THE MAGAZINE OF THOUGHTS, DREAMS, IMAGES THAT PASS THROUGH EVERY ART OF DOING, SEEING, DISCOVERING

29 May 2011

Charlie Haden 2011, a Stresa



Charlie Haden 2011 with Quartet West
at Stresa - Palacongressi, Lake Maggiore


Da oltre cinquant'anni sulla scena internazionale, segna ormai da un paio di decenni la sua stagione più matura con il gruppo Quartet West quello che è considerato, se non il più grande contrabbassista esistente, certamente tra i più talentuosi, soprattutto per l'eclettica multiformità delle numerose collaborazioni, con le più note stars mondiali del jazz.



Quartett West: da sinistra Alan Broadbent (piano), Ernie Watts (sax), Charlie Haden (bass), Larance Marable (drums), sul palcoscenico del Palacongressi di Stresa il 29 maggio 2011
(foto Enrico Mercatali)


L'evento, programmato quest'anno nell'ambito del Festival di Stresa, e svoltosi al Palacongressi (doveva svolgersi  nel giardino di Villa Pallavicino, sede poi spostata su richiesta degli artisti), ha visto la partecipazione di un bel numero di fans, accorsi per l'eccezionalità dell'incontro, che si annovera ormai tra i tanti di quella che è divenuta ormai tradizione, qui sul Lago Maggiore: d'avere tra i suoi ospiti, oltre che i più insigni esecutori e direttori della classica, anche i più grandi nomi del jazz internazionale. Siamo ormai abituati da tempo ad avere incontri ogni anno d'altissimo livello, tra i  più grandi protagonisti di questo genere musicale che ha assunto il ruolo di protagonista nell'ambitodelle espressioni artistiche contemporanee.



E così questa volta è toccato al mito di frontiera, a colui che ci ha abituato, sia pure in ascolti trasversali, alle estese atmosfere americane delle grandi pianure, ma anche a quelle  più intime  della  grande stagione hollywoodiana che dal cinema del dopoguerra ha innescato il più potente processo di diffusione del suo sound più tipico ed originario, fatto di musica nera, prevalentemente,  in un primo tempo, ma poi, attraverso il fascinoso apparato melodico che caratterizzava l'intensa vita notturna dei  locali cubani e messicani, fatto anche di musica a volte allegra, ma altre volte anche sognante e melanconica, intrisa delle potenti e variopinte miscele culturali che solo la musica afro americana sapeva fornire.
Già avevamo sentito Haden, una dozzina d'anni fa a Verbania, nell'ormai pluriacclamato tour internazionale in coppia con Pat Metheny, nel corso del quale i due seppero divulgare, assieme, e in grande sintonia di coppia, i migliori motivi tipici della loro comune terra natale, il Missouri, che si tradusse poi uno tra i più venduti albums dalla  produzione jazz, "beyond the Missouri Sky - short stories", per l'etichetta di Verve.




Già negli anni '50 egli avviava le sue "collaborazioni" che fecero gran parte della storia del jazz, allora con Art Pepper (sassofonista) e con Hampton Hawes (pianista), coi quali mise a punto il suo rapporto con lo strumento preddiletto, da che abbandonò per ragioni di salute la giovanile passione per il canto, appresa in famiglia. Ma l'imprinting più incisivo gli derivò dalla lunga ed intensa vicenda che lo vide  assieme a Ornette Colemann, (sassofonista e compositore statunitense, tra i più colti e raffinati, creatore del free jazz, non appena fu lanciatio sulle scene da John Lewis del Modern Jazz Quartett) che tutt'oggi egli ricorda con dovizia di dettagli nei racconti dei ricordi di quell'esperienza che, con grande emotiva passionalità, non smette mai di ricordare quando parla con il pubblico.



 Charlie Haden, oggi
(foto Enrico Mercatali)


Fu Ornette, infatti, che inquadrò la sua attitudine al perfezionismo nella direzione dei quell' "armolodia" che egli stesso gli trasmise, ovvero a quella capacità di argomentare con temi melodici tutto l'apparato ritmico delle sue composizioni, che seppe  far diventare poi  la sua stessa cifra stilistica, e la sua matrice più evidente nella attività anche di compositore.
Con Ornette Charlie stette parecchi anni,  che culminarono con la produzione dell'album assai noto, "The shape of Jazz to Come", durante i quali apprese ad esercitare soprattutto quella che divenne la sua maggiore qualità d'artista, quella cioè di sperimentatore di generi musicali e di impasti timbrici atti a meglio descrivere situazioni ed atmosfere, a tradursi in perfette narrazioni d'ambiente, oltrechè di geniale organizzatore di proposte per eventi, per accostamenti, per collaborazioni sempre nuove.





Questa multiformità d'approccio alla musica che ha caratterizzato tuta la sua carriera, non solo riflette la sua enorme sensibilità musicale, spinta fino al più minuto dettaglio d'espressione, ma anche le sue più spiccate doti d'abbinamento dei migliori, degli artisti migliori che ciascuno strumento sapesse asprimere, il che lo portò ad essere talmente convinto di quanto faceva da diventare perfino produttore di sè stesso. Questa scalata di tappe sempre più alte ebbe inizio con la collaborazione col pianista Keith Jarreth, oggi tra i più grandi che conosciamo, del cui trio egli fu più volte membro, e con l'American Quartett, tra il '67 e il '76, assieme a Paul Motian (batterista e compositore armeno) e a Dewey Redman (sassofonista e clarinettista statunitense di free jazz).



 Ernie Watts (sax), Charlie Haden (bass)
(foto Enrico Mercatali)


Ma lo portò in seguito anche, tale volontà d'accrescersi, ad affiancarsi, per poi divenirne il leader, alla Liberation Music Orchestra, la cui sperimentalità intrinsecamente musicale faceva da sfondo ad una autentica propensione ad esprimersi anche per cause politiche, da cui le  approfondite ricerche  che fece di temi che furono caratteristici della guerra civile spagnola.
All'interno del passaggio tra questa e le prime esperienze con il Quartett West, che ebbero inizio nel 1987, ove sorse sempre più spiccata la tendenza di Charlie Haden a non affidarsi agli standard jazzistici più internazionalmente noti, bensì ai temi, da lui stesso ricercati e ricomposti, tratti dalla realtà che egli più assiduamente frequentava, prendeva anche corpo la spettacolare collaborazione con Pat Metheny. Fu con quest'ultimo che, dal 1996 ebbe inizio una serie di grandiosi tours internazionali, nei quali i due portarono alla conoscenza del mondo le più intense atmosfere della loro comune terra natia, il Missouri. Fu "beyond the Missouri Sky, short stories" l'Album che ne raccoglie il meglio, e che rappresenta uno dei più alti livelli di vendita raggiunti nel 1997 dall'etichetta Verve, (N.Y.C. 1996) del quale ricordiamo con particolare piacere il tema di "Cinema Paradiso (love theme)", del film di Giuseppe Tornatore, di Ennio Morricone, che Haden con Metheny eseguono con amoroso impegno.



