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22 February 2020

Pittore Cineasta Gallerista



Hopper-Wenders-Beyeler
2020




Fino al 17 maggio 2020 rimane aperta al pubblico la mostra dedicata ad Edward Hopper alla Fondazione Beyeler di Basilea. Nell’ambito della mostra una settantina di iconiche opere ad olio, acquerelli e disegni del maestro americano descrivono la sua poetica visione della sua terra. 


 
Qui sopra: alcuni fotogrammi del cortometraggio di Wim Wenders
presentati alla mostra presso la Beyeler Foundation di Basilea


Nello stesso ambito, in una sala separata, viene proiettato in continuo il cortometraggio in 3D realizzato da Wim Wenders dedicato all’autore, intitolato “Two or three things I know about Edward Hopper”. Per la realizzazione del film il regista ha a lungo cercato l’”Hopper Spirit”, riuscendo ad ottenere una buonissima sintesi delle inquadrature e della luce del Maestro.



Enrico Mercatali
22 febbraio 2020 

(foto: Enrico Mercatali)

05 April 2015

A great international event: il Nuovo Egizio di Torino - nella città si festeggia con il 1° aprile la riapertura del Museo Egizio, completamente rinnovato



Torino festeggia il 1° aprile 
un grande evento internazionale:
l'Egizio completamente rinnovato



A great international event





Il Nuovo Egizio
di Torino






Egyptian Museum
now completely renovated


compete per bellezza, così come per ricchezza delle collezioni, 
con quello di Il Cairo, che è il primo al mondo


Nel nuovo allestimento, completamente rinnovato rispetto a quello che ha preceduto i lavori di trasferimento, di riallestimento e di restauro, durati poco meno di sei anni, gli spazi ad esso ora destinati alla Manica Lunga di Palazzo Reale sono più che raddoppiati, passando dai precedenti 5000 della Galleria Sabauda agli odierni 10.000. Le collezioni si sono arricchite di nuove aggiunte documentali ed ora gli oggetti esposti hanno raggiunto il ragguardevole numero di 3.500, dai più piccoli a quelli monumentali, quali il sacofago di uno dei figli di Cheope (faraone della più grande piramide egizia dell'Antico Regno), il cui peso di tre tonnellate ha richiesto speciali tiranti per scaricarne il peso sui muri portanti dell'edificio.



 It competes in beauty, as well as richness of the collections,
with the Cairo one, which is the world's first



Il vecchio museo, che pur era il secondo al mondo per importanza, accusava da tempo problemi di spazio, e non ultimi erano i problemi legati alla sua vetustà, sia come concezione museografica che come adeguatezza degli spazi accessori di servizio. La disposizione dei reperti era caotica e incoerente e la visita risultava difficoltosa e dispersiva. Il nuovo museo, ormai a vocazione internazionale, che aveva già vista l'apertura di una prima sezione al piano terra lo scorso anno, dispone ora di spazi adeguati e ben arredati, oltre ad una serie di utili servizi per i visitatori. Il costo complessivo delle opere eseguite ammonta a 50 milioni di euro, un budget notevole, suddiviso tra diversi soggetti finasnziatori: 25 milioni provengono dalla Compagnia di San Paolo, 10 milioni dalla Città di Torino, 7 milioni dalla Regione Piemonte, 5 milioni dalla Fondazione Crt e 3 milioni dalla Provincia di Torino.




Il numero di visitatori ogni anno ormai supera il numero di 500.000. L'anno scorso, con l'apertura di una sola parte del nuovo museo ed i lavori in corso si è raggiunto il numero di 567.000 visitatori, mentre il numero più alto mai registrato è stato nell'anno 2011, con 577.000 presenze.

Ciò che ha fatto notizia, alla giornata inaugurale del nuovo allestimentio, è stato proprio il livello qualitativo che ha segnato l'intera organizzazione dei lavori, la quale, senza mai smettere di mostrare al pubblico le parti del museo non coinvolte direttamente nei lavori, è riuscita, nei tempi e coi costi previsti, a portare a termine l'opera, raggiungendo livelli che normalmente sono difficili da riscontrare nelnostro paese.

Molto apprezzati, sia dalla critica che dal pubblico, sono stati sia il progetto dell'architetto Aimaro Isola, sia il contributo operativo del giovane direttore  Christian Greco, sia il quadro delle maestranze tra cui spicca per perfezione tecnologica la squadra di Sandro Goppion cui si devono le splendide vetrine, sia il raconto grafico ed il logo di Ico Migliore e Mara Servetto, ed infine per il fine restauro dei manufatti il Centro di Restauro della Venaria Reale e dei Musei Vaticani: un "miracolo italiano" al quale non eravamo più abituati.





Il nuovo museo dispone ora di una coerenza espositiva che prima non poteva avere per la ristrettezza dei suoi spazi: Il percorso si svolge ora secondo un criterio rigidamente cronologico a partire dal piano terra, per svilupparsi ai piani superiori, partrendo dal Periodo Predinastico, 4000-3400 a.C., per passare all'Epoca Islamica attraverso l'Antico Regno, il Primo Perodo Intermedio, il Medio e Nuovo Regno, i successivi Periodi Intermedi fino a quello Nubiano, le epoche Tolemaicha e Romana, il Periodo Islamico (VII-VIII secolo), mentre al piano interrato vi è la più parte della collezione storica.

