THE MAGAZINE OF THOUGHTS, DREAMS, IMAGES THAT PASS THROUGH EVERY ART OF DOING, SEEING, DISCOVERING

27 May 2013

Casa unifamiliare a Weinfelden, presso Konstanz (Switzerland - Canton of Thurgau) - "Per capire gli spazi che viviamo" - le qualità e i difetti dell'architettura, e dei suoi spazi arredati (rubrica di Enrico Mercatali e Vanessa Passoni)


Casa unifamiliare a Weinfelden, presso Konstanz 
(Switzerland - Canton of Thurgau)



Per capire  gli  spazi  che  viviamo
Le qualità e i difetti dell'architettura
 e dei suoi spazi arredati


Casa unifamiliare a Weinfelden, presso Konstanz (Switzerland - Canton of Thurgau)
di K_M Architektur. Fotografie di Sabrina Schej 

di Enrico Mercatali e Vanessa Passoni


E’ questa una casa unifamiliare davvero molto bella. Complimenti ai suoi autori. Trattasi di una architettura pulita ed essenziale, sia in interno che in esterno. Ed il rivestimento in legno, che compare sempre anche negli interni facendovi spesso da protagonista, la rende più accogliente: guai se la stessa casa fosse stata in cemento a vista! Essa è nata così nell'idea dei progettisti, fin dai suoi primi appunti.
Le cose che fanno di questo progetto un progetto immediatamente percepito come giusto, perfettamente centrato nella sua impostanzione di base, sono: l’aver slittato il volume superiore rispetto all’inferiore costituisce subito un doppio vantaggio. Il primo è quello di poter disporre di una ampia terrazza al piano superiore, cosa essenziale quando si ha davanti un così bel panorama, ampio e digradante verso il basso. Il secondo è quello d'avere una comoda copertura nel punto di ingresso, ove si giunge in macchina, utilissima in caso di pioggia per portare dentro la spesa od ogni altra cosa dall’auto: un ingresso ben protetto dalla pioggia o dalla neve, ma anche da un eccesso di sole,  da il meglio di sè' in ogni circostanza.  E' questo un fattore di grande importanza psicologica. 




Questa casa è splendida per la scelta dei materiali, rigorosamente naturali e comunque inseriti in netto contrasto con l'ambiente circostante. Una casa che si fa notare e che sembra creata per essere condivisa, sia in interno che in esterno, in un ambiente creativo e molto spontaneo. La luce, sia notturna che diurna, si fa interprete spontanea dell'arredamento, creando un flusso di Qi potentissimo in ogni spazio, flusso che si rende però quieto e rispettoso nella zona dedicata al sonno. Splendido esempio di camera zen.

 


Le altre qualità di questa casa, per andare anche ai dettagli,  che ne sono la migliore conferma di efficacia, sono: la camera da letto linda e minimale, senza oggetti o libri, per un sonno più pulito e senza polvere, e con la mensola incassata retrostante che, oltre ad essere comodo luogo di appoggio,  fa anche da luce retrostante, ottima per leggere. Veramente giusta la posizione dell’ampio guardaroba a fianco della scala, che corre parallelo al lungo cannocchiale,  con finestrella sullo sfondo, utilizzabile come appendiabiti sia dai proprietari che dagli ospiti, ma anche abbondante contenitore  d'ogni cosa, necessario soprattutto in una casa che si voglia tenere sempre in ordine e non troppo affollata dagli oggetti. Strepitosa la “tolda di nave” per passeggiare o soffermarsi a fumare attorno al soggiorno, in tutta lunghezza (che plus per le feste con amici, o nelle occasioni in cui non poca gente gira per la casa!). Un dettaglio non da poco, per sottolineare la concezione integrata degli spazi interni con gli esterni e viceversa, è costituito dal risvolto verticale in legno nella parte interna della lunga balaustra, che della pavimentazione ne riprende il motivo a doghe. Possiamo solo immaginare la bellezza del panorama anche serale e notturno da quassù, con l'accattivante veduta del territorio sottostante illuminato). Un altro particolare che rende la cucina perfettamente abitabile e ben collocata, è costituito dalla finestra a nastro orizzontale dietro, il blocco di lavaggio (soluzione sempre eccellente quando possibile. E cosa dire di meglio, di quel tavolo-pranzo presso il camino, che lo divide dalla zona dei divani, con l’alternativa esterna coperta? Perfetto.