E' con West Quartett che tuttora egli si esibisce sulle platee di tutto il mondo, ovvero con quei poderosi artisti, presi uno per uno, che sono  Ernie Watts (sassofono), Alan Broadbent (piano) e Larance Marable (drums), che egli seppe trovare e mettere in gruppo alla fine degli anni '80, e che che ancora dopo vent'anni sanno dargli l'idea d'essere giunto nel migliore dei porti possibili, e dai quali forse non più sapra distaccarsi.



Alan Broadbent (piano), Charlie Haden (bass),
(foto Enrico Mercatali)



I quattro, assieme, sono una esplosione di creatività espressiva all'ennesima potenza, sia nelle singole peculiarità assai ben assaporabili durante i numerosi assoli, sia nella coralità, ove ogni dettaglio è sinonimo di perfetta cura espressiva d'una lunga e corrisposta frequentazione reciproca, fatta d'intese perfette, di grandi sintonie d'intenti. L'assieme, specie nei lenti, e nei "piano", ne dà i migliori frutti. Il bis richiesto a gran voce dalla standing ovation finale del pubblico stresiano, ma anche di appassionati provenienti da più lontano, ne è stata la migliore riprova.




La grande soddisfazione anche degli artisti, resasi evidente a conclusione dell'evento, ha fatto capire a tutti che vale senz'altro la pena di continuare su questa strada, in futuro, nella organizzazione delle Settimane Musicali, così da rendere quanto mai esplicita l'idea che ormai si va formando che non esista luogo migliore, in Alta Italia, per fare buona musica, ma anche in particolare  il miglior jazz, che non sia proprio il Lago Maggiore.



Charlie Haden (bass), Larance Marable (drums)
(foto Enrico Mercatali)


Stresa, 29 maggio 2011

Enrico Mercatali
per Taccuini Internazionali





27 May 2011

Mani sulla città



 Mani sulla città
Milano, una città sfigurata dal governo delle lobby del mattone





La città che è stata il motore dei virtuosi processi che l'avevano portata, dallo stato comatoso in cui l'ultima guerra mondiale l'aveva ridotta, a diventare la capitale morale del nostro Paese, e modello di come intraprendere per la ripresa economica e di come evolvere in centro di produzione economico e sociale, e di cultura a livello europeo e mondiale, fino ai primi anni '90, ha imboccato, poco meno di vent'anni fa, una strada che l'ha condotta allo stato in cui versa oggi, che le immagini che seguono non mostrano che in parte, un cumulo di errori progettuali e programmatici, organizzativi e di management, di erronee scelte strategiche e d'immagine, insomma: una immensa spazzatura che ha il difetto d'essere più o meno eterna, a differenza di quella napoletana, una strada di non ritorno.
Lo stato di degrado in cui la città versa è infatti poco fotografabile, essendo esso prevalentemente economico e sociale, e la grande quantità di cantieri edili oggi aperti, visibili ovunque nel tessuto urbano, non sono indice in sè di progresso e di sviluppo, quanto piuttosto espressione di un caos generalizzato che la allegra ed avida conduzione della amministrazione cittadina ha mano a mano prodotto nella immagine che scaturirà a breve d'una città irriconoscibile , frutto d'una concezione altamente privatistica ed oligarchica della cosa pubblica.
Le volumetrie esagerate e le densità intollerabilmente concentrate in taluni comparti territoriali, specialmente attorno alla cerchia dei bastioni, hanno determinato, unitamente all'indistinto ricorso a tipologie globalizzanti, lo stravolgimento del tradizionale assetto cittadino, ma quel che è peggio, lo hanno violentato col puro scopo di lucrarvi incommensurabili rendite di posizione senza tornaconto alcuno per la collettività, senza contropartite di sviluppo per la società milanese nel suo assieme, di crescita globale delle attività socioeconomiche e culturali, nè di una immagine entro la quale rispecchiarsi in quanto milanesi, lombardi od italiani che dir si voglia, per poterci scoprire tutti almeno  un po' cresciuti, migliori, forse più benestanti. No, in tutto ciò la città ora, oltre ad essere l'immagine stessa dello scempio (simbolica dello sfascio in cui l'intero paese è sprofondato), è il luogo fisico del degrado economico d'un paese che ha spremuto tutto ciò che ha potuto a favore dei più ricchi signori dell'economia, ai leader del mattone già collusi con la mafia, togliendo tutto  al contempo (e sta tuttora togliendo tutto) a chi poco aveva e perfino a quei ceti medi che erano divenuti classe egemonie in passato, e che erano giunti, governando la città, a produrre di più e a distrubuire meglio la ricchezza, portando Milano sino al cuore dell'Europa.




Milano ora non sa neppure completare i cantieri che ha aperto (vedi Santa Giulia) ed ha avviato la più parte di essi senza neppure sapere se come e quando verranno completate le loro parti più qualificanti (vedi City Center e Museo d'Arte Contemporanea). Milano ora, che da anni s'impone una immagine d'avanguardia nel mondo fregiandosi d'un Expò 2015, che mai vedrà la luce, su temi ultrasensibili quali la fame nel mondo e le modalità d'un futuro produttivo mondiale che ne sappia creare e poi governare i criteri risolutivi. Approssimazione e faccia tosta, Promozionalità globali ed incapacità perfino nel guardarsi allo specchio, improvvisazione e falsi virtuosismi, furbizie d'ignoranza e megalomanie incapaci d'autolimitarsi hanno prodotto lo stato attuale d'uno sfacelo annunciato, divenuto ora il verbo d'un fare solo fine a se stesso, rappresentazione d'un fatto che ha solo tolto qualcosa alla città, senza lasciare che indistinte volumetrie per chi viene a Milano solo per fare affari, e poi ripartirsene per raggiungere mete migliori: città da businnes, città per convegni e fiere, città d'affarismi poco produttivi ed assai finanziari, città per ricchi che quando lavorano amano stare in ambienti iperclimatizzati, interni e tecnologici, e che quando sono liberi spiccano il volo verso lidi costituiti da esterniben conservati a loro uso e consumo. Una Milano così, come inferno di chi vi campa nei suoi servizi, in topaie per chi nutre i call centers. Il suo centro conservato a misura d'un turismo mordi e fuggi che più di una giornata non vi dedica, e le sue periferie incapaci di uscire dal degrado metropolitano in cui se si investe, lo si fa solo per ulteriore residenze di lusso, poco attraenti perfino a chi se le potrebbe permettere.



