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05 October 2016

Il "surreal neobarocco" Renzo Mongiardino - Una storia d'iconoclastia






Quando io, iconoclasta
del "surreal neobarocco"

Renzo Mongiardino



Verso la fine dei settanta, senza averlo deciso di persona, tuttavia con un certo sensibile piacere, ho vissuto l'esperienza di ordinare la demolizione, entro una casa d'appartamenti costruita dai BBPR nel centro di Milano, di un arredamento su tre piani (con attico, superattico e giardino pensile) che qualche anno prima era stato realizzato, nientemeno che (così penso oggi) da Renzo Mongiardino.

Proprio ora Milano, al Castello Sforzesco, ne celebra la figura d'artista, architetto e scenografo in una mostra a lui dedicata nel centenario dalla nascita, la quale, come fa ogni buona mostra commemorativa, ne analizza e ne divulga le qualità. 

Quell'arredamento di cui ho accennato più sopra, spazzato via ormai quasi cinquanta anni fa, definitivamente cancellato dalla futura memoria, eseguito nello stile inconfondibile "surreal-neo barocco" del suo autore, come lui stesso amava definirlo, se fosse stato conservato dai suoi proprietari anzichè sostituito da un altro dallo stile totalmente diverso e per quel tempo in un certo senso assai più "accademico", del quale io stesso sono stato l'autore, sarebbe forse oggi anch'esso annoverato in quella mostra milanese, o pubblicato nell'ampio volume "Architettura da camera", che Officina Libraria ha pubblicato per l'occasione. 


massimo interprete del gradimento abitativo
delle più elevate classi sociali al mondo 



Sopra al titolo: Renzo Mongiardino a Potsdam nel 1991.
Qui sopra: allestimento della mostra dedicata a Renzo Mongiardino (Milano Castello Sforzesco, Cortile della Rocchetta,  28 settembre - 11 dicembre 2016). Espositore-zigurrat disegnato da Michele De Lucchi. Sullo sfondo un affresco recentemente scoperto e restaurato del Bramantino, al centro della sala lampadario disegnato dagli architetti BBPR per il restauro del Cortile della Rocchetta nel 1963. 


La mostra, dopo tanti anni di totale indifferenza critica, è stata allestita proprio al fine di omaggiare, restituendolo alla curiosità degli studiosi ed all'intera collettività professionale che fin lì lo aveva snobbato, colui che ha creato gli spazi dentro ai quali si sono così ben rappresentati tutti i personaggi d'altissimo bordo quali i Rotschild, gli Agnelli, i Thyssen-Bornemisza, gli Hearst, gli Heinz, che avevano affidato alle sue cure gli ambienti delle loro case. E così come questi anche gli Onassis (epoca Jacqueline Kennedy), e quindi poi anche Maria Callas, Gianni Versace, Giorgio Armani, Franco Zeffirelli e così via comprendendo Elisabeth Taylor e Richard Burton, Rudolph Nureyev, Valentino, e così dimenticandone chissà quanti altri. Gradimento da parte di una committenza tanto in vista che è divenuto esso stesso fattore discriminante, per l'alta peculiarità di status di quella committenza, ed attraverso le campagne di stampa all'uopo concepite, delle intrinseche qualità di un'opera così capabiamente convinta d'avere una propria legittimità, pur totalmente estranea come era allora al binario tracciato dalla storia del moderno nello scorcio del XIX secolo ed agli inizi del XX, ed una propria ragione, nel ritagliarsi uno spazio nel quale ha giustamente preteso di poter esistere, e che anche la critica d'oggi le assegna senza più traumi ideali nè reticenze.