Quest'ultima è quella che maggiormente lega il Museo ai torinesi, quella che dice come nacque qui la collezione a partire dalla Mensa Isiaca acquistata nel 1628 dal re Carlo Emanuele I assieme al nucleo originario della collezione sabauda. Vi si aggiunsero nel 1700 la Iside di basalto, fino ad ora immaginata come l'effige della dea Hathor, e la Sekhmet di diorite, divinità menfita dalla testa leonina, entrambe portate nella città da Vitaliano Donati su incarico di Carlo Emanuele III. Nel 1820 i monarchi sabaudi acquistaronio per una cifra iperbolica l'intera collezione di Bernardino Drovetti. Subito dopo, nel 1825 Carlo Alberto fondò l'Egizio, mentre giungeva dalla Francia Francois Champollion, che verificò proprio a Torini, studiandone i reperti, il suo metodo di decifrazione dei geroglifici. Poi fu la volta dell'acquisizione del Papiro Iufankh, il più lungo al mondo coi suoi 18,45 metri, ed infine di un dipinto ottocentesco di Delleani raffigurante lo stesso museo in quell'epoca, libri, reperti e documentazione varia proveniente dagli scavi che fece Ernesto Schiapparelli mentre era direttore del Museo Egizio tra '8 e '900.





La parte più scenografica e spettacolare dell'allestimento, che ora tutti possono vedere, è alle sale superiori, ove domina il criterio cronologico a discendere dal piano più alto al più basso, tra cui campeggia la stupenda ricostruzione della tomba di Ini del Primo periodo Intermedio, la sala dei Sarcofagi, tra Medio e Nuovo Regno, il sarcofago ligneo di Iquer, sulla cui superficie si sviluppa la raffigurazione del più antico calendario astronomico, risalente a 4000 anni fa. Scendendo di piano, troviamo anche, completamente ricostruito, l'intero tempio di Ellesija, che fu donato all'italia in segno di riconoscenza per l'aiuto dato dal nostro paese durante i lavori di savataggio dei monumenti che sarebbero stati sommersi dopo la costruzione della diga di Assuan dalla formazione del nuovo lago Nasser.




I supporti multimediali sono la grande novità del nuovo museo, che rendono immediato il collegamento tra i suoi diversi episodi a quelli analoghi di altri musei nel mondo oppure a quelli non disponibili se non a magazzino dello stesso museo, rendendo personalizzabile qualunque ricerca possa essere fatta da ciascun visitatore, ancorchè indirizzato dalla narrazione complessiva che l'allestimento attuale fa del materiale esposto. Ma di "narrazioni" ve ne posso essere infinite, dice il direttore del museo Christian Greco, ed è proprio sua intenzione poter offrire del museo stesso, una immagine completamente flessibile ed aperta, ovvero capace di mutarsi nel tempo in nuove e diverse "storie da raccontare", sia attraverso le mostre specialistiche da affiancare al percorso principale, sia attraverso una "rimodellazione" dei percorsi ed un "riciclo" delle opere dal magazzino alle sale e viceversa, tali da costituire, ogni volta che vi si vada a farvi visita, una diversa e particolare esperienza a sorpresa.


 



Enrico Mercatali
Torino,  3 aprile 2015





31 March 2015

MUDEC - Museo delle Culture. Un museo della conoscenza per la fratellanza tra i popoli -. Milano - Ex Ansaldo





MUDEC 


Un museo della conoscenza 
per la fratellanza tra i popoli




MUDEC - Museum of Cultures.  
A museum of knowledge for brotherhood among peoples
Milan - Ansaldo Area



Anche Milano ha ora il suo "Musée du quai Branly". Apre a Milano, infatti, una nuova istituzione, metà pubblica e metà privata, nell'area dell'Ex Ansaldo, ad opera sia del Comune di Milano che di 24 Ore Cultura in partnership. Si chiama MUDEC, acronimo che sta per Museo delle Culture.  E' un museo che da tempo si pensava di realizzare a Milano, per riunire le innumerevoli quanto ricche e prestigiose collezioni etnografiche otto e novecentesche, sia civiche che private, che richiedevano d'essere raccolte entro un unico spazio per essere rese disponibili al pubblico e agli studiosi.

Finalmente il Museo è nato e raccoglie oltre 7000 pezzi, tra oggetti vari ed opere, dalle porcellane preziose del Giappone, alle lacche cinesi, dalle maschere africane, agli idoli in terracotta delle Americhe, a tappeti, tessuti, costumi, ecc., il tutto corredato da documentazione cartografica e fotografica di grande valore.




L'incarico per la realizzazione della nuova sede, dato a suo tempo all'architetto inglese di fama internazionale David Chipperfield, ha prodotto un bell'edificio architettonico, di circa 17.000 metri quadrati, già approdato su un tavolo di polemiche per la mancata accettazione da parte del progettista di un pavimento che, pare, non sia stato realizzato secondo progetto.

Ma, al di là delle polemiche, tutta l'operazione sembra essere ben lievitata e pronta per essere infornata presso il pubblico. Difatti, anche se non tutte le parti delle collezioni implicate, per lo più nate da raccolte private, pubblico e critica hanno già potuto sperimentarne gli spazi, i servizi, la collocazione delle raccolte della parte stabile del museo e la realizzazione delle prime due mostre collaterali preparate per l'inaugurazione. Di queste, una è dedicata all'Africa, e allo spirito che anima la sua produzione oggettuale e artistica, intitolata "Africa, la terra degli spiriti", prevalentemente incentrata sul tema delle maschere.