Una Milano che ha voluto darsi un aspetto moderno e aggressivo, potente e sicuro, ma che non riesce a chiudere positivamente uno solo dei suoi cantieri. Una Milano che si è affidata alle mani di professionisti stranieri di fama, chiamati a siglare questo o quel progetto con l'ambizione d'essere importante e significativo nel quadro metropolitano, senza uno straccio di Piano Territoriale che ne potesse sorreggere almeno la localizzazione, e ne modellasse, adeguatamente dimensionandole, le infrastrutture e i servizi. Episodicità eretta a sistema, interesse ristretto e largo spazio all'improvvisazione. Decenni sono trascorsi tra dibattiti e analisi, eccessivi perfino gli scrupoli edificatori d'una pianificazione sin troppo attenta alla complessità del quadro, mentre ora, ecco sorgere come funghi, ovunque,  i dispositivi d'una funzionalità mai da alcuno decisa entro il sistema delle più normali verifiche, entro il quadro d'una pianificazione quanto meno suffragata da un dibattito pluridisciplinare, entro a una sia pur ristretta forma di istituzionalizzazione.




Alle "ex Varesine" si scatena l'inferno, essendo l'area più centrale e più appetibile sia in termini di capienza urbanistica sia in termini di posizione, agganciata com'è ai più consistenti flussi di traffico cittadino, sia veicolare che ferroviario, attraversato da metropolitane urbane e regionali, nonchè sede di importanti istituzioni pubbliche, quali alcune sedi comunali e regonali. Lì vi si localizzeranno nuovi musei, centri congressi, concentrazioni di terziario che neppure nell'intero centro potrebbe esservi più denso. Lì i flussi del traffico su gomma già si incanalano entro tunnel sottopassanti il futuro Museo della Moda con i relativi supporti di terziario avanzato e di servizio (la torre di Cesar Pelli), lì vi si vorrebbe far transitare uno dei più lunghi tunnel urbani d'Europa, capace di scorrere nelle viscere della terra per collegare in pochi minuti tutti i più influenti gangli del'attività cittadina.
Milano è una Grande Milano: "Milan l'è un gran Milan". Ma chi poteva pensare che Milano diventasse una città tanto aggressiva! Chi la poteva volere così, se non chi generalmente scarseggia in fantasia!




Un tunnel così normalmente si fa per collegare due stati separati dal mare, due aree regionali popolatissime che non hanno altri modi per essere tra loro unite, due forti conurbazioni separate da alte montagne o da lingue di mare, non i quartieri di una città già ampiamente infrastrutturata da linee metropolitane, ferroviarie ed autostradali: un'opera inutile, e tragicamente costosa per una popolazione già vessata da infinite altre voci di spesa! Un'opera che fa gola solo a chi maneggia grossissimi capitali. Qualcuno può pensare che un'opera del genere non interessi alla mafia? Già, proprio come sta accadendo all'Expò.



Milano in cantiere


Milano ancora in cantiere


Milano sempre in cantiere


Milano: una città ribaltata in pochi anni da capo a piedi senza progetto alcuno! Il più promosso e divulgato tra i suoi "punti di forza" è il "City Life", voluto da pochi oligarchi del mattone e da una giunta consenziente, stilato da professionisti ambiziosi e senza scrupoli, totalmente privi di conoscenza specifica della città e della sua cultura. Questo rendering del progetto di massima è il solo livello di approfondimento acquisito dagli organi autorizzativi per dare il via al programma dell'intero comparto, immediatamento cantierizzato, che prevede centinaia di migliaia di nuovi metri cubi residenziali e ad uso ufficio, capaci di contribuire in modo sostanziale alla prevista crescita della popolazione cittadina di circa 500.000 unità. Infatti è stato questo progetto a fare da leva per l'appalto, entro l'area, delle volumetrie residenziali. Queste infatti sono state a tempo record progettate, appaltate ed in buona parte già realizzate. Ciò che contava davvero, a Milano City, era incominciare ad incamerare quattrini vendendo appartamenti superlusso ed a costo relativamente modesto. Ciò che contava era speculare sulle altissime rendite di posizione che il comparto della "ex Fiera di Milano" riusciva a garantire. Del Museo d'Arte Contemporanea e dei "Grattacieli" se ne riparlerà più avanti. Cosa avverrà riguardo al verde circostante nessuno sa dire. Magari neppure verrà realizzato (come, del resto, è successo a Santa Giulia).




Milano costruisce un'altra Milano, che con la precedente non ha più nulla a che vedere. Sta nascendo un'altra città, anonima, uguale a mille altre nel mondo, priva d'una sua identità




Milano potrebbe essere simboleggiata un domani dal questo grattacielo ricurvo, nato già vecchio e ingobbito, affaticato, senza nerbo nè arditezza, rammollito e senile, accasciato e senza più vita (progetto di Daniel Libeskind)



Che dire infine delle tipologie edilizie? Un coacervo di globalizzazione capace di unire ogni angolo del mondo in un sol sito! Decostruzionismo infinito e plurispalmato ovunque,  incapace perfino di mostrarsi personalizzato, o reinterpretato. Scimmiottare ciò che fanno altri perchè incapaci di dire qualcosa di nuovo: sì, perfino il linguaggio è ora stereotipato, anzi afono!


Eravamo diventati qualcuno nel mondo negli anni '60. Milano si era fatta notare, ed anche parecchio, perfino oltreoceano, allora. E qualcuno veniva pure a cercar di capire un fenomeno tanto eclatante, quanto curioso e positivo: una Milano che guardava al mondo e al futuro, capace di insegnare al mondo il proprio futuro! Era l'epoca, quella, del Grattacielo Pirelli, era l'epoca di Grassi e Strehler, era l'epoca dei BBPR e della Torre Velasca, era l'epoca del nuovo nascente design, degli Zanuso e dei Castiglioni, era l'epoca della grande industria che evolveva con criteri d'efficienza ed internazionalità,  e che sapeva cosa fare per essere all'avanguardia, sia nelle tecnologie che nel progetto,  ma anche della piccola e media indistria che ha fatto le ossa d'una economia che proprio a Milano e nel suo hinterland era divenuta la più ricca d'Europa, ma era anche la città della cultura, delle gallerie d'arte più famose nel mondo...