L'aver ricavato un'unica zona estremamente minimale e funzionale, per la gestione logistica degli oggetti d'arredo e del guardaroba, crea la possibilità di gestire spazi impensati e ben strutturati in ogni zona rendendo il massimo confort e una manutenzione più semplice. Lo spazio dedicato alla living-room, nella sua calda vuotezza, invita la creatività degli ospiti e dei suoi abitanti a una maggiore espansione. La suddivisione fra spazi interni ed esterni è ben congegnata, sia per la necessità che per la ricreazione, rendendo questa casa un esempio perfetto di funzionalità raffinata. 





Unico difettuccio? Un patrimonio in spese di manutenzione per tutto quel legno (pavimenti  pareti, soffitti interni ed esterni), se si vuole evitare il suo rapido decadimento , che creerebbe un effetto dismissivo e triste, assolutamente da evitare.
Piccola grande architettura, congegnata sapientemente nei suoi volumi, nella sua distribuzione interna, nell'arredo minimo che rende gli spazi ancor più grandi e ben intersecati.




La casa è pubblicata su Designboom (http://www.designboom.com/), di K_M Architektur, in Weinfelden-Switzerland (Canton of Thurgau), presso Konstanz (http://www.designboom.com/architecture/k_m-architektur-house-in-weinfelden-switzerland/). Fotografie di Sabrina Scheja (http://www.sabrinascheja.ch/)

Enrico Mercatali
Vanessa Passoni

Milano, 27 maggio 2013

23 May 2013

Lora Lamm al MAX Museo di Chiasso (di E. Mercatali)




La grafica felice di
LORA LAMM



al Max Museo di Chiasso 


La mostra intende collocare l'importante artista svizzera
ove merita, ovvero nella grande grafica internazionale




Pubblicano i giornali di questa settimana alcune opere di Lora Lamm, grafica svizzera trapiantata a Milano negli anni '50, che qui ha realizzato le sue migliori opere fino agli inizi dei '60. Abbiamo letto pagine con articoli di rara allegria, e di sincero apprezzamento per le immagini di questa "signora dell'acquarello", così fresche e ridenti che, accanto al suo nome, vengono oggi riproponendosi ancora come nuove dopo essere state quasi dimenticate.




Il primo dei giornali che ne hanno parlato è stato il Sole 24 Ore, che, per la firma di Italo Lupi, che è stato della Lamm giovane collega presso l'ufficio pubblicità all'ultimo piano de  La Rinascente, davanti alle guglie del Duomo, assieme a tanti altri eccelsi nomi della grafica svizzera e italiana di allora. E' Lupi infatti che ricorda i magnifici anni ("magici" per quella visione trasfigurata che è tipica della giovane età), e che ne racconta, assieme ai valori, gli aneddoti, gli eventi salienti, il clima d'ottimismo e fiducia nel futuro, che del lavoro di quegli anni fondava i migliori presupposti. 





Si trattava degli anni nei quali la grande industria italiana faceva il costume dei suoi cittadini d'allora, quelli nei quali si avviava la motorizzazione di massa, e gli italiani incominciavano a muoversi a frotte verso le vacanze marine, e le Gomme Pirelli ne addolcivano il percorso, quelli nei quali il denaro cominciava a circolare nelle tasche di chi si accorgeva del piacere di consumare bibite nuove, e Cynar inventava l'ora degli aperitivi, quelli nei quali la voglia di vestirsi in modo più personalizzato cominciava a stuzzicare le vanità di coloro che alla Rinascente avrebbero trovato tutto ciò che cercavano, di adatto a quelle "occasioni" che fino ad allora non venivano neppure pensate.




Ma era anche l'età ove l'industria si occupava perfino di sociologia, ed immaginava la realizzazione di un "socialismo dal volto umano". Adriano Olivetti non costruiva soltanto macchine calcolatrici e da scrivere, ma anche scuole ed intere città fatte a misura d'uomo.
E' sulle pagine dei giornali che abbiamo letto questa settimana che tali  idilliaci ricordi si disvelano attraverso i simpatici volti e i divertenti abbigliamenti che Lora Lamm illustrava a quel tempo nei suoi manifesti, e che disegnava con una capacità descrittiva che oggi ci affascina, e ci fa perfino sognare. 



