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20 April 2015

Burri riavrà nel Parco Sempione il suo teatrino, ma Milano avrà perso uno dei suoi più importanti biglietti da visita - di Enrico Mercatali





Burri riavrà nel Parco Sempione
il suo teatrino



ma Milano avrà perso 
uno dei suoi più importanti biglietti da vista


Abbiamo appreso con sgomento la notizia
che Soprintendenza e Giunta hanno dato il loro via libera alla ricostruzione dell'opera come e dove era in precedenza




Tanto abbiamo amato ed amiamo Alberto Burri e la sua arte, indubbiamente importante nel quadro di livello mondiale in cui s'è saputa inserire, quanto abbiamo osteggiato, ed ancora intendiamo osteggiare, il suo teatrino al centro del Parco Sempione nei numerosi anni che lì lo videro, cementizio e inadeguato, impattante e insensato, tra il 1973 e il 1989.

Tanto amiamo l'arte moderna, nella quale Burri ha assunto una posizione qualificata e di rilievo, e particolarmente le istallazioni che essa propone oggi, anche nel cuore delle grandi città, ed anche quanto essa generalmente sappia esprimere nel rapporto con l'antico, o sappia dire nel colloquio con i grandi scorci urbani, o con la storia, quanto quest'opera non ci abbia mai convinto, fin dal suo nascere (se non come istallazione appunto con caratteri di provvisorietà, e non ci convince tuttora, come mai ci potrà convincere in futuro.




Il "Teatro Continuo" che Alberto Burri aveva realizzato nel bel mezzo del Parco Sempione di Milano nel 1973, in occasione della XV Triennale, era stato demolito nel 1989. Nonostante la sua struttura cementizia di grandi dimensioni impattasse in maniera eccessiva all'interno dell'unica e splendida prospettiva visiva tra Castello Sforzesco ed Arco della Pace,  essa è durata in sito ben 16 anni, finchè la Giunta di Paolo Pillitteri, allora Sindaco di Milano, ne decise l'asportazione.


Siamo pertanto ora a denunciare l'intervento ora proposto di ricostruire entro il 2015 il Teatro Continuo di Burri, nella sua posizione originaria, purtroppo già deciso (anche se molti oppositori stanno cercando di indire un referendum tra i cittadini per evitarlo), cercando di dire la nostra sperando che la nostra voce possa unirsi a quelle di tanti altri per sventare, per un'altra volta, quello che a nostro avviso è, nei fatti, un vero e proprio attentato al cuore della città, costituito, non già dall'elemento in sè, sul quale non vi sarebbe nulla da obiettare, quanto dal suo inserimento proprio sull'asse della principale prospettiva, storicamente consolidatasi tra i principali monumenti di Milano, che collega la direttrice del Sempione e l'arco della Pace al Castello Sforzesco nella direzione di via Dante, sino al Duomo, quella prospettiva indicata dall'Antolini nel 1806 come asse fondamentale dell'impianto urbanistico milanese, il quale, nella sua visione, avrebbe dovuto attribuire alla città un'aura di magnificenza civile pari, se non superiore, a quella di Parigi.

All'interno di questo quadro storio-ambientale, valorizzato oggi da una nuova e migliore manutenzione del verde arboreo dell'Alemagna che vi fa da quinta, poco, anzi per nulla di addice l'opera in questione, la quale peraltro avrebbe riscontri poco felici anche sul piano d'un utilizzo, peraltro intrinsecamente suggeritovi, di forte richiamo di pubblico, inadatto quindi in quella sua precisa collocazione (già peraltro sciaguratamente già collaudata).



Sopra e sotto:  l'opera, nel corso degli anni '70 e '80 si degradò parecchio, tanto che la decisione della sua demolizione arrivò non tanto per ragioni di tipo storico-ambientale, quanto a causa degli ammaloramenti avanzati che alcune sue parti denunciavano, ma anche a causa dell'uso poco decoroso delle sue superfici da parte dei "graffittari" dell'epoca.



Ci spiace assumere la posizione, generalmente considerata "bacchettona", di chi nega il nuovo in ragione d'una linea conservatrice dello statu quo, erigendoci a difensori d'ona realtà presuntamente ritenuta immadificabile, ma, pur essendo qui esattamente ciò che stiamo facendo, essa ha, credo in questo caso, una giustificazione di notevoile importanza, anzi d'una tale importanza da far superare in forza il mantenimento d'uno stato di fatto, realmente di grandissimo valore, se messo a confronto con una sia pur pregevole opera, o, se si vuole, di una sia pur interessante ed originale proposta aetistica avanzata da uno dei maggiori artisti italiani (e mondiali) del XX secolo.