... un crocevia di idee e potenzialità economiche che la classe politica del nostro paese non ha saputo interpretare.

Milano, 27 maggio 2011

Enrico Mercatali
per TACCUINI INTERNAZIONALI






14 May 2011

Milano: eredità di Giunta Moratti



Sconvolgenti immagini di una città che fu bella

Da Bonvesin della Riva a Stendhal, da Manzoni al Porta, da Cattaneo a Montale
furono solo atti di stima e amore per questa speciale città




Il cantiere della nuova sede della Regione Lombardia, tra l'attuale sede e la nuova Città della Moda, il cui progetto è stato realizzato mediante concorso pilotato, privo delle necessarie garanzie di trasparenza e collegialità, soprattutto fondate su un adeguato dibattito che un'opera pubblica di tal genere imponeva. Sono stati di fatto esclusi progetti di maggiore respiro e di più certa aderenza alle esigenze della collettività cittadina


Oggi l'avidità e l'arroganza di chi gestisce "il mattone" stanno distruggendo Milano. Anzi già l'hanno sfigurata irreversibilmente, incuranti perfino dei suoi apici di storia monumentale. C'era bisogno d'un parcheggio di quasi 500 auto di fianco alle mura altomedievali di Sant'Ambrogio? Si, per qualche abitante della zona sarà un vantaggio, ma quale il vantaggio per le centinaia di migliaia di cittadini milanesi e per i milioni di turisti che da ogni parte del mondo vi affluiscono?




Nuova città satellite di Santa Giulia, per il cui progetto è stato "scomodato" nientemento che il plurinsignito londinese Norman Foster (quando certo "bastava", e probabilmente necessitava, uno dei tanti fantastici e brillanti studi nazionali di architettura, ma per questo risultato forse neppure), come appare oggi, dopo la disastrosa gestione dei suoi cantieri e del suo programma di crescita, che ha penalizzato le centinaia di famiglie che in quel progetto avevano con troppa leggerezza creduto, investendo enormi cifre d'anticipo per garantirsi un rogito.  L'immagine è l'esatto opposto di quanto sarebbe accaduto in uno qualsiasi dei Paesi del Nord Europa o del Regno Unito, nella quale avremmo visto perfette e complete le strade, i marciapiedi,  le alberature e qualche servizio, ed ancora assenti, o in via di realizzazione, le strutture edilizie a completamento, pronte per fornire un habitat umano ai suoi abitanti, fin dal primo giorno.


Ai milanesi decidere se andare avanti così, trionfalmente, oppure tornare ad essere più miti e virtuosi cittadini!  A breve possono farlo.



Una desolante immagine del quartiere "ex Varesine", e, sullo sfondo, le torri della nascente "Città della Moda": un sito invivibile oggi, e che domani lo sarà ancor di più, con le sue soverchianti volumetrie, totalmente prive di un nesso con la città. Un complesso edilizio nato in pochi mesi su di un'area sulla quale per decenni stuoli di urbanisti, cittadini, società, istituzioni si erano cimentate in proposte, studi, analisi e progetti. Un'accozzaglia di volumi scomposti nati dal decisionismo di pochi sulle reali necessità della maggioranza di cittadini che avrebbero preferito farne un luogo di più attente e ponderate scelte


Demolizioni si grande scala, sventramenti di vecchi quartieri, sottopassi giganteschi, tunnel sotterranei lunghi chilometri, cementificazione esasperata d'ogni spazio rimasto libero, incrementi paurosi di volumetria mediante spregiudicato utilizzo delle varianti alla pianificazione urbanistica in essere, ricorso a procedure d'appalto che definire disinvolte è troppo poco, incarichi professionali prevalentemente a studi stranieri, senza ricorrere a concorsi di idee, inesistenza di dibattito pubblico, totale incapacità di comprensione della milanesità e adozione di un linguaggio internazionalista totalmente afono per non dire disumano. Uso della città come cosa propria, anzichè dei suoi cittadini.



Piazza pulita dell'area "ex Varesine", per dare carta bianca agli appetiti della speculazione immobiliare che da anni attendevano impazienti il momento di avviare i cantieri. Nuovi uffici e residenze di lusso su di un terreno di grande valore posizionale, a vocazione funzionale pubblica e di alto profilo sociale e culturale. Non un filo di apertura verso l'opinione pubblica, non un pubblico dibattito, non un coinvolgimento almeno formale degli addetti ai lavori, nè delle istituzioni più interessate circa il destino di un'area tanto nodale per la città.



E' stata una scelta programmatica dell'Amministrazione quella di incrementare di più di 500.000 unità il numero degli abitanti di Milano, che così esso sfiorerebbe, all'interno di un territorio di poco più ampio dell'area già oggi edificata, i 2.500.000 abitanti. Non solo è questa una decisione antitetica alla tradizione comunale basata sul contenimento, costantemente monitorato, del numero di abitanti, ma sprezzante della sempre maggiore richiesta da parte dei cittadini di servizi pubblici, verde ed aree per la mobilità leggera. Tali scelte, atte a favorire gli amici costruttori, le banche, i potentati economici e professionali, che generalmente svuotano la città durante l'week-end, addurranno al cuore di Milano nuovo traffico pesante, riducendo i servizi e la qualità di vita dei residenti. Modello perseguito: città degli affari.