Un annuncio pubblicitario con affiancate le grafiche di Lora Lamm, di Bob Noorda e di Riccardo Manzi, rispettivamenter realizzate nel 1959,  1957 e  1960, per Pirelli pneumatici



 Un altro annuncio pubblicitario con affiancate le grafiche di Erberto Carboni, Reymond Sevignac e Lora Lamm, per Pirelliprodotti vari e per la casa


E' proprio la capacità d'evocare una vita più bella e serena di quella d'oggi che ci incanta in quelle locandine, in quei manifesti. Ricordano, quelle pagine di giornale, che constateremo poi nella mostra, quei magnifici anni nei quali la grafica italiana e quella svizzera hanno saputo tessere assieme grandi novità, ed addirittura inventarsi il senso stesso del veicolo pubblicitario, il suo significato sociale, che appunto allora andava prendendo forma nelle sue dimensioni appunto "di massa", il suo ruolo, il significato che assumeva nel tempo in cui il nuovo benessere economico derivava anche da quanto sfornava l'industria, mentre il boom economico indirizzava le scelte di apprezzamento di tutti i cittadini italiani ai suoi nuovi prodotti. Quei manifesti, quelle pubblicità si facevano arte, acquisendo un ruolo di grande importanza nella descrizione del costume, e della società che lo esprimeva.




Ma è stata anche la "conversazione" che Lora Lamm stessa ha offerto al pubblico di Museo Novecento martedì scorso, assieme a Italo Lupi, Tiziana Cardini, Massimo Pitis, Nicoletta Ossanna Cavadini, coordinata da Marco Sammicheli, a farci tornare allo spirito di allora, così diverso da quello di oggi, ricreando il piacere di immaginare tanta positività , e un entusiasmo che diveniva esso stesso la linfa di quella creatività tanto esplosiva e dirompente. Di quell'atmosfera sono stati i principali artefici, assieme a Lora Lamm, Bob Noorda, Massimo Vignelli, Tovaglia, Erberto Carboni, Franco Grignani, Bruno Munari, Albe Steiner, oltre naturalmente agli amici più votati all'industrial design e all'allestimento architettonico, quali i Gardella, gli Albini e gli Zanuso, ed ovviamente anche i fratelli Castiglioni. Tutti nomi che hanno reso famosa Milano nel mondo, quella Milano che stenta oggi a ritrovarsi in quel ruolo, nonostante vi si siano aggiunte le grandi griffe della moda. E' necessario ritrovare quello spirito che anche Lora Lamm ha contribuito allora a creare. E la mostra sarà certo capace almeno di farci riprovare.




La mostra, intitolata "Lora Lamm. Grafica a Milano 1953-1963", curata dalla stessa Lora Lamm e da Nicoletta Ossanna Cavadini, si terrà al Max di Chiasso da sabato 25 maggio a domenica 21 luglio 2013. In essa verranno esposti più di cento tra manifesti, locandine, volantini, carta intestata e  bozzetti, in collaborazione con il Museum fur Gestaltung di Zurigo, l'archivio Boggeri e la Fondazione Pirelli. Il catalogo è di Silvana.




Qui sopra: la locandiona della mostra dedicata a Lora Lamm dal MoMa nel 2012



Enrico Mercatali
Milano, 22 maggio 2013

19 May 2013

Casa Lapo (Lapo House)




Lapo  House



E' questo un progetto affascinante per il solo motivo che è colmo di novità, di azzardi, di scommesse, di intuizioni, di paradossi, di fughe in avanti. 
Non è un caso che il suo progettista, l'architetto francese Florent Lesaulnier, si sia ispirato, come egli dice,  a Carlo Mollino, il rivoluzionario architetto torinese già attivo negli anni '30 che, alla pratica dell'architettura, sapeva abbinare in modo artistico positivo quella di corridore automobilistico, di esperto sciatore e di pilota aeronautico, lasciandosi affascinare da ogni genere di diversità. comprese quelle all'epoca considerate"scaldalose". 





In tal modo, e forse solo da tali presupposti, l'architettura può veramente rigenerarsi, e forse ciò può valere anche per il mondo dell'imprenditorialità (quella che aleggia attorno alla figura di Lapo Elkann, onnivoro personaggio dalle svariatissime specializzazioni, alla quale essa si ispira) al quale essa anche partecipa, ed in qualche modo così convive anche in questo progetto, facendo sfoggio di reinvenzione, non accontentandosi di qualche superficiale  o frammentario distinguo, ritoccando le mode imperanti.



Come nella casa di Capo Massullo (Capri), di Libera-Malaparte, non esistono qui parapetti. sull'immenso vuoto del panorama Il parapetto è davvero uno strumento per le masse, indice di quotidianità squallida e scontata. Qui vi è infatti bandita, ed ottant'anni più tardi, si ripete simbolicamente, anche attraverso questo piccolo segno, l'urlato anelito di libertà, nella sua versione più individualistica. Esso però è un urlo realmente rigenerante, come la storia, anche dell'architettura, insegna. Lo stesso futuristico mito della guerra rigenerante, guarda caso, qui vi è  rievocato, neppure tanto larvatamente, con quella pelle mimetica che vi compare, lasciando immaginare quest'acqua nelle paludi che affiancavano il Mekong, affollate di Vietcong, piuttosto che in placide distese d'orizzonti vacanzieri.