fervente antagonista 
del percorso stilistico tracciato dalla modernità




Nello scorrere dei '70, dopo le avvenute battaglie di potere e di cultura dentro alle università, e dopo gli anni di piombo che hanno portato nelle strade molta volenza scaturita proprio dai forti elementi di contrapposizione che la società stava sempre più evidenziando, il giovane neolaureato quale io allora ero ha aderito con piacere all'idea, che l'occasione professionale sottendeva, di oltreppassare le "anticaglie" del maestro milanese proponendo tagli più moderni ed attuali degli spazi che Mongiardino aveva allestito per i medesimi committenti alcuni anni prima, totalmente estraniandosi dagli insegnamenti delle nuove leve dell'architettura che, dagli stessi BBPR avevano preso le mosse coniugando le avanguardie storiche alle nuove esigenze  urbane post-sessantottine. In quel clima, in una fase in cui ampia diventava sempre più la forbice che divideva gli strati sociali molto elevati da quelli medi, pochi si accorgevano dell'esistenza di artisti quali Mongiardino, che a quel tempo agivano silenziosi su di un segmento della scena internazionale, peraltro modesto in dimensioni, e totalmente privo di divulgazione teoretica massiva.




maniacale assertore di un decoro storico
che parli una lingua sempre attuale



Appartamento all'interno del palazzo Odescalchi, Roma, 1969. Sala da pranzo e salotto.



Poi, inviati alle discariche tutti quei preziosi manufatti in legni pregiati, a suo tempo realizzati dalla miglior artigianalità italiana oggi scomparsa, riccamente impreziosita da fregi scultorei dorati, dettagli decorativi realizzati su misura, diedi avvio alla realizzazione di un algida, razionalista e minimale veste a quegli spazi costruiti sulle istanze d'una funzionalità domestica tutt'affatto diversa ed estranea alle esigenze rappresentative di uno status griffato, quanto improntata alle più severe mode che l'interior design di quel periodo stava imponendo.

 e strenuo avversatore
dell'ironia post-moderna




Sala di lettura a finte tarsie della casa di Philip Sharp a New York,


ho cancellato una autorevole testimonianza 
d'una orgogliosa critica al moderno


L'opera mongiardiniana della quale avevo ordinato la demolizione, se fosse stata conservata anzichè definitivamente cassata da un appartamento del centro di Milano alla fine dei '70, oggi avrebbe certamente potuto arricchire la mostra che questa città ha dedicato al Maestro dell' "Architettura da Camera". Ma anche priva di quel contributo la mostra certamente riuscirà ad arricchire un dibattito, forse solo agli inizi, che renderà ragione al raggiungimento odierno d'una pluralità linguistica del messaggio architettonico, con buona pace anche dei più assertivi archistars del moderno. Questo, tra presente proiettato al futuro e passato quale materiale sempre vivo nel presente, può indicare ancor più compiutamente all'uomo di oggi la strada di un domani forse più confacente al suo spirito più profondo e alla sua reale e contestuale idea di benessere.


Enrico Mercatali
Milano, 1 ottobre 2016

28 July 2014

Narcissus Selfie. Sono io l'inventore dei selfie. Non col cellulare però, ma solo con la mia Nikon Reflex - di Enrico Mercatali






Narcissus Selfie




Per quanto ne sappia, sono io l'inventore dei selfie.
Tutto questo è quanto volevo affermare in questo scritto: dire cioè d'assere stato io il primo a mettere in atto questa pratica autofotografica fin dagli anni '60, divenuta oggi di moda, alla quale è stato di recente attribuito l'azzeccato nomignolo di selfie.

Ecco quindi qui Narciso, che si mette al centro di tutto, e che si crede primo tra gli altri! In tal caso si, ma non perchè si autofotografa con il cellulare.





Il fenomeno, oltre ad essere ora largamente in uso è anche stato più volte discusso e analizzato.
Come oggi, sul Sole, in un articolo che ho appena terminato di leggere.
L'articolo che scrivo ora su Taccuini mi è stato suggerito infatti proprio dalla lettura di "Il selfie di Narciso" di Paola Mastrocola (Il Sole 24 Ore inserto di domenica 27 luglio 2014), nel quale l'autrice si lancia in affermazioni che giudico quantomeno azzardate.

Tra queste ne seleziono alcune, quali, già nel sottotitolo: "Niente male nel fotografarsi, per carità. Ma quel braccio teso, quella propaggine di noi che ci fa sorridere è l'inquietante modo in cui mandiamo agli altri la nostra solitudine". Non male come incipit.