Crediamo in ultima istanza sia possibile, oltrechè auspicabile, un compromesso, ovvero quello di ricostruire il segno burriano, ad memoriam, entro qualche enclave arboreo del parco stesso, che ne ricordi il senso originario quando fu posto nella prospettiva antoliniana, senza però esservi di fatto. Qualcuno potrebbe indicare in questo compromesso una sorta di non-sense, in quanto contriddirebbe la matrice stessa dell'originaria idea del suo autore, ed in tal caso allora, se neppure se ne voglia attivare la pura memoria come intento temporaneo se pur provocatorio, meglio tralasciarne del tutto la ricostruzione.



Vi sono contesti nei quali l'opera moderna s'adegua perfettamente anche accanto ad una chiesa antica  (ad esempio la fontana Strawinsky di Tinguely tra il Beauburg e la Chiesa gotica di St Eustache, o, perchè no, quanto noi stessi proponevamo in un'altro articolo di questa blog, che voleva vedere accanto al Duomo di Milano un moderno impianto di risalita),  ma ve ne sono altri nei quali nulla necessita in essi in più di quanto già non vi sia, se non di peggiorativo.
Questo è il caso in questione, che rischierebbe di diventare un secondo atto sbagliato d'una storia destinata a ripetersi, ovvero a rivedere tra qualche anno una ennesima decisione demolitoria.

Crediamo che i milanesi preferiscano avere il loro Alberto Burri ben collocato in altra posizione, e mantenere la loro superba veduta prospettica che dal castello vada all'Arco della Pace ed oltre, che tanto la sanno rendere "grande città europea". Tutt'attorno grandi segni di storia e di creatività ne fanno un comparto urbani centrale ed unico nel suo genere: Duomo, Palazzo della Ragione, Castello Sforzesco, Torre del Filarete e Musei Civici (Pietà Rondanini), Parco Sempione, Palazzo della Triennale, Torre pontiana del Parco, Arena, Arco della Pace. Anche all'interno del Parco emergono segni di storia della città, dal teatrino di Arman, ai Bagni Misteriosi di De Chirico, il ponte delle Sirenette, e, perchè no, il Teatro Continuo di Burri, ma non in quella proposta scorretta collocazione.



Qui sopra: piccoli giorielli interni al Parco Sempione, tutti posti in posizione defilata sia pure ben visibili ed utilizzate dal pubblico, tra cui potrebbe ancora annoverarsi il Teatro burriano: il teatrino di Arman, i "Bagni Misteriosi" di De Chirico, l'ottocentesco Ponte delle Sirenette", già collocato in via Senato per attraversare la Cerchia del Navigli.

Milano, 3 ottobre 2014
Enrico Mercatali


Aggiornamento:

In data odierna aggiungiamo all'articolo del 3 ottobre 2014 due immagini relative a due diverse opere realizzate da pochi giorni: il restauro dei "Bagni misteriosi" di Giorgio De Chirico e il basamento cementizio del teatro Continuo di Burri, il quale, nonostante le numerose azioni di protesta da parte di professionisti di fama e uomini di cultura, associazioni ambientaliste e cittadini, intercorse tra la pubblicazione del nostro articolo di protesta, che ha avuto l'onore di essere stato il primo della lunga serie ad esso seguita, ha visto purtroppo l'avvio dei lavori. Tra pochi giorni esso verrà inaugurato. In un nostro post su Facebook abbiamo scritto:
 
"TEATRO BURRI NEL BEL MEZZO AL PARCO SEMPIONE E DELLA STORICA PROSPETTIVA OTTOCENTESCA.

Credo che nel tempo, sia nel breve, ma soprattutto nel lungo periodo, la vicenda si ritorcerà come un boomerang contro la Fondazione e contro gli eredi dell'artista:
troppo evidente che, più si diffonde la notizia della ricostruzione del "Teatro Continuo" (purtroppo passata quasi del tutto in sordina presso il pubblico), più aumenterà la schiera dei suoi detrattori e degli antagonisti. Una volta realizzata definitivamente l'opera, essa sarà inevitabilmente il miglior veicolo pubblicitario contro se stessa.
Sempre che noi si persista nella battaglia per la sua demolizione senza perdere occasioni, per ridare alla città quanto si merita.
Il nome di Burri ne verrà infangato, e saranno più gli aspetti negativi che quelli positivi, che ne marchieranno la memoria, a discapito di quanto auspicato dalla Fondazione, anzi a suo progressivo detrimento.
Il teatro si deteriorerà con l'uso (uso totalmente improprio per la sua localizzazione), e qualunque scritta (che certo non mancherà su di esso) mostrerà quanto sia un pugno nell'occhio nel mezzo della "prospettiva storica più bella della città ".
Errore di base perciò si rivelerà nel tempo non aver voluto ricostruire il teatrino (se proprio era necessario farlo) in un diverso e più appartato sito. Il che lo avrebbe certo reso più duraturo, se non addirittura capace di sfidare i secoli!
Quello che è certo, questo che ora è in fase di ricostruzione, durerà poco; e basterà una diversa giunta per riaffossarlo definitivamente (basta un giorno di ruspa e martelli pneumatici, ed un secondo giorno di giardinaggio): un soffio, davvero!! Un augurio a tutti gli amanti di Milano e alle sue bellezze!".