Non possiamo dire che questa casa sia bella, secondo canoni ai quali siamo abituati, o che tantomeno  sia solare e serenante. Anzi ci appare un po' cupa e inquietante. Colpisce, di essa (non si sà se commissionata o semplicemente ispirata all'omonimo imprenditore torinese da cui prende il nome) la straordinaria inconsistenza sia strutturale che dell'involucro, nonchè l'inedito rapporto tra la concezione razionalista e l'arcano acquatico inserimento paesistico, la cui pelle richiede stranamente di mimetizzarsi. La stessa sua funzione ne risulta da tutto ciò  quasi compromessa, priva come è d'un qualsiasi aggancio con la realtà.
Un luogo per l'isolamento ed una vita in tranquillità? Non sembrerebbe dalla assoluta assenza di supporti alla quotidianità (servizi, camere?), oppure ove mettersi in meditazione? Le poche e scarne funzioni, tutte incentrate sul personaggio che anche se assente impregna i muri della sua prresenza, ricordano quelle della casa di Capo Massullo (Libera-Malaparte), anche se in contesti diversi: ampio locale aperto solo sull'infinito unidirezionale, caminetto quale fondamento d'un calore che non c'è, onirica scala alla superiore terrazza protetta agli sguardi, anch'essa, come là, per vivere l'immensità dell'aria, della luce, del sole, o la brezza fresca della notte. Come quella, anche questa parla i linguaggi dell'ambiguità, dai contorni di supence poco delineabili.



Il soggiorno di Lapo House è una ampia superficie di 370 mq di pianta libera, difficilmente catalogabile. Si fatica ad immaginarne un uso che non sia quello d'ambientarvi un film di Jan Luc Godard, ove si muovano al massimo un paio di personaggi incomunicabili, che muovano da un piano all'altro alla ricerca d'una collocazione stabile, senza trovarla, rincorrendosi e distaccandosi tra pause di lunghi silenzi.


Da qui se ne può dedurre una destinazione fontamentalmente rappresentativa, od auto-celebrativa: qualcosa che stia tra l'esigenza di provarsi, di sperimentarsi, e quella di comunicare uno stile, che occorre a vestire un personaggio, a creare un mito ed a moltiplicarlo nell'immaginario del suo pubblico. Ne esce un'opera architettonica surreale perchè proiettata, più che in un sogno più o meno ludico, più o meno collocato nei contorni del fantastico-infantile (come tante ne abbiamo viste anche nel recente passato), in un astratto e anomico mondo di fantascienza, dai poteri illimitati.
 

Renderings del modello sezionato e visto dall'alto, che rivela l'essenzialità della scatola rispetto alla struttura della sua pelle. Come un crostaceo la forza è tutta esterna, per proteggere un involucro fragile ma fortemente tecnologico. le ampie intercapedini non solo proteggono dagli eventi esterni e ne isolano l'ambiente interno, ma consentono, come profetizzava Reiner Banham negli anni '60, "the well tempered environment", mediante massiccio utilizzo di tecnologia. Questo è però forse il limite imposto da nuove regole scritte negli anni '10 del secolo successivo, allora non previste.



Non è estranea la cultura francese da tal genere di esiti.  Pensando a un percorso che Jean Prouvé collega a Yona Friedmann, salutiamo tal genere di proposta come fattore di utile fermento, come segnale d'una ripresa benefica di creatività, dalla "testa nelle nuvole" ma anche in grado di vantare, con l'ottimismo dell'enigma, la concretezza "dei piedi per terra".

Enrico Mercatali
Lesa, 19 maggio 2013
(dedicato a Vanessa P.)

13 May 2013

Abbiamo incontrato a Milano Daniel Libeskind, poeta-architetto newyorkese e milanese (di Enrico Mercatali)



Abbiamo incontrato a Milano Daniel Libeskind

profugo polacco trapiantato in america, architetto-poeta, newyorkese e milanese, diviso tra  meticoloso impegno d'artista e fulgida professione al servizio del capitalismo più avanzato.

Tenacia ambigua o poliedricità geniale?



