Il 6 maggio 1611 fu stupro
La futura arte d'Artemisia si sarebbe tinta di rosso
Artemisia Gentileschi, Autoritratto con il liuto - 1617-18.
Olio su tela cm 65,5 x 50,2, Minneapolis, Curtis Gallery, Minnesota
Artemisia Gentileschi
la temibile pittoressa barocca
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di Enrico Mercatali
Una analisi del quadro in chiave psicologica induce buona parte della critica contemporanea a vedervi un desiderio femminile di rivalsa rispetto alla violenza sessuale subita da parte di Agostino Tassi, l'anno prima. Ma la lettura più giusta e suggestiva è stata sicuramente quella che ne ha dato Roberto Longhi nel lontano 1926: " Chi penserebbe - dice Longhi - che sopra un lenzuolo studiato di candori e ombre diacce degne d'un Vermeer a grandezza naturale, dovesse avvenire un macello così brutale ed efferato [...] Ma - vien voglia di dire - ma questa è una donna terribile! Una donna ha dipinto tutto questo?» ed aggiungeva «[...]che qui non v'è nulla di sadico, che anzi ciò che sorprende è l'impassibilità ferina di chi ha dipinto tutto questo ed è persino riuscita a riscontrare che il sangue sprizzando con violenza può ornare di due bordi di gocciole a volo lo zampillo centrale! Incredibile vi dico! Eppoi date per carità alla Signora Schiattesi – questo è il nome coniugale di Artemisia – il tempo di scegliere l'elsa dello spadone che deve servire alla bisogna! Infine non vi pare che l'unico moto di Giuditta sia quello di scostarsi al possibile perché il sangue non le brutti il completo novissimo di seta gialla? Pensiamo ad ogni modo che si tratta di un abito di casa Gentileschi, il più fine guardaroba di sete del Seicento europeo, dopo Van Dyck".
Sotto: Artemisia Gentileschi, Giuditta decapita Oloferne - 1620-21. Firenze, Galleria degli Uffizi
Caravaggio, Giuditta decapita Oloferne - 1599-1600
Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Barberini.
Una ghiotta occasione perciò, sia per esperti che per il grande pubblico amante dell'arte, per rimettere a posto le carte un poco ingarbugliate d'una vicenda artistica, a volte controversa, e per attribuire il giusto spessore ad una figura d'artista e di donna tanto ricca e complessa, quanto affascinante, sia sotto il profilo artistico che umano, dopo le occasioni che vi sono state in passato a Palazzo Reale.
Tra queste la mitica mostra curata da Roberto Longhi nel 1951 "Caravaggio e i caravaggeschi" e le più recenti "Caravaggio e l'Europa" del 2005 e "l'Arte delle donne", del 2008, che hanno contribuito a far conoscere e ad affermare l'arte della "pittora", non considerata, fino a qualche decennio fa, se non una propaggine della bottega del padre Orazio Gentileschi, pittore considerato di grande talento fin dai suoi tempi.
Ma mai come in questa mostra che oggi vediamo a Milano s'è potuto assegnare ad Artemisia la caratura d'una vera grande protagonista dell'arte del suo tempo, appartenente sì al filone dei cosiddetti caravaggeschi, per fonte di ispirazione stilistica, ma anche pienamente autonoma nell'esprimersi con mano sicura e talento di grande artista sulla scena del barocco, italiano in prima istanza, e poi europeo.
Questo nuovo sguardo d'assieme sulla sua vicenda d'artista trae origine certamente dall'essere lei, prima di tutto, una donna, la quale ha saputo imporre con maggiori difficoltà quindi la sua opera al cospetto dei potenti del suo tempo, committenti a volte d'eccezione, che seppero subito vedere l'alta qualità di quell'arte, capace di imporsi per l'estrema forza interpretativa dei suoi temi, capace di tradurre in forme personali la lezione caravaggesca d'una potenza intrinseca all'uso violento della luce, dall'esasperazione compositiva dei piani diagonali, ma anche, e forse soprattutto come dato personale, veicolo d'una potenza visiva inusitata ancora per quei tempi, specie nei soggetti religiosi, la cui origine sappiamo derivare soprattutto dai solchi profondi che la tragica biografia personale ha segnato nella sua vita di donna emancipata, ma anche nella cultura e nella pratica d'una artista emotivamente coinvolta nello spirito difficile e cupo del suo tempo.
Artemisia Gentileschi, Danae - 1612 circa. Saint Louis, The Saint Louis Art Museum
Artemisia Gentileschi, Giaele e Sisara - 1620. Budapest, Szépmuvészti Museum
Artemisia Gentileschi, 1635-40, La ninfa Corisca e il satiro.