Speriamo questo sia un pronostico capace d'avverarsi, con l'aiuto di tutti coloro che già si sono espressi contrari all'opera, per le ragioni tutte molto simili a quelli che noi avevamo a suo tempo denunciato.




Enrico Mercatali
Milano, 20 aprile 2015

19 November 2014

Venezia e la Divina Marchesa - di Enrico Mercatali






Venezia 
e
 la Divina Marchesa




Sopra al titolo: Man Ray "La marchesa Casati", 1922, con intervento di Luisa Casati del 17 dicembre 1923 e scritto autografo di Gabriele d'Annunzio (opera conservata a Gardone Riviera, Fondazione Il Vittoriale degli Italiani).
Sotto al titolo: Anne-Karin Furunes "Crystal Image/Marchesa Casati", 1912-14; immagine dell'atrio di ingresso alla mostra odierna a Palazzo Fortuny, ove si vede sullo sfondo il ritratto macrofotografico oggi rrealizzato dall'originaria foto di Anne-Karin Furunes ed, in primo piano, un manichino che indossa un abito d'epoca indossato dalla marchesa Luisa Casati Stampa (fotografia di Enrico Mercatali)



E' in corso nella città lagunare una mostra che descrive due eccentricità a confronto, dalla personalità spiccata e un fascino prorompente. L'epoca è quella d'una Belle Epoque capace di mostrarsi al mondo senza porre limiti alle proprie follie: una città sfarzosa e affascinante ed una donna dalle inesauribili promettenti risorse.
La città rappresentata è la stessa Venezia, e la donna di cui si parla è la Marchesa Casati Stampa di Soncino, detta Divina da artisti e poeti, la quale in laguna ha trovato, tra gli anni ruggenti e quelli ancor più folli che seguironio, un palcoscenico perfetto per mettere in mostra il proprio charme e la propria vitalità estetizzante.



Sopra: molto in vista nelle cronache del tempo era anche l'ereditiera del grande collezionista d'arte Solomon Guggenheim, Peggy, in questa foto ritratta da Man Ray, in abito dorato di Paul Poiret e copricapo di Vera Stravinskij. Sotto: la facciata di Palazzo Fortuny in campo San Beneto (fotografia di E. Mercatali), fucina creativa, centro di produzione e di promozione, teatro e passerella di tanta moda dell'alta società veneziana tra gli anni '10 e '30 del secolo XX.


L'evento si svolge oggi in uno dei più affascinanti palazzi della Venezia più interna, che fu proprio quello che la ospitò e che le diede lustro: Palazzo Fortuny, già appartenuto ai Pesaro (Pietro nel 1522 vi divenne Procuratore di San Marco) ed in seguito divenuto proprietà di Mariano Fortuny Madrazo, spagnolo, creatore di moda e fotografo di fama, la cui mondanità a contatto con le personalità più illustri dell'epoca, lo elessero intimo amico della Marchesa Casati Stampa e compartecipe alle numerose sue esibizioni davanti allo scenario della città, tra gli anni ruggenti e quelli che seguirono, segnando la fortuna mediatica dei due tra le due grandi guerre. Palazzo Fortuny, mantenuto quale sede abitativa e professionale fino alla sua morte del suo proprietario, nel 1949, a partire dagli ultimi anni dell''800, fu, delle stravaganze veneziane della famosa aristocratica signora e delle sue volubili ed estetizzanti passioni, lo scenario ideale. Nei suoi grandi e luminosi saloni infatti, proprio dove oggi ha corso di svolgimento la mostra che ne narra le vicende, si svolgevano grandi ricevimenti, e vi si intrecciavano storie di lavoro e di produzione artistica, nonchè avvincenti relazioni tra persone che erano destinate a segnare i tempi con la loro azione, mossi che fossero da sentimenti o interessi personali, da puro desiderio segnaletico in un periodo di nuovi esibizionismi oppure da autentiche e travolgenti estetizzanti follie.



La Divina Marchesa ha qui sopra dato il suo volto e il suo corpo in ritratti a lei dedicati da diversi artisti, assai in voga in quell'epoca. Dall'alto al basso: di Kees Van Donghen, "Il molo" Venezia 1921; Giovanni Boldini "La marchesa Casati con levrieri", 1908; Augustus Edwin John, "La marchesa Casati" 1919; Romaine Brooks "La Marchesa Casati", 1920; Roberto Montenegro "Ritratto della marchesa Luisa Casati Stampa, 1914; Alberto Martini "Ritratto della marchesa Casati nel mio atelier a Parigi - Una grande artista, 1925.