Alcuni dei progetti che la Giunta Moratti regala a Milano:
- Spazio Varesine e città della moda: Museo della Moda, uffici, residenze e contro congressi, occasione mancata per allocarvi funzioni d'alto interesse cittadino, culturale, sociale o istituzionale.
- Ex Fiera campionaria: Museo d'arte contemporanea, uffici e residenze Hadid. Spreco di grandi firme dello Star System per un progetto che ha solo suscitato perplessità e critiche
- Quartiere Santa Giulia (San Donato Milanese), simbolo stesso ormai nel mondo di inefficienza e malgoverno
- Tunnel passante (da zona Vittoria a Zona Pero-Rho), opera violenta e inutile, oltrechè estremamente costosa
- Parcheggio accanto a Sant'Ambrogio (tira e molla vinto dai residenti e perso delle istituzioni di salvaguardia della città
- Nuovi quartieri Nord-Portello: Centri congressi, uffici e residenze
- Nuovo Palazzo della Regione: opera realizzata senza le opportune garanzie di trasparenza nell'affidamento dell'incarico, e senza adeguato dibattito circa gli importanti contenuti sottesi.
- Nuovi grattacieli cimiteriali: proposta di "Cielo infinito"
- Darsena ticinese: nulla di fatto che interessi il recupero di una delle più significative preesistenze storiche della città (se non un microparco di quartiere privo di qualità e spessore).



Sopra e sotto: Renderings dei già definiti "Ecomostri". Ecco cosa ci regala Giunta Moratti. E' questo ciò che serve alla città? Gli informi edifici sono essi stessi il simbolo d'una stortura, dell'irrazionalità su cui si basano le scelte sottese ai progetti: Espressione muscolare anzichè cultura etica. Genuflessione di fronte alle mode, Vuoto di sostanza. Una "città che sale", ma solo in numero di piani. Per un'architettura dello spaesamento e dei disagio...





Meno male che, per far funzionare la macchina turistica della città, esistono ancora i luoghi deputati del Duomo, di Palazzo Reale, del Teatro alla Scala e della Galleria Vittorio Emanuele, tutti realizzati secoli addietro, e poi il Piccolo Teatro di Marco Zanuso, il grattacielo Pirelli di Gio Ponti, il Museo del Castello Sforzesco e la Torre Velasca dei BBPR,  senza i quali Milano sarebbe ormai morta.



  
A Citylife si stanno costruendo migliaia di appartamenti di gran lusso, in edifici progettati dall'archistar Zaha Hadid, entro un'area, quella dell'ex Fiera, che gode di ottimo posizionamento urbano, e che soprattutto godrà della vicinanza di grandi infrastrutture. Facendo strame del concetto di pianificazione equilibrata, che sta alla base di ogni agglomerato urbano d'Europa, a Milano si è deliberatamente deciso di dimenticare ogni criterio di corretta pianificazione sociale, programmando e predisponendo, oltre ai sovradimensionati interventi speciali delle aree centrali, anche una adeguata messa a punto di "social housing" nelle periferie e nelle semi-periferie, capace di corrispondere alle esigenze della cittadinanza in condizioni di disagio. "Dimenticanza", questa,  frutto di una precisa opzione amministrativa. Così la storica "Capitale morale" si avvia a diventare campo e simbolo stesso di "Arroganza al potere".  E gli Archistar , che lo vogliano o no, ne divengono corresponsabili. La storia non li  potrà ricordare alla stregua di loro predecessori più sensibili alla "progettazione etica" (Aalto o Reima Pietila, Bakema e van der Broek o Alison e Peter Smithson, De Carlo o Aymonino, per non citarne che sei gruppi, di nazionalità e generazioni diverse, che non solo forme hanno lasciato, ma anche e soprattutto impegno e generosità).

Milano, 14 maggio 2011

Enrico Mercatali

03 May 2011

Novecentismo lacustre a Belgirate - di Enrico Mercatali








Casa Tanzi - Salvi, qui da noi denominata "Casa Novecento Belgiratese"


Un prezioso inserimento di novecentismo razionalista 
accende e diversifica l'architettura del lungolago belgiratese
(che necessiterebbe oggi di un accurato filologico restauro)



Appaiono numerosi, e ben descritti oggi, sulle guide e sui libri dedicati, i tesori architettonici della ridente cittadina di Belgirate, piccola perla della sponda occidentale del Lago Maggiore, a chi vi viene a soggiornare, o più semplicemente vi passa qualche ora in periodo di vacanze.


Veduta di Belgirate da una antica stampa dell'ottocento. Il fronte a lago del costruito appare già completo. Non risulta ancora realizzato, in questa immagine, l'ampliamento dell' odierno imbarcadero. Nessun ampliamento a lago risulta ancora evidente oltre lo stretto tracciato sterrato del Sempione


Tra essi fanno subito spicco la Chiesa Vecchia, in posizione dominante, la Villa Cairoli, e poi Villa Allgeyer, Villa Conelli De Prosperi, e poi ancora la tomba della famiglia Hierschel De Minerbi, la Villa Fontana, Villa Carlotta, e così numerose altre "avventure architettoniche" d'arte e di storia, appartenute, in periodi tra loro anche assai diversi, alla comunità tutta o a privati cittadini che coi belgiratesi hanno condiviso le magnificienze naturali di questo luogo, arricchendolo con le loro umane opere d'ingegno.

Una vera "chicca" però anche fa sommessamente sfoggio di sè, nella cittadina di Balgirate, entro il contesto del suo lungolago, fatto, oltre che di edifici d'un certo rilievo storico-architettonico, contestualizzato da parchi e giardini d'antica origine, dei quali sopra abbiamo fatto cenno, anche di case senza intrinseco valore specifico, se non quello d'essere parte di un nucleo antico e spontaneo di grande suggestione complessiva.

Una chicca, dicevamo, a pochi conosciuta, mai citata in alcun libro dedicato al paese, e da altri perfino, a volte, male intesa, spicca isolata entro quella scenica quinta di lungolago, come dicevamo fatta di case, di ville e di giardini, decantate dagli illustri ospiti del suo passato e dagli storici contemporanei, quale collana di perle che si dischiudono alla vista dei visitatori, dei turisti di passaggio e dei villeggianti che da lunga data ne frequentano le sponde, ma anche e soprattutto dai suoi abitanti, che ne vanno orgogliosi tutti, dal primo all'ultimo, per quell'accento tanto particolare loro dato al sentimento  di appartenenza a quel luogo del mondo tanto speciale, e riconoscibile tra tanti, che fa di loro quasi una lobby, tanto a volte imperscrutabili sono i motivi che ne custodiscono il segreto della motivazione, agli occhi di chi non vi fa parte.

Tanto entusiastico senso d'appartenenza al sito, nelle molteplici citazioni che vengono da tutti, e in tutte le circostanze, avanzate, ma unite da una costante, così, potremmo dire pervicacemente connotata dal sottaciuto riferimento proprio a quella "chicca"della quale noi qui vi vogliamo parlare.