Ma si dice anche poi, oltre, nel lungo ed articolato testo tra il sociologico e l'antropologico: "Selfie, quello straordinario e nuovissimo gesto di fotografare se stessi, a cui abbiamo attribuito quella snella ed afficace parolina inglese: selfie. Intraducibile, unica. Il selfie si, è narcisismo puro".

Dico subito, per motivare questo stesso articolo, che con queste dichiarazioni non mi trovo affatto d'accordo.





Ma continua l'articolo della Mastracola: "Allora niente di male nel fotografarsi, per carità. Il fine è comprensibilissimo e anche degno: mandare agli altri, amici e parenti per esempio, una propria foto, non avendo nessuno sottomano che in quel momento ce la possa scattare. Benissimo. La mirabile capacità del fai da te, massima dimostrazione di autonomia. Tanto più che gli strumenti che abbiamo a disposizione oggi ce lo consentono: ti piazzi il cellulare in faccia e sfiori il tasto, fatto! Nulla di così diverso dall'autoscatto in fondo". Concludendo poi: "Ma abbiamo visto qualcuno che si fa un selfie? Voglio dire, ci siamo mai fermati a guardare attentamente una persona nell'atto di farsi una foto con il proprio cellulare? Facciamolo. Sostiamo un momento, e osserviamo. Prendiamo un ragazzo sui venticinque anni. E' seduto sui gradini di un parco. Jeans e maglietta. Capelli biondini, corti. Di colpo estrae il cellulare e se lo mette davanti al viso. Un po' in alto. Lo tiene in alto sulla propria testa., col braccio teso. E clic, si fa la foto. Io non so, ma credo che sia quel braccio teso che mi provoca un leggero disagio, una punta di malessere.






No, non è il braccio. E' che quel ragazzo si sorride". Al leggero fastidio dell'autrice viene poi aggiunto: "Sorridersi! Che verbo strano. Che cos'è, un riflessivo improprio? Molto improprio, direi. Il sorriso è per definizione un gesto che rivolgiamo a un altro. Cioè, intendiamoci. Possiamo benissimo sorridere da soli. Ci passa per la testa una cosa comica, una scena, una frase che ci fa ridere, e ridiamo.  Certo che può succedere. Ma sorridersi per fare una foto mi pare un'altra cosa.  Mi prende il cuore.  Non va bene".
Qui l'autrice azzarda giudizi di valore, continuando così: "C'è qualcosa che disturba. Che cosa? Sorridiamo sempre quando ci fanno una foto, è vero. Ma sorridiamo, in fondo, a ben pensarci, a chi ci fa la foto. Non vediamo il suo occhio perchè è coperto dalla macchina, ma sappiamo che c'è, è li dietro, e ci sta guardando. Anzi sappiamo che quell'occhio è li per guardarci. Fotografare è guardare l'altro nel modo più spudorato. E' esattamente questo. E' lo sguardo che si copre per poter essere più scoperto possibile, si nasconde per rivelarsi, o si rivela per nascondersi, fa uguale. Noi, i fotografi, sappiamo che l'altro ci guarda.





E c'è un sottile piacere nell'esser guardati attraverso una macchina... il sorriso che facciamo in foto è il sorriso che facciamo a lui (il fotografo), amico o sconosciuto che sia. Coin selfie invece, è il sorriso che facciamo a noi stessi. Narciso non l'avrebbe mai fatta una cosa simile. Noi si. i veri Narcisi."






E' il cellulare che ha posto le basi del selfie di massa. La sua leggerezza, l'ergonomicità, le modalità "foto avanti" e "foto dietro", la semplicità operativa, il grande display.

Io invece, possessore di Nikon Reflex F2, ho incominciato a fare selfie da quando, alla fine degli anni '60, mi sono comprato un grandangolo Nikkor 20mm per avere immagini complete di ambienti da me progettati, e poi realizzati.