Da Palazzo Fortuny sono transitate infatti schere di artisti, poeti, scenografi, coreografi tra i più noti, che sono stati travolti dalla forte personalità della Marchesa, e che, in diversi modi, hanno avuto parte attiva nella sua vita in continuo divenire nelle cronache dei primi decenni del '900, lasciandovi testimonianze nelle lettere, nelle fotografie, nella moda di quegli anni, in dipinti e disegni che la ritraevano nelle sue esplicite sembianze oppure, secondo il costume che accompagnava le feste più sfarzose che la nobiltà veneziana in quegli anni si inventava, in travestimenti più o meno riusciti di personaggi storici o di fantasia a seconda dei copioni da rappresentare.
Attorno agli anni '10 destavano già scalpore le sue famose uscite in gondola negli oscuri canali della venezia notturna, o nelle passeggiate in piazza San Marco, accompagnata dal servitoire nubiano Garbi che la illuminava reggendole un candeliere dorato, e dal suo inseparabile felino, un ghepardo dal collare di diamanti spesso al suo fianco nei quadri che la ritraevano, e dai levrieri dipinti di blu o di viola, "accessori animati" dei ricchi abiti che indossava. Mentre lei indossava scarpine dorate dai tacchi di madreperla, sulle spalle di Garbi facevano gruppo pappagalli multicolori o scimmiette squittenti, ed assieme propagandavano l'essenza di una donna che avrebbe sorpreso e poi stimolato alcuni tra i più grandi artisti dell'epoca, i quali incominciavano a ritrarla nelle loro opere, così alimentando il narcisismo della Divina signora in un circuito senza fine.

Perfino il famoso coreografo russo ed il suo scenografo allora più in vista, Diaghilev e Léon Bakst, ebbero parte attiva nella vestizione e travestimento della Marchesa Casati negli anni, che la ritrassero nelle vesti di danzatrice


 
 
 

Altri ritratti della Divina Marchesa in opere di altrettanti artisti della sua epoca d'oro, o in quella della sua decadenza. Dall'alto al basso:  di Léon Bakst "Danse indo-persane/Marquise Casati", 1912; Paolo Troubetzkoy "Ritratto della marchesa Casati con levriero", 1914; Giacomo Balla "La marchesa Casati con levriero e pappagallo", 1916; Giacomo Balla "Fluidità delle forze rigide della marchesa Casati, 1917; Fortunato Depero "La marchesa Casati", 1917-46; T.J. Wilcox "Night Cloaked Casati",  2008.


Musa di modernità ed ispiratrice di stravaganze modaiole, modella d'avanguardie artistiche ed essa stessa portatrice di vento nuovo, artista performantica avant-lettre ed incarnato idolo di poeti scrittori commediografi l'aristocratica signora fu corteggiata, ed anche amata, nelle più diverse forme che essa andava concedendo, da Gabriele d'Annunzio (Ariel per lei, e Corè per lui), al barone Adolf de Meyer, da Léon Bakst ad Alberto Martini, da Gacomo Balla a Giovanni Boldini, da Mariano Fortuny i Madrazo a Paolo Trubetzkoy, da Kees van Dongen a Filippo Tommaso Marinetti, da Fortunato Depero ad Augustus Edwin John, da Man Ray a Romaine Brooks, da Axel Munthe a numerosi altri.

Hanno scritto ispirandosi a lei Gabriele d'Annunzio, Filippo Tommaso Marinetti, Tennessee Williams, Jack Kerouac, Maurice Druon, e tanti altri.



Adolf de Meyer "La marchesa Casati", 1911, con una massima autografa di Gabriele d'Annunzio del 6 agosto 1913, riutilizzata nel suo "Libro segreto", 1935 (Gardone Riviera, Fondazione Il Vittoriale degli Italiani).