La seconda dedicata alle storiche esposizioni internazionali svoltesi a Milano all'inizio del nuovo secolo.  Negli allestimenti di queste, specialmente in quella più ricca di testimonianze, quella del 1906, aleggiavano intensi gli esotismi tanto cari ad una cultura che da decenni, e per molti anni ancora, annaspava alla ricerca di uno stile che caratterizzasse l'epoca, spesso ricalcando le orme delle epoche passate, a volte richiamandone gli stili o i riferimenti alle culture lontane che costituivano vere e proprie mode, a causa di un turismo di elite che ne riportava a casa oggetti e supellettili da collezione, oltre alle prime immagini fotografiche.



Padiglioni stranieri all'Esposizione Universale di Milano del 1906, in una cartolina d'epoca dal titolo "Il Cairo a Milano".


Le collezioni permanenti del Mudec  comprendono oggetti, arredi, mobili, gioielli, tappeti provenienti dai paesi che sono stati oggetto di vero e proprio culto turistico da parte degli "esploratori" europei, specialmente a caccia di "trofei" da collezione, che nulla avevano a che vedere con logiche colonialiste. Ricordiamo qui, tra tutti Manfredo Settala, che fu uno dei più importanti collezionisti nel '600, e la sua Wunderkammer, qui riconfermata nel museo, ove sono stati reperiti 100 pezzi ripartiti in sezioni: "naturalia", "mirabilia" ed "exotica".
 



Esposti al MUDEC, tra gli altri, questi oggetti (dall'alto): Maschera africana in legno dipintom e saggina; un Cavaliere, dell'Atelier Bamana di Segou, nel Mali, inizio XX secolo, in legno nero; "Poggiatesta" della Repubblica Democratica del Congo, della fine del XIX secolo, in legno decorato con collane di pietra; portapietre raffigurante un cane, proveniente dall'asia orientale, in metallo laccato; coppia di gemelli, Atelier Yoruba di Igbuke a Oyo, Nigeria, inizio del XX secolo, in legno e perline di vetro; pipa africana antropomorfa, in radica e avorio; statua per uso magico-religioso, in legno, pelliccie, piume, collane in pietra.



Allestimento della mostra "Gli spiriti dell'Africa",  al MUDEC di Milano per l'inaugurazione.


Enrico Mercatali
Milano, 28 marzo 2015


25 November 2014

I muliebri profili del Pollaiolo al Poldi Pezzoli ("belle pollaiole in gabbia"), Milano (magnifica l'idea, inadeguato l'allestimento) - di Enrico Mercatali




I muliebri profili del Pollaiolo
a Milano  

MUSEO POLDI PEZZOLI





Belle pollaiole in gabbia




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Magnifica l'idea - Inadeguato l'allestimento
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Grande idea, splendida invenzione, quella di riunire le quattro dame fiorentine, alle quali Antonio e Piero Pollaiolo ritrassero il profilo sinistro nel bel mezzo del Quattrocento, nella sede abituale di una di esse, al Museo milanese Poldi Pezzoli (ammicca Philippe Daverio, in un articolo su Style, all'idea che a Firenze uno sguardo a sinistra fosse già allora una abitudine). Idea geniale, comunque, e riuscita operazione di marketing sotto EXPO, per il Museo stesso, per la Città di Milano e per il mondo dell'arte nella sua interezza. Difficile operazione, come si sà quella di riunire opere provenienti da diverse istituzioni mondiali, nello stesso luogo ed in contemporanea, qui riuscita benissimo. Dobbiamo questo riuscito ed intelligente sforzo alla direttrice del museo che ora ospita tutte assieme le quatro opere, Annalisa Zanni ed ai partners Style ed Io Donna.



Eccole qui tutte e quattro le belle dame toscane, che mostrano i loro profili assai diversi (molti critici in passato avevano creduto fosse la medesima donna colta nelle sue diverse età, ma non è così). Esse mettono in mostra, quali simboli di appartenenza a nobili famiglie fiorentine, le loro accurate acconciature, ornate da magnifici gioielli, i loro décolleté, arricchiti da collane elegantissime proprio perchè non sfarzose, il loro gusto nella scelta degli abiti i cui tessuti riccamente ricamati costituivano allora una delle maggiori specialità produttive della città, i loro enigmatici sguardi. Dall'alto al basso: Antonio Pollaiolo, 1470-75 Ritratto di dama, Milano- Museo Poldi Pezzoli; Antonio e Piero del Pollaiolo, Ritratto femminile, Berlino - Gemaldegalerie; Piero del Pollaiolo, Ritratto femminile, New York - Metrtoipolitan Museum of Art; Piero del Pollaiolo, Ritratto femminile, Firenze - Galleria degli Uffizi. Vent'anni sono trascorsi tra il primo e l'ultimo dei ritratti.