L'austero e solenne atrio di ingresso al piano terra di "Casa del Novecento Belgiratese", della famiglia Salvi, ex Tanzi-Salvi , lascia trasparire l'accentuato interesse del suo progettista per l'intenso illuminamento naturale degli spazi interni (qui reso evidente dall'attraversamento della luce meridiana dei locali del piano terra attraverso le ampie vetrate a tutt'altezza che vi sono state predisposte). L'uso disinvolto degli accostamenti tra i materiali di nuova produzione industriale con elementi di alto artigianato tradizionale è esso stesso espressione dei nuovi linguaggi adottati dalla nuova architettura attorno agli venti e trenta (qui reso particolarmente evidente dall'incastonamento d'una porta in massello di noce lavorato a mano, con stipiti arrotondati in marmo serpentino di forte spessore, entro ampie superfici curvate in formelle di vetrocemento a camera d'aria)


Bella è Belgirate soprattutto per quella sua quinta speciale di case, di ville, di giardini e di monumenti, che già in parte abbiamo sopra enumerato, che dal lago fa risalto per particolare piacevolazza ed amenità d'ambiente, riflesso nelle acque del Verbano ed incorniciato dalle colline verdeggianti che vi fanno da sfondo, punteggiate dagli innumerevoli segni di un ordine dettato dal tempo e da un sapere ordinatore privo ancora di eccessi e scompostezze, purtroppo già presenti altrove, sulle sponde del lago, ed in misura perfino preoccupante. Si, assai bella appare, Belgirate, assieme a Lesa ed anche a Solcio e poi a Meina, sul percorso cha da Arona conduce a Stresa,  per il risalto delle sue ospitali ville, a partire da quella appartenuta alla famiglia Cairoli, nota in Italia per il suo fervente patriottistico apporto alle cause più alte della nostra nazione, per arrivare a quella dell'editore Treves, che tanta cultura vi introdusse nel crogiuolo di saperi che le illustri personalità da lui ospitate seppero assorbirvi e poi lasciarvi, entro il contesto di quell'architettura minore, che ne costituisce il principale nucleo antico, che non per questo è meno nobile, nel suo assieme fatto di muri variamente colorati, di stretti vicoli che li scandiscono, di tetti, verande, balconi e logge, ma anche nel risalto dell'intero abitato, all'interno del quadro onnicomprensivo della collina, che tutto raccoglie entro una immagine altamente unitaria, tuttora ben leggibile perchè ricca di valori formali, paesistici e ambientali di qualità elevate e di adeguato stato di conservazione.





Osservando con più attenzione in questo "affresco", fanno mostra di sè, qua e là, episodi anche assai particolari e interessanti, quali, tra i numerosissimi giardini fioriti, le piante speciali ivi acclimatate dai lontani lidi di provenienza, i siti monumentali delle chiese, quella parrocchiale dalla posizione così particolare, che offre il fianco allo sguardo dal lago e quella "Chiesa Vecchia", in analoga giacitura, d'antichi muri romanici costituita, con l'episodio, alle sue spalle, strepitoso in qualità e bellezza, d'una tomba appartenuta e voluta dalla famiglia Hierschel De Minerbi, che pure a lungo ha soggiornato a Belgirate, tanto da costituire un episodio a sè stante, distaccata dal nucleo cimiteriale, avendo essa preferito porre il proprio fronte principale, anzichè all'interno del recinto di culto, all'esterno di esso, sulla pubblica strada prospettante il lago, forse per meglio mostrare un poco orgogliosamente la propria eccezionalità estetica e le proprie qualità artistiche di superlativo profilo.



Questo scorcio evidenzia quanto fortemente sentito, e quindi caratterizzante, fosse per l'architettura moderna, specialmente nella versione importata in Italia dai maestri del movimento moderno, il dialogo per forti contrasti con l'architettura del passato (qui particolarmente evidente nel rapporto con l'ex hotel Sempione, a sinistra, e con villa Cairoli, a destra, ottocentesco il primo e tardosettecentesca la seconda). Questo rapporto lo abbiamo definito "dialogo", nonostante che esso appaia più come un rifiuto di esso, proprio perchè la nuova architettura del secolo XX, di cui questa casa rappresenta un eccellente esempio, trae la propria forza proprio dal confronto con gli oggetti che la affiancano. A volte essa, ma assai più raramente, trae forza espressiva anche dalla natura incontaminata che ne costituisce il quadro ambientale più estremo entro il quale si inserisce (vedi Casa Malaparte a Capri, di Adalberto Libera, appartenente al medesimo periodo e alla medesima impronta stilistica di questa casa novecentista  belgiratese


Ma, come dicevamo più sopra, in questo rigoglioso, caleidoscopico campionario di bellezze complessive e di qualità anche tanto particolari, spicca qualcos'altro, assai meno storicamente riconosciuto qui in paese fino ai giorni nostri, così da staccarsi figurativamente dal contesto delle più diffuse "pittoresche qualità del costruito lacustre", tanto che perfino il più illustre propugnatore italiano dell' "architettura della ragione", il novello Palladio della architettonica nostrana "modernità", il novarese di nascita Vittorio Gregotti, non si sognerebbe minimanente non solo di scalfire, ma di non sottoporre a severe tutele alla sua integrità totale, per una conservazione attiva, e quasi militante, dei suoi caratteri peculiari, come ebbe a dichiarare una volta, in uno dei suoi più recenti libri, a proposito di "paesaggio dei laghi". E' quest'ultimo un elemento teoretico assai interessante quanto a porre ben precisi limiti alla "modernizzazione" dei territori paesaggisticamente sensibili del nostro territorio, pur avviando una disamina dei casi in cui ciò è avvenuto alle origini del moderno in tali contesti, destinando ad essi una funzione altamente catalizzatrice di tutta la fenomenica dello stesso "paesaggismo", nel quadro delle più avanzate teorie a riguardo della gestione del territorio, esterna alle grandi concentrazioni urbane, a vocazione prevalentemente turistica. Ed è più che mai per questo che in altri pur non lontani contesti, quali ad esempio quello comasco, considererebbero sacrilego ormai non considerare fondanti le ragioni di quello stesso paesaggio proprio per il contributo essenziale che il moderno, nelle sue prime forme dissacratorie, ha saputo dare di esso, interpretandone l'essenza (vedi ad esempio i comaschi lasciti di Cesare Cattaneo, e prima ancora, sulla scia di Sant'Elia, i contributi di Giuseppe Terragni. ma perchè non ricordare, sul nostro stesso lago, i dirompenti segni lasciati da Luigi Vietti in Palazzo Flaim, ad Intra, o della "casa sul panorama", nella nativa Cannobio. Ma perchè non citare infine il più illuminante tra gli esempi, quello fornitoci dalla casa Malaparte a Capo Massullo in Capri, di fronte ai faraglioni, per la matita di Adalberto Libera. Quasi che forze misteriose in quegli anni volessero promuovere atti dissacranti proprio nei luoghi ove maggiore sembrava l'esigenza d'incontaminarne il fascino. In realtà, prima che nascessero e si imponessero le forze erosive della speculazione edilizia, a partire del boom economico del dopoguerra, mai esistette pericolo nella "dissacrazione" dei contesti, ad opera della nuova architettura, rispetto a quella che l'aveva preceduta, insita essa stessa nel fare medesimo dell'architettura per essere tale (Brunelleschi dissacrò Firenze, Palladio dissacrò Venezia, così come fu certo una dissacrazione quella che Lorenzo Maitani operò sulla medievale città di Siena quando diede le basi all'imponente nuova sua cattedrale).

