La madre di tutte le sedie
che sarebbero poi diventate le famose
che sarebbero poi diventate le famose
"Superleggere"
firmate da Gio Ponti, per Cassina
E' stato un lascito di mia madre, questa sedia tanto prestigiosa, unica al mondo, credo (per quanto io ne sappia ora), della cui storia lei mi parlò, essendole appartenuta fin da quando fu realizzata.
Poi essa diventò presto "mia", da quando incominciai ad occuparmi di architettura, fin da ragazzo, e di arredo, e più tardi ancora di design e di storia del design, da quando mia madre me la diede. per arredare la mia camera, dicendomi: "Questa sedia l'ha disegnata Gio Ponti per lo zio Pinetto".
La sua storia oggi è sicuramente di interesse collettivo (almeno per gli addetti ai lavori), essendo con tutta certezza, questa sedia, la madre di quella che verrà successivamente chiamata dal suo creatore, Gio Ponti appunto, la "Superleggera", mitico oggetto d'arredo, che diverrà presto anche oggetto di culto in quanto icona di quella nuova arte, metà invenzioni d'artista e metà oggetto seriale della produzione indistriale, che verrà universalmente chiamata di lì a poco con il termine di "design".
La nostra sedia perciò è una delle madri del design, delle ormai poche rimaste madri (un po' prototipi, e un po' "prime serie"che nel mondo gli architetti amanti della modernità incominciano ad incensare come donatrici di vita ad oggetti che hanno fatto storia, la storia del design. Questa è storia intimamente connessa peraltro alla storia dell'architettura moderna, i cui segni alle varie scale sono divenuti linguaggio visivo dell'ambiente nel quale noi tutti oggi viviamo. E sono tali segni che completano ed a volte determinano l'ambiente domestico che viviamo, indissolubilmente legato ai nostri comportamenti quotidiani, e all'esibizione che talvolta di essi facciamo in termini di status simbol, economico o culturale, ma più spesso all'uso anche continuo e inconscio per il nostro benessere non solo fisico (legato all'uso), ma anche psicologico, quando diventano "panorama" della nostra vita di tutti i giorni, per il piacere estetico che da essi sappiamo trarre.
Sopra e sotto al titolo: l'antenata della superleggera vista dall'alto e dal davanti.
Più sotto: la stessa sedia vista di 3/4.
Più sotto: la stessa sedia vista di 3/4.
(collezione Casabella, foto di Enrico Mercatali)
Pezzo probabilmente unico in noce massello disegnato da Gio Ponti nel 1949 per l'azienda chiavennasca "Ex Persenico". Qui sopra la stessa sedia vista da dietro. Lo stile giòpontiano in essa è inconfondibile, già descrive totalmente alcune delle teorie che il giovane architetto e artista incomincia a divulgare dall'anno precedente sulla nuova rivista "Domus", da lui fondata e diretta, ed inoltre prelude a quanto vi sarà richiamato nel capolavoro giòpontiano assoluto per gli interni, ovvero la "Superleggera" (le fotografie della "Superleggera ante litteram" sono state realizzate da Enrico Mercatali. La sedia fa parte della collezione di Casabella (Casabella-Lesa-Lago Maggiore)
La mamma, perciò, insieme alla sedia, mi ha lasciato in eredità la sua storia (che mi sono preoccupato di certificare), fatta di tempi, di persone, di aziende, di ricordi personali che a quella sedia erano legati. Questa storia parte dal matrimonio della mamma, la quale ebbe, quale regalo di nozze da parte dello zio Giuseppe Mosca, allora Sindaco di Chiavenna (Sondrio), proprio quella sedia, quale pezzo di un assieme costituito dalla "camera da letto", con tanto di letto matrimoniale, armadio a due ante, tavolo per il trucco, e due sedie. Oggi di tutto ciò non rimane che una delle due sedie, essendo stato poco alla volta smantellata, da parte della mamma, l'unità della camera, avendo lei regalato nel tempo ad amici o conoscenti, un pezzo qua e un pezzo là, l'intero assieme.