La mostra si completa dando uno sguardo sintetico ma non superficiale alla produzione grafica della bottega dei Pollaiolo ed alle sue specialità orafe, tra cui eccelle l'incisione su metalli, argenti ed oro, produzione di monete (di qui la specificità di tracciar profili!), e la realizzazione di oggetti preziosi destinati alle funzioni religiose. La fama della bottega diventa sempre maggiore mano a mano che i due fratelli Antonio e Piero incrementano le rispettive commesse, tra cui numerose anche le opere scultoree e pittoriche. Il primo eccelle nel disegno, il secondo nell'arte orafa. Nel tempo hanno messo le proprie abilità al servizio dell'altro, così che la bottega prosperò: il primo preparava i bozzetti e i disegni esecutivi, mentre il secondo coordinava le realizzazioni. Spesso collaborarono sulla medesima opera, tanto che poco chiare sono tuttorale attribuzioni, ed ancora oggi difficile è essere certi di chi sia l'una o l'altra delle quattro belle signore fiorentine oggi riunite nella mostra milanese. Qualcuno sostiene che tutte e quattro siano di mano di Antonio, ma la tradizione vuole che sia sua solo la prima, quella che abita a Milano.



Piero del Pollaiolo, Apollo e Dafne, 1470-80, Londra, National Gallery



Antonio Pollaiolo, Ercole e Anteo, 1475 Firenze - Galleria degli Uffizi

Le opere che abbiamo riportato qui sopra sono attribuibili invece certamente la prima, "Apollo e Dafne", a Piero e la seconda "Ercole e Anteo" ad Antonio. Ispirati ai medesimi paesaggi, ai soggetti mitologici, allo studio dell'anatomia, entrambi rivelano costantemente nelle loro opere, che siano disegnate, oppure di incisione, di scultura o di pittura, un talento portentoso per il segno puro e netto, per l'analisi del dettaglio visto principalmente come forma disegnata, più che come espressione di colore.



Come rovinare un successo d'idea e di pubblico: non siamo riusciti ad avvicinarci più di così ai ritratti  dei Pollaiolo nella saletta allestita al piano terra del Museo Poldi Pezzoli di Milano. Quadri appesi troppo in basso, troppo vicini l'uno all'altro in uno spazio angusto anche per esporvi una sola delle opere, pubblico maleducato che sostava a lungo senza neppure guardare i soggetti.


Perchè abbiamo titolato questo articolo "Belle pollaiole in gabbia"?
Così come siamo stati affascinati dall'idea dei curatori di creare, dei ritratti, un unico gruppo, quasi che i profili femminili dei Pollaiolo fosse stati concepiti tutti quanti assieme come parti d'una unica opera, così anche tanto abbiamo deprecato l'insufficientissimo allestimento, costretto come era tra l'esigenza stessa di maggiore spazio per le opere e quelle d'un pubblico che non poteva altro che essere immaginato fin dall'inizio come molto numeroso ed un ambiente che non bastava neanche lontanamente allo scopo.
Difatti non siamo riusciti in un'ora a vedere i quattro soggetti primi della mostra, se non da una terza e quarta fila, dietro a una folla che mal si spostava da una parte all'altra resa lenta dallo stesso nutrito numero di persone che la formava: un vero insuccesso proprio dovuto al suo notevole successo.
Crediamo fosse possibile, sia pure a costo di maggiori oneri, dedicare alla mostra un paio delle ampie sale del piano superiore, oppure rinunciare alle opere complementari, pur tanto apprezzate e forse necessarie per fornire al pubblico un quadro almeno sintetico della produzione di bottega.
Un vero peccato perchè le belle "pollaiole", in quell'angusto spazio, parevano davvero in gabbia.


Milano, novembre 2014
Enrico Mercatali


07 August 2014

Ranzoni, Tominetti, Troubetzkoy, de Fichard, Zapelloni, Ferraguti, Boggiani e altri scapigliati e veristi in mostra - Estate 2014: "Genius Loci" e "Magia del Lago" - Ispirazioni sull'acqua (Belgirate e Verbania-Pallanza) - di Enrico Mercatali







I s p i r a z i o n i    s u l l ' a c q u a







"Genius Loci" e "Magia del Lago"






 Arte scapigliata, verista e naturalista, in mostra


 Due distinti appuntamenti d'arte
di tardo ottocento sul Lago Maggiore

- Estate  2014 -



Sopra al titolo: Daniele Ranzoni "Villa Dolgorukij", a Belgirate (detta Malgirata) (Belgirate 2014 Mostra "Magia del Lago"); 
Sotto al titolo: Arnaldo Ferraguti "Lavandaie", 1897 circa, olio su tela, cm 178x148  (Verbania Pallanza 2014, mostra "Genius Loci, i capolavori del Museo del Paesaggio a Villa Giulia"); 
Qui sopra: Andrea Zapelloni,"Bambina in rosso, 1903 (Belgirate 2014, Mostra "Magia del Lago")



Era da tempo che non vedevamo in mostra la pittura scapigliata. Naturalismi e verismi pittorici di tardo ottocento, neppure.
Rarissimo poi che due mostre d'arte, in contemporanea, e peraltro territorialmente vicine, trattino più o meno il medesimo tema, il medesimo contesto culturale.

Che sia tornata in auge un po' di voglia d'ottocento dopo le ubriacature moderniste e contemporaneiste nelle più recenti curatele d'Alta Italia?
A dire il vero lo scorso anno, a Milano, e successivamente a Roma, tra le tantissime mostre, ha trionfato la grande retrospettiva su August Rodin, intitolata "Rodin, il marmo, la vita (in Taccuini Internazionali scrivemmo una recensione dal titolo "Marmo caldo": http://taccuinodicasabella.blogspot.it/2013/11/august-rodin-marmo-e-sentimento-milano.html).




