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27 May 2011

Mani sulla città



 Mani sulla città
Milano, una città sfigurata dal governo delle lobby del mattone





La città che è stata il motore dei virtuosi processi che l'avevano portata, dallo stato comatoso in cui l'ultima guerra mondiale l'aveva ridotta, a diventare la capitale morale del nostro Paese, e modello di come intraprendere per la ripresa economica e di come evolvere in centro di produzione economico e sociale, e di cultura a livello europeo e mondiale, fino ai primi anni '90, ha imboccato, poco meno di vent'anni fa, una strada che l'ha condotta allo stato in cui versa oggi, che le immagini che seguono non mostrano che in parte, un cumulo di errori progettuali e programmatici, organizzativi e di management, di erronee scelte strategiche e d'immagine, insomma: una immensa spazzatura che ha il difetto d'essere più o meno eterna, a differenza di quella napoletana, una strada di non ritorno.
Lo stato di degrado in cui la città versa è infatti poco fotografabile, essendo esso prevalentemente economico e sociale, e la grande quantità di cantieri edili oggi aperti, visibili ovunque nel tessuto urbano, non sono indice in sè di progresso e di sviluppo, quanto piuttosto espressione di un caos generalizzato che la allegra ed avida conduzione della amministrazione cittadina ha mano a mano prodotto nella immagine che scaturirà a breve d'una città irriconoscibile , frutto d'una concezione altamente privatistica ed oligarchica della cosa pubblica.
Le volumetrie esagerate e le densità intollerabilmente concentrate in taluni comparti territoriali, specialmente attorno alla cerchia dei bastioni, hanno determinato, unitamente all'indistinto ricorso a tipologie globalizzanti, lo stravolgimento del tradizionale assetto cittadino, ma quel che è peggio, lo hanno violentato col puro scopo di lucrarvi incommensurabili rendite di posizione senza tornaconto alcuno per la collettività, senza contropartite di sviluppo per la società milanese nel suo assieme, di crescita globale delle attività socioeconomiche e culturali, nè di una immagine entro la quale rispecchiarsi in quanto milanesi, lombardi od italiani che dir si voglia, per poterci scoprire tutti almeno  un po' cresciuti, migliori, forse più benestanti. No, in tutto ciò la città ora, oltre ad essere l'immagine stessa dello scempio (simbolica dello sfascio in cui l'intero paese è sprofondato), è il luogo fisico del degrado economico d'un paese che ha spremuto tutto ciò che ha potuto a favore dei più ricchi signori dell'economia, ai leader del mattone già collusi con la mafia, togliendo tutto  al contempo (e sta tuttora togliendo tutto) a chi poco aveva e perfino a quei ceti medi che erano divenuti classe egemonie in passato, e che erano giunti, governando la città, a produrre di più e a distrubuire meglio la ricchezza, portando Milano sino al cuore dell'Europa.




Milano ora non sa neppure completare i cantieri che ha aperto (vedi Santa Giulia) ed ha avviato la più parte di essi senza neppure sapere se come e quando verranno completate le loro parti più qualificanti (vedi City Center e Museo d'Arte Contemporanea). Milano ora, che da anni s'impone una immagine d'avanguardia nel mondo fregiandosi d'un Expò 2015, che mai vedrà la luce, su temi ultrasensibili quali la fame nel mondo e le modalità d'un futuro produttivo mondiale che ne sappia creare e poi governare i criteri risolutivi. Approssimazione e faccia tosta, Promozionalità globali ed incapacità perfino nel guardarsi allo specchio, improvvisazione e falsi virtuosismi, furbizie d'ignoranza e megalomanie incapaci d'autolimitarsi hanno prodotto lo stato attuale d'uno sfacelo annunciato, divenuto ora il verbo d'un fare solo fine a se stesso, rappresentazione d'un fatto che ha solo tolto qualcosa alla città, senza lasciare che indistinte volumetrie per chi viene a Milano solo per fare affari, e poi ripartirsene per raggiungere mete migliori: città da businnes, città per convegni e fiere, città d'affarismi poco produttivi ed assai finanziari, città per ricchi che quando lavorano amano stare in ambienti iperclimatizzati, interni e tecnologici, e che quando sono liberi spiccano il volo verso lidi costituiti da esterniben conservati a loro uso e consumo. Una Milano così, come inferno di chi vi campa nei suoi servizi, in topaie per chi nutre i call centers. Il suo centro conservato a misura d'un turismo mordi e fuggi che più di una giornata non vi dedica, e le sue periferie incapaci di uscire dal degrado metropolitano in cui se si investe, lo si fa solo per ulteriore residenze di lusso, poco attraenti perfino a chi se le potrebbe permettere.



Una Milano che ha voluto darsi un aspetto moderno e aggressivo, potente e sicuro, ma che non riesce a chiudere positivamente uno solo dei suoi cantieri. Una Milano che si è affidata alle mani di professionisti stranieri di fama, chiamati a siglare questo o quel progetto con l'ambizione d'essere importante e significativo nel quadro metropolitano, senza uno straccio di Piano Territoriale che ne potesse sorreggere almeno la localizzazione, e ne modellasse, adeguatamente dimensionandole, le infrastrutture e i servizi. Episodicità eretta a sistema, interesse ristretto e largo spazio all'improvvisazione. Decenni sono trascorsi tra dibattiti e analisi, eccessivi perfino gli scrupoli edificatori d'una pianificazione sin troppo attenta alla complessità del quadro, mentre ora, ecco sorgere come funghi, ovunque,  i dispositivi d'una funzionalità mai da alcuno decisa entro il sistema delle più normali verifiche, entro il quadro d'una pianificazione quanto meno suffragata da un dibattito pluridisciplinare, entro a una sia pur ristretta forma di istituzionalizzazione.