Sono orgoglioso però della sedia giòpontiana, del 1944, che mi è rimasta appresso, chissà come, fino ad oggi.
Gio Ponti, era un caro amico dello zio Giuseppe Mosca, detto Pinetto. Questi, essendo negli anni prebellici un facoltoso industriale, avendo fatto fortuna con l'estrazione in sud america di un materiale chiamato "carborundum", necessario alla produzione della carta vetrata, aveva costituito un piccolo impero fatto anche di numerose dimore, tra cui una bella villa con parco a Chiavenna, con tanto parco con alberi secolari, nella quale da bambino io stesso mi trovavo coi cugini a giocare lungo tutto l'arco dell'estate. Con la casa c'era il "crotto", e annessa falegnameria sul fiume Mera. La falegnameria era in realtà una vera e propria fabbrica che lo zio aveva riconvertito, dopo averla acquistata dalla ex Persenico, che vi produceva gli sci (sport, lo sci, assai praticato fin da allora tra quelle montagne), in piccola industria del mobile. Fu chiamato allora da lui il giovanissimo amico Gio Ponti, già affermato e noto professionista per i suoi progetti milanesi e internazionali fin dagli anni '30, a disegnare le nuove serie del mobilio che sarebbe servito, nei progetti dello zio, alle numerose nuove famiglie italiane dell'immediato dopoguerra, che, dopo la ricostruzione, avrebbero anche dovuto arredarle le loro case.
Gio Ponti, era un caro amico dello zio Giuseppe Mosca, detto Pinetto. Questi, essendo negli anni prebellici un facoltoso industriale, avendo fatto fortuna con l'estrazione in sud america di un materiale chiamato "carborundum", necessario alla produzione della carta vetrata, aveva costituito un piccolo impero fatto anche di numerose dimore, tra cui una bella villa con parco a Chiavenna, con tanto parco con alberi secolari, nella quale da bambino io stesso mi trovavo coi cugini a giocare lungo tutto l'arco dell'estate. Con la casa c'era il "crotto", e annessa falegnameria sul fiume Mera. La falegnameria era in realtà una vera e propria fabbrica che lo zio aveva riconvertito, dopo averla acquistata dalla ex Persenico, che vi produceva gli sci (sport, lo sci, assai praticato fin da allora tra quelle montagne), in piccola industria del mobile. Fu chiamato allora da lui il giovanissimo amico Gio Ponti, già affermato e noto professionista per i suoi progetti milanesi e internazionali fin dagli anni '30, a disegnare le nuove serie del mobilio che sarebbe servito, nei progetti dello zio, alle numerose nuove famiglie italiane dell'immediato dopoguerra, che, dopo la ricostruzione, avrebbero anche dovuto arredarle le loro case.
Gio Ponti, come dicevo, si era già fino dagli anni '30 messo in luce con opere di grande d'ingegno, sia in architettura (complesso Montecatini in Milano, 1936, capolavoro mondiale assoluto e summa tecnologica e stilistica della modernità urbana attinente il lavoro, ed i luoghi nei quali esso viene praticato), che in produzioni di serie (ceramiche Richard Ginori, 1923-30; oggetti per Christofle, 1926; elementi d'arredamento per la "Domus Nova", 1929) , mostrando non solo una elevatissima abilità progettuale e organizzativa, ma anche un raffinato gusto moderno per tutto ciò che costituiva l'ambiente domestico, sia in Italia che all'estero.
Gio Ponti, Superleggera del 1955, disegnata per Cassina, qui nella versione "positivo-negativo".
Della Superleggera ne sono state fatte diverse versioni, tutte appartenenti allo stesso ceppo ideativo originario.