Chi non fa selfie oggi, o non si predispone a riconoscerne l'esistenza? perfino Papa Francesco sorride e si fa ritrarre in tutti i modi assieme ai suoi fans. Vede in esso solamente il discutibile impulso narcisistico, o ne riconosce l'utilità sociale? In queste fotografie la risposta si dà da sola.



Poi, tanto per confutare l'impianto logico dell'articolo scritto da Paola Mastrocola, ho cominciato a fare selfie proprio per via del grandangolo Nikkor 20 mm, il quale, assai facilmente e senza soverchio sforzo consentiva di riprendere me stesso dentro a quegli ambienti, mentre fingevo di guardarli, o mentre ne indicavo i particolari, in corso d'opera. Trattavasi di una sigla, prima di farne un book, generalmente richiesto dai clienti, specialmente nei casi di opere seguite a distanza dal committente, per mostrargli le problematiche da discutere, gli aspetti ancora controversi di cantieri presso i quali avevo fatto sopraluoghi. Narciso quindi centra poco o nulla del tutto.




Qui Ugo Mulas ritrae se stesso allo specchio, e con la moglie Nini, nella celeberrima serie "Verifiche", del 1970. Erano "selfie" che avevano come tema la fotografia stessa. In questi esperimenti che fecero storia egli, e la moglie,  si guardarono bene dal sorridere.


L'abitudine fatta per questa pratica, faceva frutti anche in situazioni diverse, al di fuori del lavoro. Premettendo che la dedizione mia alla fotografia era a tal punto intensa, in quegli anni, che raramente nel corso della giornata mi trovavo senza un apparecchio di ripresa in mano. Se ero invece, come spesso accadeva, assieme a qualche persona, amico o amica, fidanzata o moglie che fosse, non mi sembrava interessante ritrarre sempre da sola questa o quella persona, e preferivo accostarvene un'altra: me stesso nella fattispecie, che fossi davanti a un paesaggio, dentro a un museo o una galleria d'arte, su una spiaggia o davanti a una vetrina, accanto a una macchina o ad un monumeto. Dove sta allora il "trasmettere agli altri la nostra solitudine? Il contrario direi: io desideravo non lasciare sola quella persona, nella foto, lì, ferma come un birillo inmerte, ma accompagnarla ad un'altra, accostandola al sottoscritto, proprio per rendere la foto più naturale, più completa, più logica, più calda. I miei acompagnatori, o le mie accompagnatrici, le loro figure non assomigliavano in ciò a statuine imbarazzate, ma erano invece soggetti colloquianti tra loro e con lo sfondo, il quale spesso era il vero contenuto delle foto, il quale sembrasse vissuto da noi come realmente avveniva, e non soltanto oggetto d'un ricordo amorfo privo di vita.


Qui sopra Mario Dondero inaugura una sua mostra a Belgirate, nel 2011. Sembra si faccia un selfie. Invece promuove la sua mostra, mostrando se stesso e la sua Leica  (foto da Enrico Mercatali). Qui sotto lo stesso Mario Dondero, "fotoreporter senza archivio e senza digitale", fotografato e intervistato da "la Repubblica" (sabato 9 agosto 2014) dice: "Se l'obiettivo è rivolto sempre verso se stessi, non si vede nulla", "Io e la mia Leica siamo sopravvissuti all'era del selfie".





Non ho mai visto altre persone per decenni fare altrettanto, ed infatti ero noto tra gli amici come colui che fotografava in quel modo, che faceva "selfie". Naturalmente io lo facevo senza sapere che, un giorno, negli anni '10 del 2000, si sarebbe chiamato selfie
Se qualcun altro già allora lo faceva, si faccia avanti, prego. E questo si, invece, che potrebbe dirsi narcisismo.



Selfie ante litteram by Parmigianino. L'artista inquieto nel 1523 precorse i tempi facendosi un autoritratto riflesso da una lente, come fosse davanti ad una fotocamera con obbiettivo fortemente grandangolato: risulta percepibile l'intera stanza retrostante e deformate alcune parti del suo corpo.