Venezia, ottobre 2014
Enrico Mercatali

23 January 2014

Casa d'Arte Futurista. Fortunato Depero. Costruttore di idee, ma anche e soprattutto inventore di efficaci sistemi comunicativi assai prima che il Medium divenisse Messaggio



 
Fortunato Depero, 1915, "Riso cinico", della Serie "Stati d'Animo" - Roma



Costruttore di idee 
ma anche e soprattutto inventore di efficaci sistemi comunicativi 
assai prima che il Medium divenisse Messaggio




DEPERO ILLUSTRATORE
DEPERO      ARCHITETTO
DEPERO               PITTORE
DEPERO               GRAFICO
DEPERO                  MOBILI
DEPERO                  DESIGN
DEPERO                     ARAZI
DEPERO                 TEATRO
DEPERO                 ATTORE
DEPERO               OGGETTI
DEPERO            ATTIVISTA
DEPERO       ADVERTISER
DEPERO     DECORATORE


in



 "Casa d'Arte Futurista Depero" è stata riaperta nel 1992, dopo anni di chiusura, in occasione del centenario della nascita dell'artista roveretano, contestualmente ad una grande mostra tenutasi al MART che riassumeva le numerose mostre svoltesi nel mondo e realizzate utilizzando le opere alla Casa appartenenti. Oggi, dopo un accurato restauro dell'intero palazzo, secondo criteri riorganizzativi innovativi sia dei servizi che dell'esposizione, possiamo più agevolmente vedere quelle opere, arrichhite da percorsi inediti e punti di vista sorprendenti. Fu lo stesso Depero che volle realizzare, con la collaborazione della moglie Rosetta, questa Casa Futurista, a partire del 1920, un po' quale laboratorio d'arte applicata, nel quale oltre alla moglie vi lavoravano anche altre apprendiste nell'arte d'intarsiare, e un po' già con l'intento futurista di imprimere una significativa svolta storica alla creazione artistica, nella consapevolezza di fare avanguardia, e di stupire fin da allora il mondo dei suoi visitatori.


Abbiamo visitato la Casa d'Arte Futurista Depero di Rovereto dopo l'avvenuto recente restauro e ne abbiamo riportato una impressione ambivalente, dopo esservi statio anni fa, prima che questa recente sistemazione fosse intrapresa. Due versioni diverse e perfino opposte dello stesso luogo, corrispondenti a due distinte visioni di essa, entrambe vissute nello stato d'animo del turista in cerca di peculiarità locali, ed entrambe approcciate da autentici appassionati d'arte quali noi siamo.
Se nel corso della prima visita avevamo avuto la genuina impressione d'un luogo intensamente vissuto ed allestito da chi di esso voleva farne un simbolo d'una appassionata ed inquieta avventura d'arte, vissuta nell'effervescente doppio ruolo di testimone e di attore, d'una storia locale trasferita come un attimo fuggente nella scena dell'intero mondo, nella seconda visita abbiamo ritrovato gli stessi oggetti e le stesse opere manufatte in quello spirito primigenio e un po' primitivo, travasate, e un anche trasfornate, nell'asettico luogo della perfetta e moderna fruibilità museale, pur consono ai più attenti principi della scienza della conservazione e della esposizione. Se da un lato siamo rimasti colpiti dalla perfezione d'una macchina espositiva che, pur piccola, ben funzionava in ogni suo congegno (compreso quello, ora di moda, di creare qualche piacevole stupore), dall'altro è rimasta in noi la delusione per la perduta freschezza di quello spirito originario che ancora vi si respirava  nell'aria.
Poichè in questi stessi giorni è stata aperta al Museo Archeologico di Aosta una mostra su Fortunato Depero, con più di 100 opere provenienti da raccolte private (collezione Ugo Nespolo, dal Fondo Fortunato Depero e Galleria Campari), ma anche dalla stessa Casa Futurista di Rovereto, abbiamo ritenuto utile affiancare ai numerosi articoli che ne segnalano l'evento, aggiungere il nostro che creasse un parallelo con la mostra permanente che la sua città natale gli ha dedicato, a partire proprio da quella sede che l'artista stesso, con la moglie Rosetta, volle allestire, con profondo senso della storia, a partire dalla fine degli anni '40.



 DEPERO ARCHITETTO


Ecco Fortunato Depero tra due totem di un allestimento fieristico: trattasi di un padiglione dedicato dall'Editore Treves ai propri libri. Qui i caratteri tipografici, che tanto hanno interessato la grafica futuristica deperiana tridimensionale così come tanta parte avevano avuto anche nella propaganda marinettiana, vengono ora utilizzati nella loro fisica corporeità, con dichiarati intenti architettonici. Trattasi, come Depero stesso l'ha chiamata, di "Architettura tipografica".



DEPERO ADVERTISER


Dal 18 al 25 Marzo del 1928 si tiene a Trento la IV Mostra del vino e affini, nell'ambito delle Attività promosse dell'Ente Regionale della Venezia Tridentina. Questo uno dei tanti manifesti realizzati da Depero, che così frequentemente si adoperava per le attività fieristiche che riunivano i produttori locali o per realizzare le copertine delle riviste commerciali, artigianali o politiche della sua provincia. I soggetti che in tali manifesti o locandine venivano utilizzati erano quasi sempre figurativi. Secondo i suoi usuali modi stilizzati essi sintetizzavano in modo generalmente efficace, come in questo caso, l'argomento trattato, ricorrendo a elementi molto simbolici. Lo stile, ed i colori che ne fanno parte integrante, sempre molto vivace ed efficace, appartengono al linguaggio deperiano, intrinsecamente e volutamente futurista nei suoi intenti anche ideologici, rendendo diretto e facilmente percepibile il messaggio, così anticipando i modi della pubblicità adotterà a partire dagli anni '50. Sono qui le impellenze dello stile artistico dettato dal "manifesto futurista", da lui co-siglato, ad attribuire forza ed efficacia al compito squisitamente  pubblicitario di questi cartelloni.