Due momenti della Lectio Magistralis tenuta da Daniel Libeskind presso City Life a Milano l'11 maggio 2013, nel corso degli incontri avvenuti tra il famoso architetto del Museo dell'Olocausto di Berlino e gli architetti convenuti in occasione del "Casalgrande Padana Awards" (foto di Enrico Mercatali)


E' stato un vero piacere incontrare questo Deus Ex Machina che da anni riempie le pagine dei giornali e delle riviste specializzate di architettura coi suoi progetti polemici e discutibili, i suoi interventi spiazzanti, le sue bizzarre forme di presenzialismo onnivoro, le sue reralizzazioni roboanti, dal peso davvero notevole in mole e quantità in ogni parte del mondo ove ci sia dibattito serio sulle cose da fare e sulle soluzioni da individuare.
Perfino Milano ha fatto di lui un eroe, pronto a prodigarsi e a recedere quando necessario, per dire comunque la sua, che non manda a dire nulla che non sia già frutto d'una gare al rialzo, a dirla più forte, a caratterizzarsi come potente e scandalistica, ed esprimersi come prima ma anche come ultima parola.

 
Daniel Libeskind, Berlino, Museo Ebraico


Abbiamo spesso detto male di lui, non avendolo mai conosciuto di persona, e poco approfondito il carattere realmente combattivo e franco che ne guida la partecipazione e l'impegno, ma siamo ora ancora noi che ne decliniamo gli aspetti positivi, che pur vi sono in abbondanza, in questo paladino dell'architettura che urla se stessa nel mondo per dire innovazione, modernità, forza delle idee, conoscenza e divulgazione di ragione.



Qui sopra: Daniel Libeskind, Berlino, Museo Ebraico. Dettaglio di facciata.
Sotto: uno schizzo dell'autore dello stesso Museo


Le nostre perplessità circa l'opera di questo architetto del nostro tempo, che pur persistono circa alcuni aspetti che la connotano come estrema, talvolta, nelle forme più forzate, ora si stemperano però, a fronte d'una conoscenza più diretta, e direttamente sperimentata, della personalità colta e forte, convincente, del suo autore, che ci spinge ora a rivedere onestamente parte dei giudizi su di lui già espressi, a riconsiderarne gli eccessi, cogliendo il meglio anche dove non  sembra facile o fattibile operazione.


La lecture che Libesskind ha tenuto ieri, di fronte ad oltre 600 convenuti nella grande sala provvisoria dell'immenso cantiere milanese il cui progetto porta il suo nome, ha visto trattati i tre maggiori momenti dell'avventura artistica che lo riguarda dopo che avviò la professione d'architetto non appena giunto profugo a Milano, dalla Polonia, con madre e figli (una figlia nacque proprio a Milano): il primo concerne l'opera che lo ha reso famoso consacrandolo subito tra i maggiori architetti viventi: il Museo Ebraico a Berlino, il secondo quello che lo ha visto antagonista tra i maggiori studi del mondo per accaparrarsi il primato della ricostruzione dell'area di Ground Zero a New York, subito dopo l'11 settembre del 2001 (ricorda lui lo strenuo dibattito con l'amico e collega londinese Norman Foster), ed il terzo quello che avevamo l' a fianco, mentre parlava, che lo ha visto protagonista, assieme al giapponese Arata Isozaki e all'iraniana-londinese Zaha Hadid, della discutibilissima  "grande ripresa immobiliarista" della crescita milanese, voluta ed in parte realizzata dall'ex sindaco di Milano Letizia Moratti, ovvero "City Life", grande complesso edilizio nel verde nell'area che fu dell'ex Fiera Campionaria milanese, entro il quale domina la strana forma a spirale ascendente del Nuovo Museo della Moda (che è stato ormai dato quasi per certo che non si farà a causa della mancanza di fondi).




 L'interessante lecture di Daniel Libeskind, avvenuta con l'accompagnamento spettacolare di proiezioni di grande formato sulle pareti della sala delle fotografie delle opere delle quali andava parlando e soprattutto dei numerosissimi disegni che ne hanno determinato l'ideazione originaria, ha messo in luce le problematicità delle rispettive commissioni di lavoro, colte come occasioni per dare massima espressione più ai loro nodi più difficili piuttosto che ai loro aspetti meno complessi o intuitivi: e così in modo del tutto speciale nel Museo berlinese, che anche noi a suo tempo avevamo visitato e per il quale ci furono spiegati i complessi fattori di tensione degli impliciti messaggi, egli, attraverso gli schizzi preparatori, ce ne mostrava i presupposti.