Enrico Mercatali
28 luglio 2014
(aggiornato il 12 ago 2014)


27 May 2013

Casa unifamiliare a Weinfelden, presso Konstanz (Switzerland - Canton of Thurgau) - "Per capire gli spazi che viviamo" - le qualità e i difetti dell'architettura, e dei suoi spazi arredati (rubrica di Enrico Mercatali e Vanessa Passoni)


Casa unifamiliare a Weinfelden, presso Konstanz 
(Switzerland - Canton of Thurgau)



Per capire  gli  spazi  che  viviamo
Le qualità e i difetti dell'architettura
 e dei suoi spazi arredati


Casa unifamiliare a Weinfelden, presso Konstanz (Switzerland - Canton of Thurgau)
di K_M Architektur. Fotografie di Sabrina Schej 

di Enrico Mercatali e Vanessa Passoni


E’ questa una casa unifamiliare davvero molto bella. Complimenti ai suoi autori. Trattasi di una architettura pulita ed essenziale, sia in interno che in esterno. Ed il rivestimento in legno, che compare sempre anche negli interni facendovi spesso da protagonista, la rende più accogliente: guai se la stessa casa fosse stata in cemento a vista! Essa è nata così nell'idea dei progettisti, fin dai suoi primi appunti.
Le cose che fanno di questo progetto un progetto immediatamente percepito come giusto, perfettamente centrato nella sua impostanzione di base, sono: l’aver slittato il volume superiore rispetto all’inferiore costituisce subito un doppio vantaggio. Il primo è quello di poter disporre di una ampia terrazza al piano superiore, cosa essenziale quando si ha davanti un così bel panorama, ampio e digradante verso il basso. Il secondo è quello d'avere una comoda copertura nel punto di ingresso, ove si giunge in macchina, utilissima in caso di pioggia per portare dentro la spesa od ogni altra cosa dall’auto: un ingresso ben protetto dalla pioggia o dalla neve, ma anche da un eccesso di sole,  da il meglio di sè' in ogni circostanza.  E' questo un fattore di grande importanza psicologica. 




Questa casa è splendida per la scelta dei materiali, rigorosamente naturali e comunque inseriti in netto contrasto con l'ambiente circostante. Una casa che si fa notare e che sembra creata per essere condivisa, sia in interno che in esterno, in un ambiente creativo e molto spontaneo. La luce, sia notturna che diurna, si fa interprete spontanea dell'arredamento, creando un flusso di Qi potentissimo in ogni spazio, flusso che si rende però quieto e rispettoso nella zona dedicata al sonno. Splendido esempio di camera zen.

 


Le altre qualità di questa casa, per andare anche ai dettagli,  che ne sono la migliore conferma di efficacia, sono: la camera da letto linda e minimale, senza oggetti o libri, per un sonno più pulito e senza polvere, e con la mensola incassata retrostante che, oltre ad essere comodo luogo di appoggio,  fa anche da luce retrostante, ottima per leggere. Veramente giusta la posizione dell’ampio guardaroba a fianco della scala, che corre parallelo al lungo cannocchiale,  con finestrella sullo sfondo, utilizzabile come appendiabiti sia dai proprietari che dagli ospiti, ma anche abbondante contenitore  d'ogni cosa, necessario soprattutto in una casa che si voglia tenere sempre in ordine e non troppo affollata dagli oggetti. Strepitosa la “tolda di nave” per passeggiare o soffermarsi a fumare attorno al soggiorno, in tutta lunghezza (che plus per le feste con amici, o nelle occasioni in cui non poca gente gira per la casa!). Un dettaglio non da poco, per sottolineare la concezione integrata degli spazi interni con gli esterni e viceversa, è costituito dal risvolto verticale in legno nella parte interna della lunga balaustra, che della pavimentazione ne riprende il motivo a doghe. Possiamo solo immaginare la bellezza del panorama anche serale e notturno da quassù, con l'accattivante veduta del territorio sottostante illuminato). Un altro particolare che rende la cucina perfettamente abitabile e ben collocata, è costituito dalla finestra a nastro orizzontale dietro, il blocco di lavaggio (soluzione sempre eccellente quando possibile. E cosa dire di meglio, di quel tavolo-pranzo presso il camino, che lo divide dalla zona dei divani, con l’alternativa esterna coperta? Perfetto.