DEPERO PITTORE


Questa tanto nota ballerina deperiana è divenuta simbolo stesso dello spirito futurista. In essa tutto evoca la strenua dinamicità formale del soggetto, i suoi volumi puri, il suo colore intenso e vivo, la sua ambivalenza umana ed animale diventa strumento per un sogno ad occhi aperti, inventato per un teatro tutto nuovo solo apparentemente fatto per bambini, ma intenzionalmente tendente a far tornare l'uomo bambino: con l'amico Gilbert Clavel Fortunato Depero, appena terminata l'esperienza teatrale con  Diaghileff, crea la sua nuova "libertà plastica" dando avvio a Capri a quei "Balli Plastici" che dovettero consacrarlo tra i più bizzarri artisti del secolo. Tra arlecchini, farfalle giganti, uomini dai baffi d'oro, scimmie verdi, orsi azzurri, serpenti metallici, nacquero quellle scenografie complesse, con figure astratte in libertà, che lo fecero tra i più acclamati creativi della modernità.


 

DEPERO  GRAFICO




Fortunato Depero, stampa tipografica del 1927, da "Depero Futurista. Dinamo Azaroi (Libro imbullonato), 24,5 x 32,2 cm. Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto. Una stanza della Casa d'Arte Futurista, chiamata "l'Eco della Stampa", mantenuta nel Museo nel suo stato originario, è stata voluta da Depero quale luogo deputato a raccogliere ogni testimonianza su di lui. Qui vi sono raccolte di volumi, di cataloghi, e di varie altre testimonianze inerenti la sua attività. Il libro intitolato "Depero futurista", del 1927, il cui totale rinnovamento grafico e tipografico in stile futurista, è nelle "Parole in libertà" e nelle "Tavole parolelibere": trattasi del cosiddetto "Libro imbullonato", il quale a tutt'oggi rappresenta un unicum per l'ardita impaginazione e l'uso audace del carattere tipografico. "Dalle parole in libertà all'Architettura tipografica" è il titolo di una conferenza tenuta da Depero il 29 maggio del 1952 a Milano, nella quale egli descrive la storia dell'evoluzione grafica e tipografica delle cosiddette "licenze poetiche" del futurismo sottolineando la grande efficacia che tale rivoluzionaria impostazione data all'immagine della parola, dritta capovolta rimpicciolita od ingrandita "arrotolata come il fumo dei sigari o in fuga come i treni", ebbe sull'evoluzione del messaggio pubblicitario. Egli cita anche la rivista berlinese "Gebrauchs Graphik", edita in lingua inglese e tedesca, che dedicò ben nove pagine alla rivoluzione in materia apportata da Depero. Noi stessi oggi sappiamo ben riconoscere quanta parte essa ebbe nel lavoro successivo di Albe Steiner o di Bob Noorda.


 

DEPERO    MOBILI



Siamo nel 1926, e questa sedia, facente parte di un gruppo di quattro attorno a un tavolo rettangolare ad angoli smussati, costituisce uno dei non numerosi "pezzi unici" esistenti al mondo. Non si caspisce come mai Cassina, all'interno del suo amplissimo catalogo dei moderni, non abbia sentito il bisogno di annoverare anche questo "pezzo" deperiano, assieme ai tanti altri invece assunti, d'analoga stramberia, quali ad esempio quello di Gaudì o Wright. Vero è che la sedia deperiana presenti proporzioni piuttosto abnormi, rispetto alla media, e che forse per questo possa sembrare oggi difficile da assortire nei contesti contemporanei, ma vero anche che essa perfettamente rappresenti la sua epoca, più che l'autentico "spirito futurista" che l'ha saputa concepire.  Ciò che più colpisce di essa sono i 10 coni di cui è costituita, elemento molto referenziale del suo autore (vedi anche la bottiglietta di Bitter Campari), oltre alle ondulate e zigzaganti fasce che ornano un poco anche appensantendola.