Sopra: Daniel Libeskind, New York, un rendering dei grattacieli che attorniano il Groun Zero e del Memorial dedicato all'attacco dell'11 Settembre 2001 Memorial. Sotto: dello stesso autore il progetto vincitore del concorso per la ricostruzione di Groun Zero


Ma anche nel gruppo dei grattacieli che attorniano il Trade Center Memorial, a New York, si trattava di ricreare, sì, volumetrie che erano venute a mancare, necessarie a ridare sede a molte delle aziende che le avevano perdute, ma anche a rendere capace di senso permanente lo sfondo di quella voragine divenuta presto "simbolo primario della democrazia e della libertà", come lui stesso ha voluto sottolineare.


Il poderoso sforzo della rapida ricostruzione forse non a caso ha puntato tutto sulla tenacia che Daniel Libeskind, fin dall'inizio, vi ha saputo infondere, certo più di altri, capace di dimostrare, attraverso il suo carattere forte e impetuoso, di poterne avere a sufficienza. 
Abbiamo assistito noi stessi, nel corso di una intera giornata, lo svolgersi frenetico e mastodontico dei lavori dell'impressionante cantiere, mentre già si stava terminando la posa delle facciate continue del grattacielo più alto d'America, quando ci siamo recati in visita al Memorial, presso Wall Street, ed abbiamo pensato quanto complessa possa essere stata quella progettazione. La conferma ce l'ha data Libeskind in persona ieri, quando ce ne mostrava le immagini, e quando ci diceva che la parte preponderante di quei lavori è stata quella d'arginare in sotterraneo la fortissima pressione delle acque circostanti Manhattan sulle fondazioni dell'edificio.



Daniel Libeskind, Milano, City Life. Alcune immagini del complesso edilizio progettato  dall'architetto newyorkese-milanese, ed in corso di realizzazione, evidenziano, accanto ad una tipologia edilizia abitativa ad alta densità, abbastanza consueta nell'urbanistica milanese, la particolare enfasi formale, più convincente, adottata dal progettista nelle parti alte degli edifici, nelle quali gli appartamenti sviluppano stereometrie più libere a piu piani ed a varie altezze.


La storia di Milano è assai più semplice e perfino frivola, al confronto. Uno dei motivi per cui Daniel Libeskind se ne è innamorato: egli vive la città come fosse la sua seconda città, e la abita per molti mesi dell'anno. Beh!, non difficile da credere, data la quantità di progetti che sono stati a lui assegnati in questa città, molti dei quali già in avanzata fase di realizzazione. Ed è comprensibile che lui, in quanto architetto, sia stato attratto da tanta volumetria disponibile per la sua matita prima, e la sua gloria futura! Ma la storia milanese è meno edificante, per diversi motivi, che certo la Storia, quella vera, riporterà in luce, dopo l'ubriacatura morattiana per i grandi numeri legati all'edilizia, per gli amici imprenditori, per le firme prestigiose (tutte straniere!), per l'internazionalizzazione delle funzioni fieristiche, e quindi, per l'incremento esponenziale delle volumetrie costriuibili per uffici e residenze temporanee. In un momento in cui la popolazione urbana rendeva evidente il suo affanno per le conseguenze della recessione economica, prima di tutto per la riduzione dei posti di lavoro e l'aumento del costo della vita, che rendevano urgenti le politiche sociali e per la casa, con la necessaria ripresa dei cantieri per l'edizia economica e popolare, l'Amministrazione cittadina operava queste scelte, che da un lato vedevano forti previsioni di crescita della popolazione, e dall'altro il concentrarsi delle politiche edilizie sull'abitazione di lusso e sugli uffici.
La storia è in corso. Già il grande insediamento di Santa Giulia, firmato Norman Foster, nelle aree di Sud Est presso San Donato, hanno dimostrato il loro sostanziale fallimento. Ora si sta assistendo, per le aree più centrali in costruzione, tra cui quella che abbiamo detto sopra, ad una assai difficoltosa vendita delle unità abitative e per uffici, dati i loro elevatissimi costi. Il previsto Museo della Moda è stato cancellato dai progetti iniziali, perchè impossibile da finanziare, almeno per il momento. I numerosi negozi nell'area Garibaldi, nel recente intervento progettato dall'architetto Cesar Pelli, non si riescono a vendere. Siamo ora interessati a vedere quanto delle previste aree verdi si riusciranno a realizzare.