Guido Boggiani, "Il lago Maggiore dal Mottarone", 1881, cm 70x140. (Verbania Pallanza 2014, Mostra "Genius Loci, i capolavori del Museo del Paesaggio a Villa Giulia")

Ma l'ottocento scapigliato lombardo, quale emergenza e quasi vitale prorompenza delle componenti veriste e naturaliste, specialmente proliferanti a cavallo dell'arco alpino e dei suoi grandi laghi dalla seconda metà del secolo unitario fino agli albori di quello "breve", stentava da tempo a farsi ancora avanti (cadeva in disgrazia, perfino, il Museo che per eccellenza ad esso localmente era stato dedicato: il Museo del Paesaggio di Pallanza, chiuso per difficoltà finanziarie, ora coinvolto nella mostra di cui parliamo "Genius Loci").  Ricordiamo solo l'ultima grande antologica su Segantini alle Albere di Trento, del 1987.
Ma non crediamo che questa nuova voglia d'ottocento sia causata da riflussi conservatori. Se mai, al contrario, da un desiderio di ricominciare a studiare gli inizi d'una avventura che dovrà condurre, come sua logica conseguenza, all'esplosione del moderno attraverso tante fasi di sperimentazione, non necessariamente radicali, quali prove della già matura consapevolezza d'allora che l'arte stesse affrontando epocali cambiamenti, verso una innovazione stilistica tanto profonda da sfociare nella metamorfosi divisionista della realtà sensibile,  come nuova via da percorrere per affermare una più profonda sensibilità conoscitiva della percezione visiva della realtà. D'all'altro, che l'arte dovesse anche farsi carico, specie nella sua componente verista, degli aspetti sociali più marginalizzati e sino ad allora poco conosciuti, era nell'aria da tempo. Certamente, entrambi gli aspetti, erano tendenzialmente già orientati verso quella tensione interpretativa del reale che definiremo meglio in seguito come "modernità".



Achille Tominetti, "Autunno" (Belgirate 2014 Mostra "Magia del Lago"). In questo quadretto dalle dimensioni ridottissime, nel quale è rappresentata una vista tipica del lago dai terrazzamenti boschivi di mezza costa,  è evidente il processo di sintesi stilistica del nervoso pennello tominettiano, capace di appuntare precisamente una atmosfera autunnale, nelle trasparenze dei diversi piani, segnati da un accurato controllo dei chiaroscuri a macchia, e dalla limpidissima resa luministica tipica proprio del lago Maggiore.



L'acqua del lago, protagonista numero uno di questa produzione, se non altro perchè ha fatto da richiamo ai numerosi e talentuosi artisti che hanno dato vita a queste forme d'arte tardo ottocentesche, ritorna ad essere (come torna ad essere oggi anche per le nuove forme di turismo che attorno ad esse vi si spingono) motivo di riscoperta e di rivisitazione in queste opere di pittura (e di scultura), cui si collegano, per ragioni geografiche, anche i più diversi scorci di paesaggio e di vita nell'acrocoro alpino (la montagna, i paesi della vita contadina, gli alpeggi, la miseria di allora raffrontata alle nuove povertà di oggi, l'abbandono di quei villaggi alla ricerca di maggiore benessere, il ritorno ad essi per le curiosità turistiche, per la riscoperta di un mondo diverso e per taluni versi ancora più affascinante, ecc.).


I sottotitoli delle due mostre, casualmente allestite in contemporanea questa estate sulle sponde del Lago Maggiore, meglio spiegano le distinte intenzioni dei loro curatori e le diverse finalità ad esse attribuite, le quali, in una stagione di grandi pioggie quale da più di un secolo non se ne vedevano da queste parti in questa estate 2014, hanno offerto ai villeggianti in cerca di riparo, forse per questo,  una doppia occasione in più del solito per attingere cultura:


Il primo sottotitolo, riferirto alla mostra verbanese "Genius Loci", realizzata a Villa Giulia di Pallanza, è:  "I capolavori del Museo del Paesaggio a Villa Giulia". L'altro sottotitolo, "Magie del Lago", allestita dal Comiune di Belgirate in collaborazione con l'associazione culturale Pietro Borsieri nei locali della Biblioteca, recita invece: "Dipinti di Coppa Legora, De Fichard, Moretti Foggia, Ranzoni, Sala, Tominetti, Zapelloni".




Sopra: Guido Boggiani, "Il lago Maggiore dal Mottarone", 1881, cm 70x140 (sopra); Federico Ashton "Interno del villaggio Ceppomorelli in Valle Anzasca, 1883, olio su tela cm 124x198; 
Sotto: Eugenio Gignous, "Fletschorn (sempione)", 1900, olio su tela cm 50x65 - (Verbania Pallanza 2014, Mostra "Genius Loci, i capolavori del Museo del Paesaggio a Villa Giulia")


Se la mostra verbanese è incentrata sull'intenzione di superare l'enpasse che sta vivendo il Museo del Paesaggio, attraverso le gravi difficoltà economiche che ne impediscono una normale esistenza, mostrando comunque al pubblico, principalmente per non disaffezionarlo, una selezione d'alta qualità delle opere che esso custodisce, costituite da capolavori pittorei e scultorei del tardo ottocento e dei primi novecento d'artisti ispirati dai paesaggi del Lago Maggiore, la mostra belgiratese, del medesimo crogiuolo culturale, ne addita subito alcuni, rappresentandone una interessante selezione del proprio migliore repertorio.