L'aver ricavato un'unica zona estremamente minimale e funzionale, per la gestione logistica degli oggetti d'arredo e del guardaroba, crea la possibilità di gestire spazi impensati e ben strutturati in ogni zona rendendo il massimo confort e una manutenzione più semplice. Lo spazio dedicato alla living-room, nella sua calda vuotezza, invita la creatività degli ospiti e dei suoi abitanti a una maggiore espansione. La suddivisione fra spazi interni ed esterni è ben congegnata, sia per la necessità che per la ricreazione, rendendo questa casa un esempio perfetto di funzionalità raffinata. 





Unico difettuccio? Un patrimonio in spese di manutenzione per tutto quel legno (pavimenti  pareti, soffitti interni ed esterni), se si vuole evitare il suo rapido decadimento , che creerebbe un effetto dismissivo e triste, assolutamente da evitare.
Piccola grande architettura, congegnata sapientemente nei suoi volumi, nella sua distribuzione interna, nell'arredo minimo che rende gli spazi ancor più grandi e ben intersecati.




La casa è pubblicata su Designboom (http://www.designboom.com/), di K_M Architektur, in Weinfelden-Switzerland (Canton of Thurgau), presso Konstanz (http://www.designboom.com/architecture/k_m-architektur-house-in-weinfelden-switzerland/). Fotografie di Sabrina Scheja (http://www.sabrinascheja.ch/)

Enrico Mercatali
Vanessa Passoni

Milano, 27 maggio 2013

27 March 2013

Ville Savoye, Casa Farnsworth e Fallingwater in "Capire gli spazi che viviamo" - di Enrico Mercatali e Vanessa Passoni





Il duplice approccio oriente-occidente
ci aiuta a capire gli spazi che viviamo




Sopra e sotto al titolo: Tre immagini delle vedute esterne (sopra) ed interne (sotto) di Ville Savoye (1928-31) di Le Corbusier e Pierre Janneret a Poissy presso Parigi, di Casa Farnsworth (1945-51) presso Chicago, di Ludwing Mies  van der Rohe e di Fallingwater (1935-39) di Frank Lloyd Wright, presso Bear Run in Pansylvania


Taccuini Internazionali ha visitato le tre case più pubblicate al mondo, opera di noti maestri dell'architettura moderna, per rilevare ed annotare aspetti ai quali i più prestigiosi critici e storici dell'architettura hanno dato scarsa importanza: abbiamo, per così dire, "testato" la vivibilità dei loro ambienti interni. 

(Continua)
...

19 August 2012

Interact with the spaces in which we live n. 3 - by Enrico Mercatali and Vanessa Passoni





The new column of
 Taccuini  Internazionali
 


To understand the domestic spaces
where we live


 

by Enrico Mercatali and Vanessa Passoni
 


3





With a double East-West approach
we will better understand the environment
in which we spend much of our time






In this third article Taccuini Internazionali, after treating some methodological and historical preambles  in the previous ones, starts its survey of the quality of domestic spaces, some of which were chosen by our readers.
We intend to keep analyzing, in our future articles, one house at the time, by examining its rooms and the spirit of its whole, describing the architectural and furnishing characteristics at first, then its merits and faults from the point of view of the inhabitants’ psychology and health; for now, we prefer to keep considering various environments, belonging to some houses that have different typologies and functionalities: a kitchen, a bathroom, a living room, a dining room etc..

In the previous articles we have introduced the topic by showing how important it can be for man to live in an environment being appropriate for his mental and physical health, which, according to western thought, means avoiding the stress caused by a wrong setting of the plan, or by the bad conditions of its external exposure, linked to the surrounding environment; we have eventually made a parallel with the Yin-Yang eastern thought and practice. 