La moderna storiografia ha da lunga pezza ritenuto essenziale il riconoscimento del grandissimo  contributo costituito da quei pochi ma altamente significativi esempi architettonici che gli albori del moderno ci hanno tramandato, proprio in funzione della forte dinamica dialettica che essi hanno saputo innescare nell'essersi posti in modo tanto dirompente nei pregressi contesti, peraltro falsamente ritenuti omogenei dai più. Ed è pertanto corretta  la visione di chi, pur apprezzandone il forte messaggio di modernità linguistica da essi a suo tempo lanciato, ritenne in seguito di doverne congelare il loro moltiplicarsi, così evitando (come già alla fine degli anni '50 si incomincia a decretare) che essi potessero dilagare, a discapito dei contesti ma anche dei loro stessi messaggi, così come in seguito effettivamente avvenne, per diversi e molteplici altri motivi, incominciandosi a porre un freno all'espansione incontrollata d'ogni edificazione che non fosse strettamente sottoposta a tutela d'un oculato spirito pianificatorio.



Casa Tanzi-Salvi, qui soprannominata "Casa del Novecento Belgiratese", appare in una foto che ne evidenzia parzialmente il contesto e ne mostra i caratteri peculiari, tipici della catalogazione lecorbusiana del 1923 ("Vers une architecture") dei 5 elementi cui ogni edificio dell'epoca doveva attenersi per dirsi moderno (copertura piana e praticabile, finestre a nastro, pianta libera, distacco del corpo principale dell'edificio dal terreno mediante uso di pilotis, facciata libera). Tutti elementi programmaticamente presenti nella belgiratese Casa Tanzi-Salvi, oggi Salvi, peraltro capace di applicare gli stessi in modo creativo, che tenesse conto del miglior orientamento possibile entro i vincoli d'allineamento al fronte strada, e della richiesta del committente di captare quanta più luce possibile, e quanto più panorama possibile, per mezzo d'una finestratura del fronte a lago che davvero non avrebbe potuto darsi più ampia di quanto non fosse stato fatto, per quell'epoca. Un edificio, pertanto, che potremmo definire canonico, nei dettami internazionalmente allora più accreditati, del novecentismo che, da locale, si fa rapidamente internazionale, i cui esempi italiani più illustri non sono certo da meno di quelli provenienti da oltralpe.

Risalta perciò a Belgirate, entro tutto quanto citato in queste debite premesse, ed in mezzo alle case del vernacolo spontaneo, ed alle ville aristocratiche o borghesi che tra la fine del settecento e la metà dell'ottocento hanno punteggiato soprattutto le sponde del lago costituendone l'immagine più caratteristica del suo  fronte, di giardini fioriti e parchi lussureggianti, quali quelli di Villa Carlotta e di Villa Treves, che ne rappresentano le punte di diamante in fatto di secolarità di molte delle loro essenza, di chiese e monumenti assolutamente splendidi ed originali i cui caratteri principali vengono esaltati proprio dall'essere divenuti parti integranti dell'intero contesto, un altro elemento a tutto ciò solo apparentemente estraneo, ma che non lo è affatto, essendo tutto quanto l'affresco intriso di storia la più varia, a partire (come molti locali fanno giustamente notare) dalle più remote epoche preistoriche (vedi qua e là sparsi sulle pietre del territorio i segni appartenuti a presenze non ancora  catalogabili storicamente).

Allora, quale è tale elemento?

Ciò che pur risaltando assai per qualità intrinseche e per la particolare tipologia edilizia che la contraddistingue, nel contesto dell'assieme fin qui descritto, ma che pochi vedono, e soprattutto pochi sanno leggere per vederne in modo corretto le qualitative peculiarità, è Casa Salvi (prima Tanzi-Salvi), quella che qui chiameremo per nostra comodità con l'appellativo di  "Casa  del Novecento Belgiratese", anch'essa prospettante sulla strada del Sempione, posta tra l'ex hotel Sempione (Piceni-Martelli) e Villa Janetti, con i relativi giardini, e tra essi ben incastonata ed inquadrata.





So che alcuni abitanti di Belgirate non dedicano parole affettuose a tale costruzione, vedendo in questo oggetto architettonico quasi un sopruso a danno delle qualità organiche del contesto paesaggistico, un'onta, quasi (quella che più sopra abbiamo chiamato dissacrazione), per l'assetto complessivo di una immagine unitaria che il Paese saprebbe offrire di sè all'abitante, ma anche al viaggiatore, senza di essa... Quella casa sembra voler disturbare, per alcuni, il sereno svolgersi d'un quadro di certezze estetiche acquisite come immutabili oggi, mentre invece il contesto che vediamo è la summa d'una sapienza secolare che ha saputo imprimere di sè il proprio segno pur amalgamandolo entro un quadro che appare piacevolissimo oggi pur essendo fatto di tante piccole e meno piccole diversità, culturalmente e concettualmente differenti alla radice, per genere, per tipo e per epoca di realizzazione, nel cui concerto va assolutamente messa anche la voce di questo piccolo, ma tut'altro che insignificante, intervento eseguito tra la fine degli anni '30 e l'inizio dei '40.