Sopra: Achille Tominetti, "Preghiera a sera"; Sotto: Mario Moretti Foggia, "Giornata serena Monte Rosa" (Belgirate 2014, Mostra "Magia del Lago")



Che la selezione effettuata per la mostra belgiratese sia ottima, oltre al nostro giudizio di piena conferma, dopo la rapida visita seguita all'inaugurazione, a dircelo è lo stesso Paul Nicholls, ovvero il critico che ne ha curato la presentazione su invito di Vittorio Grassi, curatore e creatore del catalogo. Dice Nicholls, non potendone riferire il nome per ragioni di riservatezza, che garanzia della qualità delle opere in mostra a Belgirate sia lo stesso proprietario il quale, in tanti anni, numerose e di ottimo livello ne ha collezionate, con la più grande dedizione e passione, essendo egli autentico cultore, sia per affinità di genere, sia per predilezione dei luoghi.




Sopra: Paolo Troubetzkoy, detto da molti "scultore impressionista", "Ritratto di Giovanni Segantini", 1896 bronzo, cm 113x72x46 (foto di E. Mercatali); Al centro: "Dopo il ballo o Adelaide Aurnheimer o Madame Hoernheimer", 1897, gesso patinato rosa chiaro, cm 54x69,5x71,5; Sotto: "Dopo il ballo o Adelaide Aurnheimer o Madame Hoernheimer", 1897, gesso patinato rosa chiaro, cm 54x69,5x71,5, particolare.

Qui sotto, di Pierre Troubetzkoy, "Ritratto di Mery Alice Francfort, 1882, olio su tela, cm 68x48,5 (Verbania Pallanza 2014, Mostra "Genius Loci, i capolavori del Museo del paesaggio a Villa Giulia").




Nella mostra belgiratese, "Magia del Lago",  troviamo riuniti i migliori nomi che hanno caratterizzato la produzione artistica d'area lombarda, e specialmente milanese e del Lago Maggiore, tra gli anni '70 e '90 dell'800, una produzione per molti versi omogenea sia nello stile che nelle tematiche trattate, realizzata da artisti che si muovevano tra l'Accademia di Brera e gli ambiti locali della sponda piemontese del lago, ai quali, per ragioni anagrafiche o di villeggiatura, offriva loro splendidi spunti paesaggistici o tratti di vissuta quotidianità. Quest'ultima spaziava tra i più umili e aspri aspetti della vita contadina e gli scenari della agiata spensieratezza aristocratica od alto borghese nelle cui ville e nei cui giardini si rappresentava la vita dei sui villeggianti, amanti essi stessi, sia pure in diverso modo, di quei dolci paesaggi offerti dalla natura.




Andrea Zapelloni, "Davanti a una croce", 1902 (Belgirate 2014, Mostra "Magia del Lago")



Era giocoforza che la maggior parte di questi artisti si trovasse a dover bilanciare la propria vita, spesso fatta di stenti e povertà tanto spesso rappresentate nei loro quadri, con quei mondi lussuosi presso i quali poter mettere a frutto i propri talenti, sia nella ritrattistica che nelle rappresentazioni di genere e paesaggistiche, altrettanto molto richieste.

Di Daniele Ranzoni, uno dei nomi di punta della pittura scapigliata d'area lombarda, ha fatto la sua apparizione in mostra, a Belgirate, un quadretto di ridotte dimensioni (che apre questo stesso articolo),  che rappresenta appunto una di queste ville della cittadina lacustre, detta "Malgirata" per il suo anomalo orientamento rispetto al lago, che apparteneva alla famiglia russa Dolgorukij. L'artista la frequentava, ed ha lasciato di quel soggetto colto di scorcio una testimonianza stilistica altissima, particolarmente per quei caratteri già presenti in tutta la sua pittura, che molta parte avrebbero avuto, a detta della critica che ne ha sostenuto la figura d'artista, nel precorrere la modernità impressionista e futurista, in cui la grande novità costituita dalla divisività cromatica ha dato i suoi più cospicui frutti.
In occasione dell'inaugurazione della mostra, Nichols ha sottolineato quanta parte abbia avuto, in questo quadro di piccole dimensioni, l'uso del giallo e del viola nel particolare tocco da bozzetto che caratterizza i suoi così speciali effetti luminosi, nell'intenzione del suo autore di cogliere, in modo tanto fresco e repentino, quella cristallina luminosità che solo le belle giornate sul lago Maggiore sanno offrire. E' certamente un nuovo modo, questo di Ranzoni, di percepire la realtà nel fuggevole volgere di qualche istante, un incredibile passo avanti nell'arte della rappresentazione visiva, nell'interpretazione dell'umano sentire, e vedere.