Fu allora che lo zio Pinetto gli fece comporre una serie di mobili in legno di noce massello, essenziale nelle linee, le cui concrete forme dovevano essere semplici e veloci da realizzare, in qualche modo già orientate alla serialità, pur avendo ancora necessità, per le tecnologie di allora, d'uno spiccato contributo di capace ed esperta manualità, che le maestranze acquisite con l'acquisto della Ex Persenico di Chiavenna certamente possedevano, essendo abituate a lavorare l'articolo dello sci, allora in legno, il quale, per eccellenza, doveva possedere doti di perfezione formale e di estrema duttilità e flessibilità materiale.
L'armadio a due ante qui sopra illustrato fa parte della "camera da letto" della quale la sedia che qui raccontiamo faceva parte integrante. Alcuni dettagli evidenziano i caratteri costruttivi che documentano l'appartenenza di questo oggetto industriale alla nascente cultura italiana della serialità e della conseguente necessaria standardizzazione modulare delle parti pre-fabbricate prima del montaggio (fotografie di Enrico Mercatali)
Gli arredi che completavano la serie per "camera da letto" erano costituiti da un letto matrimoniale, da un tavolo per il trucco e da un armadio a due ante. Solo di quest'ultimo abbiamo conservato delle fotografie, che mostrano lo stato dell'arte della progettazione del legno della fine degli anni '40, ove Ponti cercava di abbandonare lo stilismo tipico degli arredi da lui progettati subito prima della guerra, tra la fine degli anni '30 e l'inizio dei '40, nei quali la cifra stilistica consisteva in forme esili, ma ancora vagamente architettoniche, non prive di nicchie, mensole, accennati frontoni o cornici.
Ciò che ora, forse anche sotto la spinta pragmatica e di sano realismo affaristico che lo stesso zio Pinetto andava chiedendo, egli andava sperimentando erano forme di razionalizzazione delle prime tecniche di produzione in serie, le quali, non dimentiche delle necessità decorative che la pura e semplice superficie piana ancora richiedeva, si spingevano a realizzare serialmente singole parti, ancora in legno di noce massello, che sarebbero state successivamente tra loro assemblate (vedi ad esempio il piano di seduta della antenata chiavennasca della Superleggera realizzato in bacchette larghe e sottili, dai bordi arrotondati, tra loro distaccate per creare una texture di pieni e vuoti, piacevolissimi alla vista ed al tatto, così come anche all'impatto della luce).
Le superfici, che già nel '50, ossia un anno dopo, Ponti affida alla decorazione pittorica di P. Fornasetti, qui (e ciò si vede particolarmente nelle lavorazioni dell'armadio, ancora vengono realizzate a doghe, predisposte tutte tra loro uguali, e capaci, per come realizzate in sezione, di perfettamente incastrarsi l'una nell'altra, a formare un disegno a strisce, così come, già nel 1938 (vedi appartamento Vanzetti, a Milano), le superfici di una boiserie venivano rese plasticamente e matericamente decorate con la giustapposizione di bacchettine di legno accostate l'una all'altra.
I principi di standardizzazione e di moltiplicazione in serie venivano così sperimentati, per preludere a quanto nel design si sarebbe in seguito sviluppato, per come oggi lo intendiamo, entro il contesto d'una integrata visione del rapporto arte-tecnica-produzione, che di lì a pochissimi anni sarebbe esploso. Complici in questo processo dirompente di elaborazione concetuale e di sperimentazione costante e concreta, saranno proprio le riviste specializzate che lo Stesso Gio Ponti fonderà, proprio in questi prossimi anni, "Domus" nel 1928 e "Stile" nel 1941.