Collezione privata L. Pedicini, Napoli
Artemisia Gentileschi, Giuditta con la sua ancella - 1614-20.
Firenze, Palazzo Pitti
Artemisia Gentileschi, Lucrezia. 1623-25 Collezione privata
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di Enrico Mercatali
Sopra: Artemisia Gentileschi, Guuditta decapita Oloferne - 1612 circa. Napoli, Museo nazionale
Il quadro (olio su tela cm 159x126) fu dipinto da Artemisia quando aveva 19 anni.
Sotto: Artemisia Gentileschi, Giuditta decapita Oloferne - 1620-21. Firenze, Galleria degli Uffizi
Caravaggio, Giuditta decapita Oloferne - 1599-1600
Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica, Palazzo Barberini.
La Mostra su Artemisia Lomi Gentileschi a Palazzo Reale, per la curatela di Roberto Contini e Francesco Solinas, allestita con dosato equlibrio da Emma Dante, è la più completa che mai sia stata realizzata sin qui della pittrice, avendovi riuniti una cinquantina di dipinti da ogni parte del mondo, non poi tanti di meno di quelli che lei stessa realizzò in tutta la sua vita.
Una ghiotta occasione perciò, sia per esperti che per il grande pubblico amante dell'arte, per rimettere a posto le carte un poco ingarbugliate d'una vicenda artistica, a volte controversa, e per attribuire il giusto spessore ad una figura d'artista e di donna tanto ricca e complessa, quanto affascinante, sia sotto il profilo artistico che umano, dopo le occasioni che vi sono state in passato a Palazzo Reale.
Tra queste la mitica mostra curata da Roberto Longhi nel 1951 "Caravaggio e i caravaggeschi" e le più recenti "Caravaggio e l'Europa" del 2005 e "l'Arte delle donne", del 2008, che hanno contribuito a far conoscere e ad affermare l'arte della "pittora", non considerata, fino a qualche decennio fa, se non una propaggine della bottega del padre Orazio Gentileschi, pittore considerato di grande talento fin dai suoi tempi.
Artemisia Gentileschi, Giuditta e la fantesca Abra con la testa di Oloferne - 1607-10 circa. Olio su tela cm 130 x 99. Roma, collezione Fabrizio Lemme.
Il quadro, realizzato all'interno della bottega di Orazio Gentileschi, padre di Artemisia, è stato eseguito dalla giovane precoce pittrice dall'età di 14 anni fino ai 17. L'attribuzione è controversa, e propende per un quadro a due mani, ove però domina quella di Artemisia su quella del padre.
Ma mai come in questa mostra che oggi vediamo a Milano s'è potuto assegnare ad Artemisia la caratura d'una vera grande protagonista dell'arte del suo tempo, appartenente sì al filone dei cosiddetti caravaggeschi, per fonte di ispirazione stilistica, ma anche pienamente autonoma nell'esprimersi con mano sicura e talento di grande artista sulla scena del barocco, italiano in prima istanza, e poi europeo.
Sopra:Artemisia Gentileschi, Susanna e i vecchioni - 1610.
Collezione Graf von Schönborn, Pommersfelden (questo quadro è stato dipinto da Artemisia all'età di 18 anni, contribuendo a farla ammettere, prima volta nella storia per una donna, alla fiorentina Accademia del Disegno, fondata da Giorgio Vasari.
Sotto: Artemisia Gentileschi, Susanna e i vecchioni - 1649, Brno, Moravska Galerie Brne (quest'opera è stata dipinta 40 anni dopo la prima nell'atelier napoletano).
Più sotto: Artemisia Gentileschi, Susanna e i vecchioni - 1622. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca e Archivio (quest'opera è stata dipinta 40 anni dopo la prima nell'atelier napoletano)
Artemisia Gentileschi, Danae - 1612 circa. Saint Louis, The Saint Louis Art Museum
Artemisia Gentileschi, Giaele e Sisara - 1620. Budapest, Szépmuvészti Museum
Ella si formò fin da giovanissima alla bottega del padre Orazio Gentileschi e fu lì che ancora adolescente prese in mano i pennelli per aiutarlo nelle sue opere più complesse. Già a 18 anni Artemisia dipinse un quadro importante (che possiamo vedere nella mostra di Milano), "Susanna e i vecchioni" (Lincolnshire, Burhlei House Collection), e, a 19 il suo quadro più famoso, e pubblicato nei libri di storia dell'arte, "Giuditta che dacapita Oloferne, del Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli.
Artemisia Gentileschi, 1635-40, La ninfa Corisca e il satiro.