Daniel Libeskind, Milano City Life, l'interno di uno degli appartamenti a due piani dei piani alti dell'edificio. Le superfici sono caratterizzate da una estrema luminosità, controllata da shed, griglie frangisole, tendaggi, e da una ampia vista che spazia tutt'attorno. La trasparenza è accentuata dall'utilizzo di superfici in cristallo sia sulle ringhiere delle terrazze, sia nelle scale e parapetti dei soppalchi. La tipologia di questi interni ricorda quella già utilizzata da Mangiarotti e Morassutti nella torre di via Quadronno, all'inizio degli anni '60. Essa rivela la tendenza della città a proporsi come luogo di residenza qualificata e di lusso anche temporanea,  per ceti legati alle professioni, all'imprenditoria e al management, che utilizzano la città prevalentemente a scopo lavorativo e affaristico


E' col desiderio di vedere almeno concluse tali iniziative già intraprese, che speriamo ora di vedere il Comune di Milano orientato ad una serie di politiche più attive e responsabili nella realizzazione di quartieri semicentrali e periferici di edilizia economico-popolare. Per  questi, accanto all'auspicato primario contributo degli architetti italiani, vorremmo anche vedere quello delle archistars, non foss'altro per conoscerne i più autentici risvolti del loro talento, si ben dimostrato altrove,  ma ancor più necessario ove occorra maggiore fantasia e abilità per l'operare coi materiali più poveri, con minori risorse, e con l'esigenza di davvero creare forme alternative di socialità, di vita collettiva e comunitaria. Poichè certamente è più difficile, di quella lussuosa illustrata in questo articolo,  l'edilizia economica, di cui urgentemente necessita la città, della quale si spera di vedere avviare al più  presto  i cantieri, vorremmo che fosse la spiccata e metodica creatività del "milanese" Libeskind a cimentarsi anche in questo settore, che necessita di idee e di talento così come è avvenuto finora soltanto per l'altra Milano.


Enrico Mercatali 
Milano, 11 maggio 2013

09 May 2013

"Boy with Frog" by Charles Ray a Punta Dogana - Venezia. La scultura viene rimossa definitivamente.



  
Una rana che divide critici di mezzo mondo

Si scontra la critica artistica con l'Amministrazione veneziana per l'asportazione da Punta della Dogana del "Ragazzo con la rana", gruppo scultoreo dell'artista americano  Charles Ray




Un adolescente che ha raccolto una rana, e la stringe nella sua mano destra, guardandola. Il ragazzo, completamente nudo, è proprio sul bordo della riva, di fronte all'acqua del Bacino di San Marco, a Venezia. Egli guarda il suo trofeo volgendo lo sguardo verso Riva degli Schiavoni, tra Palazzo Ducale e l'Isola di San Giorgio.
Oggi è l'ultimo giorno di vita di questa scultura in quel luogo, nel quale fu collocato dall'anno 2009,  in occasione della apertura del Museo della Fondazione Pinault. Alle raccolte d'arte di questo museo essa appartiene, come è appartenuta alla Città di Venezia in questi anni, fino ad oggi da allora, ed all'intero mondo dell'arte che in essa vedeva, apprezzandola come opera in sè e per ciò che ha rappresentato  il suo inserimento in laguna, una proposta di sintesi d'alto livello tra la città storica e la contemporaneità, una capacità di accoglienza e di scambio tra il mondo antico e moderno, una forte attualizzazione del necessario allineamento di Venezia alle spinte propulsive che la vorrebbero sempre al passo coi tempi pur senza stravolgere le più intime pieghe del suo unico carattere.




L'Amministrazione ha deciso: al posto del Ragazzo con La Rana, dell'enigmatico scultore contemporaneo di Chicago ricollocherà un lampione di ghisa ottocentesco, analogo agli altri lampioni che forniscono pubblica luce all'intera area.



Qui sopra: Venezia, Punta della Dogana, the "Boy with frog", 
dell'artista di Chicago Charles Ray,  qui in una bellissima foto notturna. 
Sotto al titolo: La statua vista da dietro, avente come sfondo il bacino di San Marco
(foto di Enrico Mercatali)


Il mondo dell'Arte è insorto, a partire dai suoi nomi sacri americani: Carol Vogel dalle pagine del New York Times ne ha stigmatizzato l'evento. Jerry Saltz, dal New York Magazine ha scritto: "Benvenuti alla farsesca versione di Morte a Venezia", aggiungendo senza peli sulla lingua: "I politici italiani hanno troppa paura di difendere l'arte contemporanea e il nudo. Essi hanno dato ascolto ad un manipolo di persone che ignorano l'arte contemporanea, asporttando il Ragazzo con la rana, mettendovi al suo posto un banale lampione. Spira il vento dell'idiozia".