L'armadio a due ante qui sopra illustrato fa parte della "camera da letto" della quale la sedia che qui raccontiamo faceva parte integrante. Alcuni dettagli evidenziano i caratteri costruttivi che documentano l'appartenenza di questo oggetto industriale alla nascente cultura italiana della serialità e della conseguente necessaria standardizzazione modulare delle parti pre-fabbricate prima del montaggio (fotografie di Enrico Mercatali)
Gli arredi che completavano la serie per "camera da letto" erano costituiti da un letto matrimoniale, da un tavolo per il trucco e da un armadio a due ante. Solo di quest'ultimo abbiamo conservato delle fotografie, che mostrano lo stato dell'arte della progettazione del legno della fine degli anni '40, ove Ponti cercava di abbandonare lo stilismo tipico degli arredi da lui progettati subito prima della guerra, tra la fine degli anni '30 e l'inizio dei '40, nei quali la cifra stilistica consisteva in forme esili, ma ancora vagamente architettoniche, non prive di nicchie, mensole, accennati frontoni o cornici.
Gio Ponti, sedia Superleggera del 1955, in una versione impagliata.
Le parti in legno risultano più grosse, i raccordi più arrotondati, ma non manca l'evidenza della medesima matrice, che prevede sezioni ad andamento conico.
Ciò che ora, forse anche sotto la spinta pragmatica e di sano realismo affaristico che lo stesso zio Pinetto andava chiedendo, egli andava sperimentando erano forme di razionalizzazione delle prime tecniche di produzione in serie, le quali, non dimentiche delle necessità decorative che la pura e semplice superficie piana ancora richiedeva, si spingevano a realizzare serialmente singole parti, ancora in legno di noce massello, che sarebbero state successivamente tra loro assemblate (vedi ad esempio il piano di seduta della antenata chiavennasca della Superleggera realizzato in bacchette larghe e sottili, dai bordi arrotondati, tra loro distaccate per creare una texture di pieni e vuoti, piacevolissimi alla vista ed al tatto, così come anche all'impatto della luce).
Le superfici, che già nel '50, ossia un anno dopo, Ponti affida alla decorazione pittorica di P. Fornasetti, qui (e ciò si vede particolarmente nelle lavorazioni dell'armadio, ancora vengono realizzate a doghe, predisposte tutte tra loro uguali, e capaci, per come realizzate in sezione, di perfettamente incastrarsi l'una nell'altra, a formare un disegno a strisce, così come, già nel 1938 (vedi appartamento Vanzetti, a Milano), le superfici di una boiserie venivano rese plasticamente e matericamente decorate con la giustapposizione di bacchettine di legno accostate l'una all'altra.
I principi di standardizzazione e di moltiplicazione in serie venivano così sperimentati, per preludere a quanto nel design si sarebbe in seguito sviluppato, per come oggi lo intendiamo, entro il contesto d'una integrata visione del rapporto arte-tecnica-produzione, che di lì a pochissimi anni sarebbe esploso. Complici in questo processo dirompente di elaborazione concetuale e di sperimentazione costante e concreta, saranno proprio le riviste specializzate che lo Stesso Gio Ponti fonderà, proprio in questi prossimi anni, "Domus" nel 1928 e "Stile" nel 1941.
Negli anni successivi la Superleggera è stata variamente e liberamente interpretata, in numerosissime varianti cromatiche e di materiale, diventando icona della modernità, così come icona della modernità è diventato il grattacielo che Ponti ha realizzato per Pirelli di lì a pochissimi anni a Milano, la cui cifra stilistica è riassumibile nella medesima leggerezza ed esilità di forme e di segno, complice Pier Luigi Nervi per la progettazione strutturale, così come tutta la straordinaria equipe che il Maestro ha chiamato a raccolta per un incarico tanto prestigioso, e tanto sapientemente interpretato.
Lesa, 16 aprile 2011
(Aggiornato il 9 aprile 2013)
(Aggiornato il 9 aprile 2013)
Enrico Mercatali
(dedicato a Mina M.)
(dedicato a Mina M.)
bravi. gio ponti però si scrive senza accento.
ReplyDeleteRD
Grazie, hai ragione!
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