di Bagneux, dove rimase fino al 1930, quando la famiglia ne permise il trasferimento al cimitero Père Lacaise, affinché venisse seppellita accanto all'amato. Il suo epitaffio: "Devota compagna sino all'estremo sacrificio".

La collezione d'arte, quella di Netter, fu da molti esperti considerata la più importante in assoluto del primo Novecento. E' lo stesso curatore della mostra, Marc Restellini, esperto conoscitore di Modì e la cerchia dei cosiddetti "maledetti di Montparnasse", a raccontarci dell'importanza enorme assunta dalla Collezione Netter, nel corso del XX secolo, e dell'importanza che già a quel tempo aveva il  parigino Salòn Netter, per gli artisti di quella città, che consideravano un onore esservi invitati a presentare le loro opere. 



Amedeo Modigliani, "Elvire con colletto bianco", 1917, Pinacotheque de Paris Fabrice Gousset


Così infatti scrive, sul catalogo della mostra, Restellini:

Questo è il racconto di tanti artisti intorno ad una collezione, quella di Jonas Netter, riuniti perché riconosciuti nel suo senso di giustizia, di equilibrio. Costui godeva di un rapporto molto vicino a Modigliani: era con lui due giorni prima del suo suicidio. Netter è, a buon diritto, il collezionista più importante della Storia dell’Arte del XX secolo perché ha sostenuto artisti, non solo psicologicamente ma anche dal punto di vista pratico, ad esempio pagando i conti degli ospedali di Utrillo, quando in lui c’erano tracce di sofferenza da etilismo. Non dimentichiamo che diede del denaro a Modigliani quando minacciava il suicidio perché non poteva tornare a Parigi”.



Amedeo Modigliani Cariatide (blu), 1913, Pinacotheque de Paris

Continua Restellini, riferendosi sempre a questo contesto in continuo fermento artistico e intellettuale: "Questi spiriti tormentati si esprimono in una pittura che si nutre di disperazione. In definitiva, la loro arte non è polacca, bulgara, russa, italiana o francese, ma assolutamente originale; semplicemente, è a Parigi che tutti hanno trovato i mezzi espressivi che meglio traducevano la visione, la sensualità e i sogni propri a ciascuno di loro. Quegli anni corrispondono a un periodo d’emancipazione e di fermento che ha pochi eguali nella storia dell’arte. Parigi era ‘l’unico luogo al mondo in cui la rivolta ha il diritto di cittadinanza’, prima a Montmartre e poi a Montparnasse, che quegli artisti – tutti ebrei – si sono ritrovati per tentare la sorte".



Caime Soutine, "La pazza" 1919 circa, olio su tela, 87 x 65,1 cm


In particolare il collezionista Netter fu colpito in modo particolare dalla raffinatezza del segno di Modigliani, dalla natura creativa della sua arte, dai colli femminili tanto allungati: di Modigliani egli arrivò a possedere 40 opere, 7 delle quali riuscì a vendere in Argentina, come spiega il curatore Marc Restellini: "non per guadagnarci ma allo scopo di far conoscere l’artista nella lontana America del Sud forte dell’idea che la cultura debba essere per tutti e alla portata di tutti".



Suzanne Veladon,  "Tre nudi in campagna", 1909 - olio su cartone, 61 x 50 cm

La mostra milanese è visitabile fino all'8 settembre 2013

Enrico Mercatali
Milano, 4 marzo 2013

08 March 2013

"My Architect" (Lou Kahn), l'architetto americano che adorava le piazze italiane, ora in mostra al Vitra Design Museum, di Basilea (di E. Mercatali)





"The Power of Architecture"