Alle "ex Varesine" si scatena l'inferno, essendo l'area più centrale e più appetibile sia in termini di capienza urbanistica sia in termini di posizione, agganciata com'è ai più consistenti flussi di traffico cittadino, sia veicolare che ferroviario, attraversato da metropolitane urbane e regionali, nonchè sede di importanti istituzioni pubbliche, quali alcune sedi comunali e regonali. Lì vi si localizzeranno nuovi musei, centri congressi, concentrazioni di terziario che neppure nell'intero centro potrebbe esservi più denso. Lì i flussi del traffico su gomma già si incanalano entro tunnel sottopassanti il futuro Museo della Moda con i relativi supporti di terziario avanzato e di servizio (la torre di Cesar Pelli), lì vi si vorrebbe far transitare uno dei più lunghi tunnel urbani d'Europa, capace di scorrere nelle viscere della terra per collegare in pochi minuti tutti i più influenti gangli del'attività cittadina.
Milano è una Grande Milano: "Milan l'è un gran Milan". Ma chi poteva pensare che Milano diventasse una città tanto aggressiva! Chi la poteva volere così, se non chi generalmente scarseggia in fantasia!




Un tunnel così normalmente si fa per collegare due stati separati dal mare, due aree regionali popolatissime che non hanno altri modi per essere tra loro unite, due forti conurbazioni separate da alte montagne o da lingue di mare, non i quartieri di una città già ampiamente infrastrutturata da linee metropolitane, ferroviarie ed autostradali: un'opera inutile, e tragicamente costosa per una popolazione già vessata da infinite altre voci di spesa! Un'opera che fa gola solo a chi maneggia grossissimi capitali. Qualcuno può pensare che un'opera del genere non interessi alla mafia? Già, proprio come sta accadendo all'Expò.



Milano in cantiere


Milano ancora in cantiere


Milano sempre in cantiere


Milano: una città ribaltata in pochi anni da capo a piedi senza progetto alcuno! Il più promosso e divulgato tra i suoi "punti di forza" è il "City Life", voluto da pochi oligarchi del mattone e da una giunta consenziente, stilato da professionisti ambiziosi e senza scrupoli, totalmente privi di conoscenza specifica della città e della sua cultura. Questo rendering del progetto di massima è il solo livello di approfondimento acquisito dagli organi autorizzativi per dare il via al programma dell'intero comparto, immediatamento cantierizzato, che prevede centinaia di migliaia di nuovi metri cubi residenziali e ad uso ufficio, capaci di contribuire in modo sostanziale alla prevista crescita della popolazione cittadina di circa 500.000 unità. Infatti è stato questo progetto a fare da leva per l'appalto, entro l'area, delle volumetrie residenziali. Queste infatti sono state a tempo record progettate, appaltate ed in buona parte già realizzate. Ciò che contava davvero, a Milano City, era incominciare ad incamerare quattrini vendendo appartamenti superlusso ed a costo relativamente modesto. Ciò che contava era speculare sulle altissime rendite di posizione che il comparto della "ex Fiera di Milano" riusciva a garantire. Del Museo d'Arte Contemporanea e dei "Grattacieli" se ne riparlerà più avanti. Cosa avverrà riguardo al verde circostante nessuno sa dire. Magari neppure verrà realizzato (come, del resto, è successo a Santa Giulia).




Milano costruisce un'altra Milano, che con la precedente non ha più nulla a che vedere. Sta nascendo un'altra città, anonima, uguale a mille altre nel mondo, priva d'una sua identità




Milano potrebbe essere simboleggiata un domani dal questo grattacielo ricurvo, nato già vecchio e ingobbito, affaticato, senza nerbo nè arditezza, rammollito e senile, accasciato e senza più vita (progetto di Daniel Libeskind)



Che dire infine delle tipologie edilizie? Un coacervo di globalizzazione capace di unire ogni angolo del mondo in un sol sito! Decostruzionismo infinito e plurispalmato ovunque,  incapace perfino di mostrarsi personalizzato, o reinterpretato. Scimmiottare ciò che fanno altri perchè incapaci di dire qualcosa di nuovo: sì, perfino il linguaggio è ora stereotipato, anzi afono!


Eravamo diventati qualcuno nel mondo negli anni '60. Milano si era fatta notare, ed anche parecchio, perfino oltreoceano, allora. E qualcuno veniva pure a cercar di capire un fenomeno tanto eclatante, quanto curioso e positivo: una Milano che guardava al mondo e al futuro, capace di insegnare al mondo il proprio futuro! Era l'epoca, quella, del Grattacielo Pirelli, era l'epoca di Grassi e Strehler, era l'epoca dei BBPR e della Torre Velasca, era l'epoca del nuovo nascente design, degli Zanuso e dei Castiglioni, era l'epoca della grande industria che evolveva con criteri d'efficienza ed internazionalità,  e che sapeva cosa fare per essere all'avanguardia, sia nelle tecnologie che nel progetto,  ma anche della piccola e media indistria che ha fatto le ossa d'una economia che proprio a Milano e nel suo hinterland era divenuta la più ricca d'Europa, ma era anche la città della cultura, delle gallerie d'arte più famose nel mondo...



... un crocevia di idee e potenzialità economiche che la classe politica del nostro paese non ha saputo interpretare.

Milano, 27 maggio 2011

Enrico Mercatali
per TACCUINI INTERNAZIONALI






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