Vincenzo Gemito
in mostra a Milano al GAM di via Palestro
Sopra e sotto al titolo: di Vincenzo Gemito "Il pescatorello", la sua scultura forse più famosa, in due foto di repertorio, la prima di fine ottocento e la seconda anni '50, che ne mostra la collocazione nel fulcro dei giardini botanici di Villa Taranto a Verbania.
Qui sotto una fotografia - ritratto dello scultore napoletano (1852 - 1929).
Verranno riaperti al pubblico in questi giorni di fine settembre i depositi dalla GAM milanese di via Palestro: oltre 900 sculture d'ogni dimensione e materiale, prevalentemente appartenenti al periodo a cavallo tra i secoli XIX e XX. Un'affascinante tuffo nell'arte discreta e un po' sognante del tardo romanticismo lombardo e della scapigliatura sarà perciò, in un labirinto di temi e sentimenti oggi un po' consunti, ma certamente più che mai necessari per riscoprire un passato pieno di fascino e mistero.
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(l'articolo, di Enrico Mercatali, continua. Clicca qui sotto.
Un artista, Gemito, che poco ha fatto parlare di sè, e quasi un po'
dimenticato, nonostante la bellezza delle sue opere, e la grande
dimestichezza con le tecniche dell'immediatezza: le sue opere migliori,
le più fresche e le più sentite sono proprio gli schizzi a penna o a
matita, gli studi pittorici appena abbozzati, le sculture realizzate in
cera o creta. Egli non amava il marmo, proprio perchè ostiche in lui le
tecniche del sottrarre e del levigare pian piano; la sua arte era
immediata, come del resto la stessa accademia insegnava nell'ambito dei
movimenti pittorici e scultorei in voga in quel periodo. Ma proprio per
questo la sua esperta e sicura mano sapevano dare risultati sorprendenti
quando si trattava di "cogliere l'attimo", e di fare l' "istantanea"
ante litteram dei soggetti fuggevoli da lui preferiti, quale il
"Pescatorello", la "Cantatrice", il "Malatiello", l"Adolescente", il
"Fanciullo del popolo che offre acqua ai passanti", il "Bimbo che
legge".
Sopra: V. Gemito, 1886 - Testa di Anna Gemito
V. Gemito, 1926 - Ritratto di Raffaele VivianiV. Gemito, Il "Giocatore di carte", Il "Pescatorello" (secondo esemplare)
V. Gemito, Busto di Verdi (conservato presso la Casa-ricovero dei musicisti a Milano)
"Nel giovanotto campano rivive l'anima di uno statuario ateniese"
ebbe a dire di lui Gabriele d'Annunzio, mentre Alberto Savinio,
avendone avuta la meddesima impressione quando ne vide le opere,
commentò: "E' il delegato della Grecia del V secolo presso la Napoli
dell'ottocento". Entrambi i commenti avvertivano nella sua scultura
qualcosa di profondamente classico, nonostante si stesse parlando di
un'età fortemente connotata dai più romanci accenti. Certamente egli fu
un grande ammiratore dello stile classico, ma ebbe anche da abbeverarsi,
lavorando per i Borbone, della più pittoresca umanità popolare che i
vicoli partenopei sapevano offrire agli occhi d'una interpretazione
realistica dei suoi soggetti. Lo stesso ritratto che lo fece famoso al
suo tempo che fece per Giuseppe Verdi, oggi esposto nella sede della
Casa di Riposo per Musicisti a Milano, denunciava questo mix di austera
reverenza per l'aura della pagana immortalità e di virtuoso realismo che
ne costituiva la personalissima e fortunata cifra.
Autoritratto (terracotta)
"L'acquaiolo" (bronzo)
Furono forse i tratti della follia,
che lo videro fuoriuscito da un orfanotrofio e poi fuggitivo da un
manicomio, ad avergli donato quel guizzo che lo sapeva
contraddistinguere, mentre aggiornava poi il suo istinto d'artista,
aggiungendovi qualità ed esperienza, nei più elevati salotti del potere
d'allora (i Savoia ed i Borbone) o nelle più appassionanti amicizie
(quale quella che intrattenne con Mariano Fortuny, sia a Portici che a
Parigi).
Enrico Mercatali,
Lesa, 25 settembre 2012
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