We have then considered some houses realized by the “Masters” of architecture, in order to show that these positive effects on their stereometries and their furnishings and fittings don’t necessarily come from pure appearance or fashion, but rather from other factors usually less pondered by both planners and buyers: they have rarely been able to understand, before starting with the construction, how suitabile the location could be for them to put down roots.
We have started from the biggest names of modern architecture and their most well-known houses in order to show these theories, which have just partly explained the “clear fame” of their architectures - so conspicuously published after they were submitted to the critics and the international public: many faults have been detected, not only by us but by their very owners, both during and after the building process.

Today we want to start a different examination, less related to these works’ chronicles or history due to the excellence of their self-representation in building art; we will show you some small environments randomly selected from the web, from trade or custom magazines, or suggested by the readers themselves: 



1



Kitchen loft New-York




This entirely white environment, with a luminous full-lenght window characterizing and defining it, has drawn its inspiration from a “machine à habiter” of rationalist origin. Even its considerable depth and the double height of the living room seem to draw on Le Corbusier’s Unitè d’Habitation. The wide glass wall, which appears to overlook a loggia with some greenery, facing in its turn a courtyard of adequate proportions aimed at granting privacy and intimacy, is not enough to do justice to such a faulty distribution of functions: the kitchen would have been perfect if placed in the corner (not visible in the picture) on the lower floor, next to the living room and far from the glass wall. A bedroom would perfectly fit this position, especially if it was partially convertible to a small office, from which to get a bird’s-eye view on the whole room’s volume.  This way, from the less private parts of the house, we could have safeguarded the intimacy more peculiar to the other rooms. It must be said that such a long flight of stairs should never separate two strongly interconnected spaces like the kitchen and the living room. Pretty sad, finally, those two seats for eating without looking in each other’s eyes, but gazing into the distance, indeed staring into space. 

The clean geometries and the really wide glass wall allow a strong access of Qi energy in the living area of this loft, whose real actors are light and space. Since the raised kitchen has water and fire at its disposal close to the wall, they don’t disturb the zone below, but instead of focusing on the convivial sphere, the most fashionable american style has been followed, by privileging the idea of a voluminous central service counter. Thus, the kitchen becomes too rectangular, the heavy Yin influence ends up turning into a too cold Yang, reducing the dining area to an isolated and reflective station rather than a space for collaboration and sharing.  


 2



 Kitchen in Stockholm




This glimpse of nordic flat highlights and emphasizes the traditional distributive structure of the house, which separates the rooms designed for food preparation and consumption from the living room. The long view, with a wide full-lenght window at the bottom, strengthens the idea of a great availability of space and a pleasant freedom of movement. The almost obsessive use of white colour (even the wooden floor) and the dominant choice of Ikea furniture (included the beautiful natural beech table close-up, maybe the best piece of furniture ever produced by the swedish chain), does not prejudice the sense of comfort obtained when imagining yourself in this environment. More than for functional reasons (like food smells and vapors spreading over the house), a door (preferably sliding) seems to be necessary between the kitchen and the other rooms for a psychological matter. When the family gathers around the table at mealtime, the long telescope view over the full-lenght window is certainly annoying.

The Qi energy is able to enter this kind of houses, by exploiting both the long corridor and the wide windows located in every room, in a very strong and imperious way. The rooms must thus have a strong personality in order to receive it. The kitchen is realized with rationality, the elements of water and fire placed in a position that doesn’t interfere with the other room’s areas and allows a good creative organization of the environment and a sharing of the place. 
The choice of cold colours, a Yin element, dissolves in the aggregation area which becomes highly warm and homely by playing on theYang quantity of light and wood. Because of the very strong influx of Qi, coming both from the door and the window, it is advisable to assign the seats right alongside of the wall to little kids. The choice of a flooring of this kind involves much upkeep. The light is certainly privileged, but it compels the inhabitants to follow strict rules in order to keep it clean and efficient.