Riteniamo di poter affermare, con onestà intellettuale, che l'edificio in questione costituisce un esempio in grado di competere, in qualità formali e bellezza intrinseca dei volumi, con i migliori esempi europei di tale genere, espressione di firme prestigiose della cultura architettonica internazionale che, a partire dalla fine degli anni '20, fino alla fine dei'40, hanno dato piena definizione dello stile moderno internazionalista, ovvero quello che, per essere totalmente superato, ma ancora in modo assai discutibile e criticamente incerto, bisognerà aspettare il modesto fenomeno "postmodernista" anni '70  e l'avvento del "decostruttivismo" di fine anni '90.

"Casa del Novecento Belgiratese":

essa è un tipico esempio di villa suburbana degli anni '30 in forme di moderno novecentismo, dalle radici razionaliste così autenticamente espresse nella copertura praticabile per mezzo delle sue cornici lineari in silouette col cielo, dall'uso delle finestre a nastro (dotate di moderno meccanismo a tapparella, qui purtroppo sostituite dalle scolorite in materiale plastico), dalla presenza del corpo principale del primo piano sostenuto da pilastri al piano terreno, nonchè dall'uso di ampie pareti illuminanti al piano terra costituite da formelle in vetrocemento disposte in andamento curvo che marcano fortemente sia la pianta che la facciata, "libere", secondo i più tipici dettami lecorbusiani di "Vers une architecture" del 1923.

Per entrare poi nel dettaglio, che sa fare d'ogni esempio specifico un unicum, ersso è espresso nella giustapposizione di forme e materiali pregiati di cui è costituito, ai materiali nuovi privi di valore intrinseco (intonaci di calce, uso strutturale del cemento armato, ecc.) nonchè alla specifica forma suggerita dalla giacitura e dal fronte che solo per una parte della facciata risulta arretrato rispetto al filo strada, che ne caratterizza l'inusitata irregolarità (quasi una licenza poetica), così determinante il conseguente appena accennato risvolto angolare delle finestre, e le stesse balconate in vetro, e sottostante loggia, particolari tanto unici quanto caratteristici di questa bella e quasi stupefacente costruzione in stile razionalista, così coerente, nel confronto tra il disegno complessivo e quello attribuito al singolo dettaglio, nel quadro dei suoi riferimenti linguistici più accreditati dalla "storiografia del moderno". Il dettaglio va particolarmente apprezzato al piano terra, in quella corposa e sagomata cornice della porta principale di ingresso, in marmo serpentino levigato a lucido, e della porta stessa, in noce massiccio, ben incorniciata dalla superba vetrata a tutta altezza del piano, rigonfia verso il lago quasi fosse uno spinnaker in forte tensione, atta ad accogliere la forte luce del mattino, riverberata dal lago, fino al nocciolo stesso del corpo di fabbrica.




Putroppo non ci è mai capitata l'occasione di vedere aperta tale porta per chiedere a chi vi abita d'essere ospitato per una visita all'interno, che certamente desterebbe speciali sorprese, particolarmente legate all'uso della luce interna proveniente da Ovest al di sotto dell'atrio, come già si intuisce sbirciando dalla strada entro il bagliore appena accennato dai blocchi di vetro-cemento accanto alla porta di ingresso, ma certamente anche dall'uso dei materiali interni e dal dettaglio decorativo.

Dobbiamo certamente dire, a chi di tale esempio architettonico stenta a riconoscere l'alto significato storico e linguistico che propone, entro il quadro dell'evoluzione del linguaggio architettonico che dal XX secolo giunge sino ad oggi, che casa Tanzi-Salvi deve essere invece considerato un motivo di ulteriore orgoglio per Belgirate, e per i Belgiratesi, i quali dovrebbero, in concorso con gli attuali proprietari, pensare alla sua valorizzazione ai fini anche turistici, coltivati dalla collettività, questi ultimi, anche nel qualro di quel cosiddetto "turismo architettonico" che oggi è tanto in auge negli altri paesi europei, quanto ancora troppo poco nel nostro paese, nonostante le numerosissime possibilità che anche in tale campo noi italiani fortunatamente possediamo.


Cesare Cattaneo, casa d'affitto a Cernobbio, 1938-40. Esempio assai pubblicato di architettura dell'internazionalismo modernista d'area comasca, non particolarmente dissimile dall'esempio belgiratese se non per l'attento restauro che vi è stato recentemente praticato. Qui emergono con particolare vigore gli elementi di cornice a piani alti della terrazza, che ne divengono protagonisti, e che ricordano la stranota casa Rustici di Lingeri e Terragni a Milano



Adalberto Libera, Casa Malaparte a Capo Massullo, Capri, 1940. Come si può notare dalla fotografia della casa forse più fotografata di tutto il modernismo architettonico (vi fu girato perfino un film da Luis Bunuel, "La Via Lattea"), non può costituire scandalo una simile localizzazione, la quale anzi esalta il risultato d'assieme dell'intervento architettonico. Scandaloso sarebbe stato il moltiplicarsi di tale effetto (come purtroppo in taluni casi è avvenuto lungo alcuni tratti meravigliosi delle coste italiane), per l'avvento del fenomeno, storicamente prima mai esistito, della urbanizzazione incontrollata del territorio od opera delle emergenti "società di massa"


P.S.:
Taccuini Internazionali, come già è accaduto in passato in occasione di convegni o di pubblicazioni all'uopo indirizzati, si farà certamente promotore di iniziative atte a divulgare del moderno ogni elemento che meglio lo illustri e lo  caratterizzi, e che, nello specifico ambito dei nostri laghi, possa produrne, come già da tempo in parte fa, specifiche pubblicazioni che ne aumentino la conoscenza e ne mettano in relazione tra loro i singoli siti. Motivo di orgoglio sarà, per il nostro magazine, la formazione di specifici ambiti museali virtuali a valenza territoriale (sull'esempio di quanto fatto ad esempio a Ivrea, o di quanto già in altre occasioni da noi proposto, relativamente ad un possibile "Museo Aldo Rossi" che potrebbe avere sede ideale proprio in un edificio da egli stesso costruito: il Tecnoparco di Fondotoce). Tutto ciò  potrebbe sfociare perfino nella creazione di un regesto di opere sull'intero territorio dei laghi, corredato da specifiche documentazioni cartacee, e da un calendario di possibili visite guidate.

Non a caso un filo ideale lega le origini del Moderno con l'esperienza eporediese, e questa all' "l'architettura razionale" di Rossi (Triennale Milano 1973) ed ai suoi ultimi interventi realizzati proprio sul Lago Maggiore.

Belgirate, 3 maggio 2011
Enrico Mercatali