E' vero che il permesso originario era stato dato per una esposizione temporanea, più volte rinnovato, ma è anche vero che in questi ultimi anni la scultura si era guadagnata la simpatia di un vastissimo pubblico di persone, non solo di artisti e critici, che certamente la vedevano ormai come un fatto acquisito, innalzandola ad icona, quasi, di quella necessità ormai da tutti riconosciuta di estrarre Venezia dal quella condizione di mummificazione perpetua alla quale sembrava e sembra tuttora  condannata, restituendole invece il volto di una città normale.




E' vero che esistono contratti, convenzioni, patti detti e scritti che da tempo avevano sancito lo scadere dei termini che erano stati originariamente previsti quanto a durata dell'esposizione della statua sul suolo pubblico di venezia. Ma è vero anche che il giovane fanciullo, dall'aria tranquilla e un po' estranea a tali fatti, si era fatto largo tra il pubblico comune, che aveva accumulato nel tempo estimatori da ogni dove, e perfino appassionati amanti di quel sito veneziano, come noi di Taccuini,  che anche, e forse soprattutto, per merito suo, aveva guadagnato in bellezza e fascino, in piacevole balcone, da lui sapentemente custodito e serenato, aperto sul frammento di mare più bello e famoso del mondo. Noi, che siamo cresciuti col mito di Venezia "meravigliosa conferma di charme", che non ci siamo mai sottratti, neppure una volta, ad una visita alla città almeno una volta all'anno, eravamo soliti andare alla Punta di Dogana, da quando il bell'adolescente vi aveva messo radici, per goderci l'attimo fuggente d'una sosta d'ampio respiro, d'un sentire in pieno consapevole piacere  d'essere nel cuore della bellezza, e di assaporarne ogni molecola fin che ci fosse possibile. Quello stare lì, con il fanciullo estatico, era diventato simbolo, per noi, d'ogni ricchezza che in noi quella serenissima città avevamo col tempo ereditato, memori d'ogni suo lascito.




Anche i critici italiani hanno fatto fronte comune con i colleghi d'oltre oceano, denunciando la solita incapacità che il nostro il nostro Paese ha di cogliere occasioni per migliorarsi e per crescere. A volte, come questa, le occasioni sono perfino a costo zero. Piuttosto che ricollocare un banalissimo lampione, meglio sarebbe stato che l'Amministrazione avesse optato per un accordo con la Fondazione Pinault che assicurasse un ricambio delle opere, in quel magico punto della città, così trasformando quello che era stato un accadimento del tutto fortuito in un fatto di cultura permanente, capace di destare una ancor maggiore curiosità. Sarebbe diventata una gare anche tra artisti, i quali avrebbero proposto quelle opere da loro ritenute più adatte allo spirito del luogo. E' in questo senso forse che Achille Bonito Oliva, per l'occasione, ha detto che Venezia avrebbe bisogno d'una "realtà più fluttuante", così intendendo necessaria una operazione di intervento pubblico capace di spalmare, col concorso dei privati, le manifestazioni lungo tutto l'arco dell'anno, evitando i bruschi passaggi dalla concentrazione delle full immersions di Biennale e di Palazzo Grassi all'immobilità più totale. "Ci vuole", egli ha detto, "più ammodernamento senza stravolgimenti. L'opera di Ray non era affatto invadente, non squalificava il landscape veneziano; quel ragazzo se ne stava lì con molta discrezione".



Tesi dell'Amministrazione è che la Repubblica dei Dogi non aveva acconsentito la collocazione di statue lungo campi e calli della città, se non per le uniche eccezioni costituite dalle figure di Bartolomeo Colleoni e Carlo Goldoni, e, naturalmente di tutte quelle che solo a partire dall''800 vi sono state poste. Per questo, se si dovesse incominciare ora un percorso diverso, in breve ogni luogo della città ne sarebbe colmo.
Anche Ray ha espresso il suo parere: "Ho creato un'opera pubblica, pensata e studiata per quel luogo. Ho a lungo meditato sulla giusta scala che l'opera dovesse avere per farne il miglior inserimento possibile (la statua, che è in acciaio smaltato, non è infatti a scala naturale, essendo alta 2,50 m).

Non sarà facile, ma noi ancora speriamo che si faccia marcia indietro, restituendo al "sito magico" le sue imperscrutabili doti di "bellezza creata ad arte". La nostra proposta è quella più sopra esposta, di tentare un fascino ogni volta nuovo e discreto, "rinnovando senza stravolgere".




Venezia, la statua settecentesca a Carlo Goldoni, unico esempio, con il monumento a Bartolomeo Colleoni, di statuaria urbana preottocentesca veneziana


Lesa, 7 maggio 2013
Enrico Mercatali