3



 Dining room in Mandeville



The picture of this amazing high-value dining area has certainly been realized by an expert (given the diagonal light cut that brings dynamism to its atmosphere and the moving chandelier, useful as well for this purpose), and by a professional planner. Every element is perfectly calibrated and harmonically proportioned to the others. The corner glass wall, wide and so well-integrated in the room thanks to its wooden parts, highlights, at lunchtime, the totally natural landscape, which is also reflected by the huge painting in the middle of the only wall. The big curtains also provide the needed privacy, during the evening hours, at dinner time. The furniture in its whole does not look too heavy, despite the massive bulk of the chairs, made comfortable by the full-leather mighty padding and their stability. Great luxury and plainness together, both intended to promote the excellent family business. 

This is definitely a dining room, but this house was designed for people of great power and everything in this room aims at obtaining respect and authority toward its owners. The Qi energy is controlled by the wooden elements in the glass wall, which is the out-and-out wall of the house and whose glass corners reduce the powerful Yang mark of the building. In the picture of this room, more accustomed to big business than to delicacies tasting, it’s interesting to see how the photographer immortalized the chandelier “on the move”. This choice reduces the pragmatism of the furniture, being apparently comfortable but really massive, and of the wooden ceiling, still strongly Yang, which doesn’t favor the artificial lighting during the night.


4
 


 Dinig room – loft in Milan


Everything that composes this environment, despite the effort put by the photographer into giving balance to the composition, does not seem to result from great professional abilities. It is a dining room, but who could tell the function of this room and furniture, if it wasn’t for the table and the seats around, lacking moreover any personality (three chairs made of metal tubular, one wooden chair with little stuffing, one long monastic bench)? It might as well be a lounge of a pharmaceutical society, or the meeting and talking place of a pompous clinic, or again an interviewing point of an advertising agency. One thing is certain, should anyone stay here for a period of time, he would feel really uncomfortable; a basement where draining and water pipes correspond, on the ceiling, to a small “Murano” (for exorcizing their negative effect?), and where the only escape from the prevailing decorum, well rooted in the black and white square floor, is the miserable small bowl on the table: for whom? For what? Who knows! (maybe the mystery was in the planner’s intention).

In this room, situated in a basement, the choice of mantaining the old laboratory-looking structure and a chessboard floor of strong personality creates a really rich and luxurious atmosphere despite the room’s minimalism. The decision of keeping the pipelines exposed entails the presence of various elements (water, gas, air etc.) to be balanced through a structural intervention. The fullness effect is increased by the pipes cage on the ceiling, which is strengthened by the element of fire coming from the chandelire’s shape and employment. The glass walls are another Yin element, strengthened by their metal composition which contributes to the room’s stagnant atmosphere. The Qi energy moves with difficulty in these rooms, despite the wide windows reflected on the door, from which it can have access. This feature makes the room more suitable for a being a storage than a house. 






Living room – loft inStockholm 



This wide environment is attractive at fist sight: every single element arouses interest, starting from the really comfortable corner seats, the corner fireplace, the library, the ancient painting with its golden frame, the easily accessible dining area. Everything looks perfect. Even the loft emerging on the right, which suggests new space-time delights. But there is something wrong: no visual access to the outside besides the sky, or the surrounding building’s top, which make you feel short and compressed. This way, despite the room’s immensity and numerous “distractions”, the roof would hang like a heavy fan over the inhabitants if it wasn’t for that exit on the left, with a step that probably preludes a terrace. 

This room has everything you could possibly desire. A wide space for handling the living area, walls where to lean the furniture, wooden floors and a corner fireplace, wide windows to convey light and Qi energy as much as possible, on the only condition that this room is not used for sleeping, working, studying or focusing for whatever reason. The triangular shape of the ceiling, linked to the element of fire, is the distinctive feature of temples and churches of any worship. The more peaked the building vault is, the better its shape conveys the present Qi upwards, reason why these places are considered suitable for praying. The choice of filling up every free corner of the room in a very luxurious and massive way is probably caused by the ethereal feeling you can suffer when temporarily staying in this environment. 


Enrico Mercatali - Vanessa Passoni
Milan, July 2012
Traduzione dall'italiano di Penelope Mirotti
Pubblicato nella versione inglese il 19 agosto 2012