Achille Tominetti, "Aratura a Miazzina", 1901 circa   (Verbania Pallanza 2014, Mostra "Genius Loci, i capolavori del Museo del Paesaggio a Villa Giulia")


Ma un altro modo di "vedere, e di sentire" il nuovo, in quegli anni, stava prendendo piede, entro un crogiuolo di contrasti, tra valli alpine e grandi metropoli industriali, lombarde e piemontesi, e si stava incaricando d'esporre in modo vivo e fulgido, quasi epico, il proprio manifesto fatto d'una rappresentazione disincantata di scene vere della vita di ogni giorno, ove la sofferenza della povera gente, e la mestizia della umile vita contadina, ancora non preludono ai segnali della ribellione, che di lì a poco si sarebbero mostrati, così nella società anche nell'arte, con tutta la propria virulenza.

E' questo, come già anche in Segantini dell'Engadina svizzera, l'apporto di Achille Tominetti, alla pittura di quel periodo, pronto ad incaricarsi di ciò. Questo grande artista lombardo (il cui ritratto nella mostra di Pallanza viene rappresentato così efficacemente, ed altrettanto "scapigliatamente", in una scultura di Paolo Trubeskoij, qui sopra da noi riportata), originario di Miazzina, è assai legato alla cultura contadina e pastorale nella quale vivono i suoi famigliari, tanto da ricorrere spesso, con la sua pittura formatasi a Milano all'Accademia di Brera, ai temi della povera esistenza di quelle anonime figure che popolano i suoi quadri, dalle fatiche del loro eterno lavoro nei campi, alle meste rappresentazioni iconiche del loro riposo senza speranza, nella preghiera. Il tema dell'aratura a Miazzina è stato provato e riprovato in numerose varianti dal grande pittore (se ne conoscono sei, le a più bella delle quali, secondo noi, è proprio quella del Museo del Paesaggio, qui riprodotta), nel contrappunto, in ognuna di esse ricercato, tra la bellezza del paesaggio e la miseria delle umane fatiche, che in esso vivono di leggendarie ritualità nel loro dispiegarsi, e perfino di arcaizzante eroicismo, che nelle posture dei personaggi ripresi di spalle, rifulge in controluce radente, dipanando tramonti non contemplabili durante la conduzione dell'aspro e troppo lungo lavoro d'ogni giornata.



Max de Fichard, "Strada di campagna" (sopra); "Lago Maggiore" (al centro); "Betulle sul lago" (sotto) (Belgirate 2014 Mostra "Magie del Lago"


In entrambi questi filoni di interesse e di pensiero, lo stile di questi pittori rimane invariato. Essi lavorano a macchia, e a punta di pennello, mediante tocchi veloci di preciso colore, ricercando atmosfere di limpidezza nei toni chiari e forti contrasti con le zone d'ombra, mediante gli scuri, in ciò prevalendo l'interesse per la scomposizione cromatica nelle tinte primarie, che meglio sapevano rendere tersa l'aria d'alta quota e più ricca l'analisi del dettaglio, attraverso la luce. La lezione dei macchiaioli toscani sa diventare, in questi pittori e in questi luoghi alpini e prealpini, quasi una frenesia dell'istinto, preludendo in taluni casi alla tavolozza simbolista di Previati, e in taluni altri perfino a quella futurista, di Russolo e Boccioni (il quale pure realizzò ritratti e paesaggi nel corso di un suo soggiorno pallanzese), che non a caso sfocia, per alcuni di loro, in esperienze di viaggi avventurosi, come accadde a Guido Boggiani, che a lungo girovagò per l'Africa e l'America Latina, o ai Troubetzkoy, in particolare Pierre, che cambiò spesso luogo di residenza in diversi paesi e  continenti, senza però mai smettere di lavorare come ritrattista di personaggi dell'alta società alla quale egli stesso apparteneva.



Daniele Ranzoni, "Ritratto della principessa Margherita di Savoia", 1869-70, olio su tela, cm 42x32, e "Ritratto di Agostino Rossi (particolare), 1862, olio su carta, cm 22,5x17 (Verbania Pallanza 2014, Mostra "Genius Loci, i capolavori del Museo del Paesaggio a Villa Giulia")


Tutte vite per lo più tranquille, quelle dei nostri pittori lombardo-piemontesi, a differenza di quelle dei macchiaioli toscani, che spesso erano coinvolte in attività di propaganda o di partecipazione politica, a quel tempo assai pericolose. In questo scorcio di secolo, alla limpida trasparenza delle acque del lago e all'ombra dei boschi alpini, invece, l'arte è vissuta spesso come un passatempo, in solitudine o in compagnia, di giornate di riposo o di vacanza, divenendo routine, ed anche un modo per dedicarsi all'astrazione contemplativa di sè, nel rapporto con quel paesaggio tanto serenante, oppure per concentrarsi senza sforzo nel ricercare minuzioso ed attento del dettaglio naturale, riprodotto veristicamente in modi che rasentano spesso la maniera. 
Certamente nella magnifica villa di Ghiffa, proprietà dei Troubetzkoy, ove, oltre ai membri della numerosa famiglia, erano ospiti numerosi amici artisti, tra cui Daniele Ranzoni, Achille Tominetti, Eugenio Gignous, Filippo Carcano, la vita scorreva tranquilla in conversazioni, in passeggiate distensive al seguito del proprio onnivoro cavalletto, o in infervorate dissertazioni sull'arte, intervallate da feste ed allegri convivii.



