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12 February 2012

L'utopia costruita di Guido Canella, architetto per il quale oggi si apre un Convegno a Milano, è una lezione di coerenza intellettuale e di impegno civile - di Enrico Mercatali




 Guido Canella 
l'architetto milanese che
  ha dato un'anima alla vita civile 
dell'hinteland metropolitano


Come realizzare l'utopia d'una città civile, policentrica e vitale?


di   Enrico Mercatali







Sopra e sotto al titolo, il Centro civico di Segrate, opera del 1963 di Guido Canella, con Michele Achilli e Daniele Brigidini. L'opera, assieme alla piazza con fontana monumentale di Aldo Rossi, è tra le sue più famose. In essa già si sviluppano totalmente presenti i caratteri che più saranno ricorrenti anche nelle opere successive: volumetria articolata e composita, funzioni integrantesi l'un l'altra così da garantire il massimo utilizzo degli spazi, monumentalità dichiarata e densa di citazioni. La giacitura in leggero declivio, pur essendo la superficie dell'area quasi pianeggiante, ne aumenta la suggestione ed il richiamo ad una sorta di acropoli classica. L'impianto organicista fa un uso spregiudicato della prefabbricazione, alternando a componenti cementizie realizzate industrialmente parti gettate in opera, con superfici volutamente scabre e "brutaliste". Nella foto in bianco e nero si intravede, a sinistra in basso, la fontana di Aldo Rossi.


L'utopia d'una città civile policentrica e vitale, capace di sconfiggere la logica dei "quartieri dormitorio" per esaltare invece le sue possibili capacità di aggregazione sociale e di una più compiuta democrazia urbana, è oggi testimoniata da numerose opere di architettura che Guido Canella ha realizzato nelle periferie anomiche della grande metropoli moderna, attraverso l'impegno costante e infaticabile dei propri convincimenti teorici e la pratica quotidiana della propria attività didattica e professionale. 



Qui sopra Guido Canella all'epoca della sua collaborazione con Ernesto Nathan Rogers nella redazione di Casabella Continuità, alla quale parteciparono anche Vittorio Gregotti, Aldo Rossi e Gae Aulenti


Il suo "esperimento" si è avvalso del campo della realtà milanese, ovvero una delle più  culturalmente attive città europee negli anni del boom economico che stava assumendo attorno agli anni sessanta la fisionomia di una grande metropoli la cui costruzione, se non alimentata da buone idee, avrebbe dato i pessimi risultati che, quasi in ogni parte del mondo, erano già sotto gli occhi di tutti.  
La sua ispirazione ideale e programmatica, il suo modello estetico ed il repertorio formale sono stati tratti dai materiali dell'utopia irrealizzata del costruttivismo, incarnatosi nell'operaismo civile rivoluzionario, degli anni più fertili di idealità ed entusiasmo intellettuale che hanno preceduto gli anni delle grandi programmazioni economiche sovietiche. Anni di libertà creativa al servizio di un forte convincimento ideale, agito nel sociale. Canella, nelle forti contraddizioni dell'epoca che ha vissuto, ha pienamente e convintamente vissuto questo credo, cercamdo di trasmetterlo alle più giovani generazioni. La sua architettura si innesta proprio sui peggiori risultati di una crescita urbana senza piano, libera di dilagare oltre ogni ragionevole limite di sensatezza. Ed è lì che essa trova il suo motivo per esistere.
Nell'Italia del dopoguerra, successivamente a quelli che sono stati chiamati appunto "gli anni del boom", purtroppo le politiche per la  città hanno conosciuto momenti di grave crisi, dovute a fattori di recessione economica, di selvaggio liberismo, ma anche, e soprattutto fattori conseguenti all'azione di malintesi progressismi, politicamente scorretti, che hanno fatto della gestione dell'urbanistica un campo d'azione prevalentemente cieco di fronte alle numerose, ed a volte perfino generose, possibilità offerte dal grande capitale internazionale. 



Guido Canella, 1971-1978, Centro civico, Municipio e scuole a Pieve Emanuele, comune della periferia sud di Milano. L'edificio trae ispirazione da una costruzione medievale turrita che sorge nelle vicinanze.


Inquesto quadro piuttosto cupo dell'immobilismo urbano milanese sotto il profilo della sua crescita fisica, ma pur sempre vivace ed intellettualmente prolifico, fanno purtroppo  solo capolino, e non invece una bella e abbondante comparsata, i quasi timidi tentativi, operati dagli architetti della generazione di Canella (i Rossi, gli Aymonino, i Gregotti, le Aulenti, i Gardella, i Viganò, ecc.) d'arricchire la città con le loro opere, così vitalizzando il clima asfittico che tutta l'architettura e l'urbanistica di quel periodo andava rappresentando di sè. 

Guido Canella, forse tra tutti, fu quello che più persistentemente di altri, dava prova d'avere idee forti e concrete, e che, più degli altri, perseguiva, senza perdere occasioni e neppure orientamento, i propri obbiettivi, riuscendo a lasciare numerose testimonianze concrete nei fragili tessuti dìun territorio che mancava, direi totalmente, di vere capacità di governo. 


Guido Canella, complesso civico del Villaggio INCIS di Pieve Emanuele, 1968, con  la piazza,  asilo scuola primaria, centro commerciale, e centro religioso trasformabile in sala assembleare



Quei pochi esempi che Canella ci ha dato (Segrate, Pioltello, Pieve Emanuele, Opera, Cesano Boscone, ecc.), certo coscienti di questo vuoto di vertice, suppliva autarchicamente ogni compito che fosse necessario da parte del servizio pubblico nei confronti delle comunità più bisognose e carenti, assumendosene il carico attraverso le forme più spinte che l'integrazionismo funzionale sapesse inventarsi, per trarre il messimo frutto dalle scarse risorse disponibili. 