L'opera di Louis Khan
è ora in rassegna retrospettiva
al Vitra Museum di Basilea



Un bel ritratto del profilo di Lou Kahn, ripreso all'interno del Pantheon romano. Roma era una delle sue mete preferite, città che non tanto lo attraeva per le sue rovine, quanto per l'intenso rapporto tra i suoi vuoti ed i suoi nujclei densi di vita, affollati e convulsi, nei quali più che mai forte si presentava il rapporto tra la vera vita vissuta e le pause necessarie alla meditazione.
Sopra al titolo una bella immagine del National Assembly di Dhaka che si rispecchia nel lago che lo circonda. Anche qui è  l'attento studio degli spazi vuoti esterni a determinare l'intensità iconica dell'edificio in sè stesso. Fu proprio a proposito di questo edificio, che I.M.Pei, che considerava questo il Masterpiece di Kahn, a chiedere a Nathaniel di verificarne le funzionalità interne. Ciò convinse il giovane autore cineasta a realizzare il documentario che mise in evidenza quanto una architettura potesse far corrispondere una idea ad un ideale, esprimendo cos' una idea di eternità. Con ciò, da allora, meglio si definì il contributo specifico di Luis Kahn alla storia dell'architettura moderna.


E' ancora l'Europa che intende indagare più a fondo nello spirito che permeò l'architettura moderna e pur senza tempo di Louis Kahn, l'architetto americano che più di ogni altro incarnò l'idea dell'eternità, e della storia che attraversa ogni tempo.
I diversi temi affrontati dalla mostra di Vitra a Weil am Rhein (che resterà visitabile fino all'8 agosto 2013), la citta, il rapporto tra la scienza e la società civile, il territorio, la storia, sono organizzati, dai curatori von Moss e Eisenbrand, con l'intento di raccontare proprio le diversità tra Lou e gli altri architetti americani, nonchè la consonanza europea, e particolarmente italiana che lo fece prediligere Roma, e la città antica. I suoi studi dell'antichità sono in effetti divenuti proverbiali, e tutto, nella sua opera, racconta di quanto forte fosse il legame tra le sue creazioni e lo spirito dell'antico, quella particolare essenza che rende eterne le forme di quegli edifici, rendendoli tanto iconici e carichi di memoria.

(Continua)
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07 March 2013

Il nostro saluto al grande fotografo italiano Gabriele Basilico, acuto analista di realtà urbane e territoriali (di Enrico Mercatali)




a
Gabriele Basilico
Acuto analista di realtà urbane e territoriali


Qui sopra: Gabriele Basilico, in un recente ritratto. 
Sopra al titolo: una sua fotografia alla facciata del Duomo di Milano, la sua città



Recentemente scomparso, Gabriele Basilico è stato ricordato da molti come uno dei più grandi fotografi del nostro tempo, il cui lascito appare tanto più grande quanto più se ne approfondisce l'opera, indagandone i segreti, le tecniche, le condizioni e il metodo di lavoro, le impressioni da lui rilasciate ed i ricordi da lui raccontati nel corso delle interviste, alcune delle quali già divenute "storia".


Gabriele Basilico, fotografie per "Trentino", ed. Nicolodi. 
Dall'alto in basso: Piana Rotaliana, verso Sud, da Fai della Paganella, verso Nord, dall'autostrada, da Faedo.

(Continua)
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06 March 2013

The Sense of Territory by Emanuele Plata (Planet Life Economy Foundation)

The Sense of Territory

by Emanuele Plata 
(Planet Life Economy Foundation)


Planet Life Economy Foundation is an ONLUS created by a group of businessmen that, at the end of the 90’s, sensed a deterioration in the entrepreneurial context they had been operating with for around 30 years. The process was especially evident inside  companies, with market reasons being forgotten and finance reasons arising instead. The perception at the time was that a tendency of this kind in the economic system could have devastating consequences on both the environment and the social context and that, in order to stop this vicious cycle, action inside companies and the economic world in general was to be taken.



a view of Lake Maggiore - Italy (Lombardy viewed from Piedmont)


The journey officially began in 2003, when Paolo Ricotti and seven friends of him started the Foundation, giving birth to an original concept and to a series of tools that allowed to understand and face a new model of sustainable economy, defined as  Consciousness Capitalism, able to propose a new paradigm and a New World.

(Continua)
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