Giovanni Cappa Legora, "Mattino. Tetti di Stresa" (sopra), "Sole d'inverno" (sotto) - (Belgirate 2014, mostra "Magia del Lago")


Gli scorci più ameni, nella maggior parte dei dipinti di "puro paesaggio" presenti in entrambe le mostre che oggi vediamo sul lago, rivelano un interesse molto accentuato per questo tema tanto da farlo diventare, per la prima volta forse (dopo i manifesti pittorici di Lorrain oppure di Turner, fatti per travolgere lo spettatore nei misteri della natura, come soggetto per molti aspetti ancora sconosciuto), protagonista della scena, e non solo fondale, oggetto d'una contemplazione a volte incantata, scandita su piani di profondità, d'una bellezza ben conosciuta perchè fortemente interiorizzata, costituita dai luoghi delle proprie radici, della propria memoria, ed anche del proprio disimpegnato "passare del tempo". Un paesaggio, quindi, inteso come soggetto amato, ed anche come prima presa d'atto d'un bene da dover preservare, perchè conosciuto e fruito attraverso la conoscenza integrale delle sue stagioni, i suoi cambiamenti di sostanza e di colore nell'arco dell'anno. Una forma ante litteram di indagine d'un patrimonio comune da finalizzare alla salvaguardia.
Non è un caso che molti di questi nostri artisti si siano cimentati non solo con le bellezze canoniche dei luoghi, dalle isole alle località più note del Verbano, ma anche con le più sperdute realtà dell'insediamento umano, e con le porzioni di quel territorio meno accessibili. La loro capacità di cogliere non solo le forme, i colori, le atmosfere, ma anche, e sempre più accuratamente, lo spirito dei luoghi, rende esplicita ogni argomentazione circa il sentimento di forte appartenenza che in ciascuno di loro si rafforzava, di dipinto in dipinto, anche proprio attraverso il filtro dell'arte. Tra i più significativi esempi in tal senso sono stati ravvisati, anche a detta del critico Paul Nicholls, nei dipinti di Giovanni Cappa Legora, ed in particolar modo in quel "Sole d'inverno", che qui sopra riportiamo (facente parte della Mostra "Magia del Lago" in Belgirate 2014), nel quale magnificamente luminosa è la rappresentazione dei piani-sequenza, che fanno risaltare, per trasparenze sempre più velate verso il fondo, proprio il soggetto meno dichiarato e facilmente distinguibile, eppure il più noto, costituito dall'Isola Bella delle Borromee, come in questo "Mattino" qui riportato, sostanziatosi quasi per incanto tra le quinte a più strati dei boschi cedui e delle betullaie.




Sophie Browne, "Eva", 1898 circa, pastello su carta applicata su tela, cm 52,5x152,5 (Verbania Pallanza 2014, Mostra "Genius Loci, i capolavori del Museo del Paesaggio a Villa Giulia")


Episodi paralleli quanto a stile, e pur sempre molto radicati nella cultura aleggiante sul lago negli ultimi anni dell'ottocento, sono costituiti dalle produzioni pittoriche o scultoree di artisti appartenenti a famiglie altolocate, impiantatesi sul lago ma provenienti da lidi lontani, quali i Troubetzkoy o i Brown, e le rispettive discendenze.
Abbiamo riportato qui due tele, una di Pierre Troubetzkoy, e l'altra di Sophie Browne, entrambe aventi per soggetto ritratti femminili. Il primo, ritraente Mary Alice Francfort, eseguito con tecnica scapigliata, di derivazione tominettiana (non casualmente Pierre apprrese i rudimenti della pittura proprio dal Maestro miazzinese. Il secondo, facente parte di un trittico conservato nel Museo del Paesaggio, con Ninpha e Flora, raffigurante Eva, in uno stile assai vicino al simbolismo neo-medioevalista inglese.

Vorrei far notare quanto queste due diverse forme d'espressione pittorica fossero in realtà vicine di casa: entrambe nate in due splendide limitrofe ville alla Castagnola di Pallanza, divenute centri di fervida vita culturale a cavallo dei secoli XIX e XX. Una delle due ville, realizzata da Peter Brown nel 1859 divenne in seguito villa San Remigio, a cura della nipote di questo Sophie Brown, che elesse a propria residenza-studio dopo averla integralmente trasformata ed arredata, dedicando particolari cure al giardino. I numerosi ospiti illustri della villa testimoniano quanta parte essa ebbe nella cultura dell'epoca e quale alto livello di interesse ebbero allora le sponde del Lago Maggiore. Tra questi i pianisti Clara Wieck Schumann, Emil von Sauer, Eugen d'Albert, Wilhelm Kempf, i compositori Hugo Wolf e Ferruccio Busoni, lo storico George Brandes, gli scrittori Carmen Sylva, Isolde Kurz, Richard Voss, Gabriele D'Annunzio, l'Artista Umberto Boccioni. Quest'ultimo, nel 1916 eseguì qui, tra gli altri 8 dipinti, proprio durante un soggiorno estivo, il famoso "Ritratto di Ferruccio Busoni" (oggi alla galleria d'Arte Moderna di Roma).



Paolo Sala, "Lago Maggiore" (Belgirate 2014 Mostra "Magia del Lago")

Enrico Mercatali
(Belgirate, Verbania Pallanza 1 agosto 2014)



Monumento a Daniele Ranzoni posto negli ultimi anni sul lungolago di Intra (Verbania)