Guido Canella, asilo infantile a Zerbo di Opera (Milano), 1972


Canella, in tali pratiche, sorrette da una visione ancora romantica della rivoluzione come prassi intellettuale, trae la propria linfa teorica e concettuale dal dettato storico, filtrandolo nell'appassionata attività didattica che da sempre lo ha impegnato parallelamente a quella professionale, proprio laddove in ambito civile lui ne abbia saputo ben cogliere ogni stratificazione che il tempo vi aveva saputo consolidare.




Purtroppo non basta l'impegno di pochi in un programma di tale ampia portata, ed oggi il lascito canelliano appare assai più teorico che pratico, più meritevole di una rilettura critica dell'apporto ideale e programmatico delle non numerose realtà da lui costruite, piuttosto che dei meccanismi virtuosi che esse non sono state sufficienti a determinare nei processi di sviluppo ai margini della città tentacolare.




Guido Canella, complesso residenziale IACP a Bollate (Milano), del 1974


La logica sottesa alla lezione di Guido Canella parte dai suoi approfonditi studi dei meccanismi di aggregazione urbana attorno ai suoi  modelli più storicamente consolidati, ed attorno alle logiche di integrazione che ogni dinamica di sviluppo determina nei processi economici più vitali che le società hanno saputo storicamente esprimere. 




L'architettura di Canella, dopo aver indagato le opportunità territoriali, prevalentemente espresse dalle sue emergenze e dalle sue permanenze, attiva processi di aggregazione funzionali ad alta densità sociale  attorno a nuclei forti sia a livello di immagine che di funzionalità aggregativa, privilegiando i contenuti civili a discapito di quelli mercantili.


Guido Canella, Centro civico di Pioletello (Milano), 1976, con antistante area commerciale e residenziale con blocchi edilizi a torre a più piani differenziati in altezza



Una architettura idealmente monumentale, quella di Guido Canella, che a Milano, come in altre città è prevalentemente collocata nelle estreme frange periferiche dei comuni satelliti, a volte perfino in aperta campagna. Una architettura che vuole farsi vessillo della comunità che cerca espressione di sè nelle attività della democrazia civile e partecipata, che vuole erigersi a monumento di ogni sua forma di espressione di coscienza civica. 
 Sono le piazze a diventare cardini dei sistemi aggregativi, sono le grandi aule assembleari i fulcri della comunità riunita a discutere il proprio ruolo nella realtà collettiva, sono le gradonate che diventano "teatro della vita", centri di produzione e di rappresentazione della reltà vitale, sono i mercati i siti della raccolta d'una produzione non globalizzata che alimenta i commerci e gli scambi della comunità. 




Guido Canella, proposta per il concorso per il nuovo Centro Culturale a Torino con Nuova Biblioteca Pubblica centrale e Auditorium, progetto dell'anno 2000


L'utopia canelliana tende a scardinare il sistema urbano capitalistico, riportando vita nei quartieri dormitorio, e riproponendo lo scambio al posto dell'anomia e della dissociazione. Le architetture di Canella sono state, da questo punto di vista, un disperato tentativo di combattere l'urbanesimo della speculazione edilizia e della rapina del territorio. Esse sembrano perfino chiudersi a volte, arroccandosi nell'utopia quasi contorta della propria irrinunciabile missione nel mondo, forse perchè già arresesi all'impossibilità d'una gestione più virtuosa e democratica dello sviluppo urbano, visto come orizzonte ormai non più raggiungibile.



Una pagina della rivista "l'Architecture d'aujourd'hui" n. 143 (aprile-maggio 1969)del che riproduce un articolo di Guido Canella (con Maurizio Calzavara e Enrico Mantero) sul ruolo della didattica in architettura, da una ricerca alla Facoltà di Architettura al Politecnico di Milano, 3° anno (il numero della rivista è dedicato a questo tema), nel quale vengono riportati alcuni progetti didattici realizzati dai suoi allievi presso il corso di Elementi di Composizione Architettonica. Il tema del corso in quell'anno era "il teatro".



Una didattica, la sua,  che si arricchisce di temi civili, scandagliati direttamente sugli esempi monumentali della storia dello sviluppo territoriale, quali quelli del "teatro", delle "carceri", "delle fiere e dei mercati" visti come sistemi di aggregazioni funzionali consolidatisi nell'evoluzione storica come nodi o fulcri della vita civica o religiosa delle comunità che li hanno costruiti, e che lascia alla professione i pochi spunti che le occasioni gli danno, per provarne i modelli sul campo, sperimentandone i risultati. Gli scarsi mezzi economici a disposizione rendono le sue ambiziose, e talvolta velleitarie, "battaglie" assai scarne, in termini di finizione e di dettaglio, così da apparire spoglie. 



Guido Canella, residenza privata a Meina (Novara), sul lago Maggiore, 1974. Sulle pareti accanto al caminetto della cucina numerosi sono i disegni originali autografi di Guido Canella, forse appartenenti ai momenti più amati della sua architettura

Sono poche le concessioni di Canella al bello nel senso comunemente inteso, ed anche questa assenza di "decoro" diventerebbe, nel tempo, non so se sempre voluto o ricercato, parte integrante del suo stile, tanto crudo nei modi e nell'espressione, quanto ricco interiormente e soprattutto altruista nella sostanza di ciò che anima ciascun individuo quando si sente parte della sua comunità, quando diventa partecipe della vita di tutti, e della collettività. Questo il vero lascito di Guido Canella architetto



Enrico Mercatali
Meina, 12 febbraio 2012

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