DEPERO    ARAZI 

 

E' negli arazi (o meglio nei "Mosaici in panno colorato di lana") che Fortunato Depero dà il meglio di se stesso. Stagione intensa ed altamente creativa, 1919-1927, quella che li vide realizzare, prima in fase di studio, e successivamente in lavorazione all'interno del laboratorio di via Vicenza, nel "paesaggio della strozzatura di Vallarsa". L'esplosione creativa partì per dare seguito, quale prima istanza, agli accordi presi con l'impresario Diaghilev per i "Balletti Russi", assieme all'amico Gilbert Clavel. Ma le occasioni non sono mancate specialmente quando Milano gli propose una grande mostra personale sullo sfondo delle manifestazione allora frequenti di arte futurista, alla galleria Moretti di palazzo Cova in piazza della Scala, nel 1921, e successivamente nel 1923, quando si preparò una grande esposizione delle sue nuove opere alla Triennale di Milano ed alla Villa Reale di Monza. Furono, questi tre, veri e propri momenti di acclamazione dell'arte deperiana, e specialmente della sua variante "tessile", riconosciuta ed apprezzata dal grande pubblico che volle vedere in essa una variante più appetibile, più facilmente percepibile e piacevole rispetto a quanto fossero le aspettative. Essa però non mise subito in moto la macchina produttiva in quanto ancora non del tutto commestibile rispetto a forme di arredo ancora tradizionali in uso nelle comuni abitazioni. Sarebbero ancora passati alcuni decenni prima che si imponessero nel gusto di massa i segni del moderno.



DEPERO   DESIGNER

 
L'avventura più longeva per Depero, tanto che ancora oggi essa è viva e vegeta, è stata quella generata dalla ditta Campari, che, fin dal 1932 (anno in cui egli disegnò la famosa "bottigliatta rossa" troncoconica) credette in lui, nella sua arte, nei segni da essa sprigionati, e nel fantastico e multicolore mondo di geometrici pupazzi attorno ad essi profuso, il migliore veicolo pubblicitario per le sue bevande. In esso vi erano compresi già totalmente i segni d'un futuro vivace e ricco di colore, quindi di speranza, ma anche evocato il mondo agricolo da cui esso discendeva, le cui radici affondavano nella cultura contadina, nella natura, in un vissuto popolare che era popi quallo che in quel periodo Depero andava inventando negli arazi, nelle tarsie, nei mosaici, nelle decorazioni nei manifesti delle sgre paesane del suo Trentino.



DEPERO   OGGETTI


Gli anni del Teatro Plastico, in cui l'arte dell'intarsio riguardava stoffe e impiallacciature per mobili, erano anche quelli in cui si sviluppava in Depero l'urgenza d'una decorazione moderna, svincolata dalla naturale tendenza all'arabesco deco per assumere valòenze geometriche esasperate, e proiettando le valenze stilistiche d'un arredo, o di un oggetto oltre la pura grazie della forma per assumersi invece un ruolo più aggressivo, a volte perfino ossessivo, più adatto ad un ruolo contestativo e ribelle quale quello futurista. L'oggetto a sua volta, se privo di funzioni, anzichè esaltare la spinta estetica dell'uso, assume ruoli più giullareschi, cercando la consonanza coi giochi, con la pura invenzione fiabesca; in quasto caso traendo spunto da evocazioni etniche, a quell'epoca ricorrenti nelle propagande di regime.


DEPERO  ATTORE



Allorchè Depero avviò i contatti con il balletto russo e con il suo massimo maestro di allora Diaghilev, per l'allestimento di scene per il Teatro Plastico, egli stesso si immedesimò nello splendido mondo della fantasia che scaturiva tanto dalle coreografie quanto dalle stesse scene da lui approntate, le quali impressero un vero e proprio sussulto in quel mondo d'invenzione. Molte furono le fotografie scattate che lo ritraevano in pose plastiche, in espressioni d'intensa ed ispirate  immedesimazione, in atteggiamenti farseschi ed istrionici, le quali attivarono di lui una immagine simpatica e scherzosa, capace di alimentarne il mito.

 

DEPERO    TEATRO


I Balli Plastici costituiscono l'apoteosi, tra il 1914 e il 1917, della sua irruenta creatività. Ciò che documenta questo periodo fortemente creativo sono i numerosi disegni preparatori di scenografie e di azioni teatrali, i dipinti con ballerini stilizzati e geometrizzati, i pupazzi realizzati in legno o metallo, colortatissimi ed attivissimi. In essi una scena scarnamente rappresentata con elementi architettonici simili alle costruzioni per bambini, fatti di scale, ponti, congegni meccanici, forme geometriche pure, costituisce un mondo popolato da marionette, signori coi baffi, maschere indefinibili, uccelli e pappagalli, ballerine ed arlecchini, piante esotiche. L'effetto rutilante di caos è quanto Depero cerca per descrivere una rumorosa e allegra proiezione di sogni e fantasie, giocando egli stesso con esse, mentre le crea. Analoghe esperienze fece un po' più tardi Oscar Schlemmer nelle sue ricerche costumistiche e teatrali, prima e durante il periodo del Bauhaus a Dessau, non escludendosi possibili influenze esercitate su di lui dall'arte di Depero.



DEPERO  ATTIVISTA


Tra le numerose illustrazioni pubblicitarie, realizzate da Depero per le attività sociali e ricreative locali, per le manifestazioni fieristiche o le sagre paesane della sua regione, oppure per promuovere prodotti di consumo, ne esistono alcune, come questa qui sopra riportata, quale coperttina d'una rivista sportiva, in cui viene inneggiato il Partito Fascista, e le attività da esso organizzate. Nel ventennio di regime era assai difficile sfuggire a tale genere di attività, specie per chi come Depero fa propaganda, essendo ogni dettaglio della vita associativa di allora risucchiata all'interno dell'inquadramento politico da esso propugnato.


DEPERO DECORATORE


E' negli dei viaggi a New York che Depero sviluppa ed approfondisce il piacere al decoro, partendo dall'esigenza di intarsiare le superfici impiallacciate dei mobili, da quella di completare parti vuote degli arazi, o di meglio rafforzare i campi grafici di una illustrazione o di una pubblicità. L'analisi di come meglio campire tarsie o settori di impaginati o parti di tavole suddivise in piani lo porta a generare superfici generalmente bicromatiche capaci di attribuire forza tonale o semplicemente senso di tridimensilnalità alle forme geometriche più complessive. Ciò genera motivi di notevole risalto che hanno in sè qualcosa di veramente nuovo nel panorama decorativo sino ad allora sperimentato, anche qui anticipando ciò che movimenti artistici contemporanei o grafici importanti giunsero a fare decenni dopo (Optical Art, Arte Programmata, ad esempio, o Piero Ballocco, Franco Grignani, ed altri).



DEPERO ILLUSTRATORE


L'attività che ha assunto maggiore peso negli anni che sono seguiti a quello in cui Depero si è occupato di scenografie, di teatro e di balletto, è stata quella dell'illustrazione, che corrisponde ai viaggi da lui fatti in America, ed influenzati fortemente dallo stupore che suscitò in lui la città di New York, presso le cui gallerie d'arte egli si mosse per portare oltre oceano il messaggio futurista, e presso la cui mercato egli volle anche tentare qualche avventura produttiva. Le sagome dei grattacieli entrarono subito a far parte delle sue composizioni, sia nelle copertine che egli fece per le riviste Vogue e Vanity Fair, sia nelle più recenti versioni dei suoi sempre coloratissimi dipinti. Subentra a volte nel suo stile anche l'uso del bicolore, come in questi tre esempi soprariportati, che rappresentano altrettante illustrazioni realizzate per Vogue tra il 1929 e '30 (tempera su cartoncino).


Abbiamo voluto evidenziare, in questa sintetica ricostruzione del suo lavoro, l'estrema poliedricità della sua opera, e del suo agire d'artista, oltre che l'estrema modernità, a tutt'oggi convincentissima, che in essa sapeva trasferire quell'idea di futuro che era già scritta nel manifersto originario, oltre che nel suo stesso spirito creatore. E fu in Fortunato Depero che tale spirito trovò il suo migliore veicolo, essendo lui davvero, certo più degli altri amici che nella stessa avventura lo seguirono, un grande innovatore. Egli rivoluzionò l'arte pubblicitaria reinventandone la sua più moderna versione di massa, fatta di pochi e semplici segni, diretta ed implicita nel messaggio, esplicita nel favorire positività e spensiratezza, vista essa stessa come opera d'arte. Potremmo dire che in questo Depero seppe anticipare di trent'anni la Pop Art, realizzando a Rovereto, nella Casa d'Arte, la sua Factory.
Se non col cinema e la fotografia, che furono della Factory americana i massimi veicoli di promozione e di creazione, furono il Teatro, per Depero, con i suoi apparati scenici, e la cartellonistica pubblicitaria, gli strumenti della divulgazione e della creatività. Lo furono anche però tutti gli elementi che vi ruotavano attorno, primo tra tutti forse quelle capacità, che egli aveva innate, di invenzione grafica delle superfici, attribuendo loro con semplici "trucchi" del mestiere una dimensione, un verso, un senso, uno sviluppo, un orientamento, una forma, una resa prospettica. In questo, anche, Depero fu grande maestro che seppe anticipare molta parte della grafica moderna, quella che venne dopo di lui decine di anni dopo. Costruttore di idee, ma anche e soprattutto inventore di sistemi comunicativi, prima, ma molto prima, che il Medium divenisse Messaggio.



Ciao Fortunato! .. e simpaticone!


Enrico Mercatali 
Rovereto (TN), 29 dicembre 2013