Collezione privata L. Pedicini, Napoli
Questo quadro ha contribuito a farla ammettere, per la prima volta nella storia per una donna, alla fiorentina Accademia del Disegno, fondata da Giorgio Vasari). Proprio in quell'anno Artemisia subì il terribile oltraggio che la segnò per tutta la vita e che, possiamo oggi affermare con estrema certezza, ebbe un impatto decisivo, oltre che sulla sua personalità, anche sulla sua arte: il suo corpo di fanciulla venne violato, proprio nell'ambito dello studio nel quale lavorava, da Agostino Tassi, pittore e collaboratore del padre Orazio alla Sala del Concistoro e dell'appartamento del cardinal Lanfranco Margotti in Quirinale.
Artemisia Gentileschi, Giuditta con la sua ancella - 1614-20.
Firenze, Palazzo Pitti
Artemisia Gentileschi, autoritratto, come donna martire, ca. 1615, Collezione privata
Il Tassi, dopo la violenza perpetrata sulla ragazza, la convinse a continuare nella relazione per i successivi nove mesi. Artemisia fu madrina al battesimo del figlio di Pedro Hernandez, come questi dichiarò al successivo processo per stupro. Ma Orazio decise in seguito di denunciare pubblicamente il Tassi circa l'accaduto (forse per ragioni più professionali che morali), inviando una supplica perfino al Papa Paolo V.
Il fatto reso pubblico ebbe a suscitare scalpore nella comunità artistica romana, anche per i numerosi artisti che furono chiamati come testimoni al processo. Iniziò da quell'episodio, abilmente utilizzato dal padre Orazio per promuovere, della figlia, le capacità pittoriche e le qualità artistiche, sicuramente già notevoli allora, una vera e propri opera di promozione del nome di Artemisia, oltre che alla corte papale (per la quale egli stava già lavorando, anche presso la nobiltà romana e fiorentina più in vista, tra cui la granduchessa Cristina di Lorena).
Artemisia Gentileschi, Lucrezia. 1623-25 Collezione privata
Il Tassi venne condannato e finì nelle galere papaline, ma finì per scontare ben poco il delitto. Artemisia, il 29 novembre del 1612 sposò Pierantonio Stattesi, fratello di GiovanBattista, amico di Orazio. Si sostiene che Pierantonio accettò per interesse di sposare una ragazza disonorata, essendo egli debitore di Orazio. Ma già nel 1613 la coppia si trasferisce a Firenze, e la vita di Artemisia ebbe una svolta. Da un punto di vista artistico ella però è già lanciata, sia per l'interessamento del padre, come abbiamno visto, sia perchè di fatto è la sua arte a parlare per lei, già ricca e matura sia nell'impianto che nello stile.
Già all'età di 18 anni infatti aveva al suo attivo numerose tele che portavano il suo nome, tra cui quella "Susanna e i vecchioni" che contribuì a farla ammettere all'Accademia del Disegno, fondata da Giorgio vasari, rendendola nota negli ambienti principeschi e nobiliari del tempo, il cui tema riprese in più occasioni successive. Inoltre portava a termine la "Giuditta con la fantesca Abra con la testa di Oloferne" che aveva avviato assieme al padre Orazio fin da quando aveva 14 anni. Mentre a 19 anni completava quella prima "Giuditta decapita Oloferne", giusto un anno dopo aver subìto l'onta da parte di Agostino Tassi, evento che segnò tutta la sua vita, non tanto per motivi morali, quanto per la traccia psicologica che impresse in lei, che inevitabilmente si tradusse nelle fondamentali scelte artistiche che i suoi quadri ampiamente rivelano.
La biografia di Artemisia, da allora, evidenzia una vita assai movimentata, dal grande numero dei suoi spostamenti da una città all'altra della penisola, alla sua capacità di tessere in ognuna di esse, appena giunta, rapporti proficui con la sua committenza, impiantando botteghe d'alto livello sia dimensionale che qualitativo. Ma ella fu anche madre di numerosi figli, ebbe amanti e storie passionali d'amore. Quanto la sua arte fosse profondamente intrisa ti tali avvenimenti, e quanto segnata da una personalità tanto forte venne messo in risalto da numerosi studi, e dal parere d'altrettanti critici, che vollero sondare, attraverso la sua vicenda personale, i tratti di un'arte tanto sanguigna, per appartenere ad una donna, e così determinata nelle sue crude fattezze, sia di forma che colore, ma pur tanto capace di sensibilità artistica e di genuina maestria che solo da una grande artista potrebbe rivelarsi.
Artemisia Gentileschi, Maddalena - 1630 circa. Collezione privata
"La Giuditta dacapita Oloferne - scrive Judith W. Mann nel catalogo della mostra - è diventata una immagine famosa che ha profondamente influenzato la lettura della sua arte e dato origine a una grande varietà di interpretazioni da parte degli studiosi (...). Alla luce della biografia della pittrice alcuni autori non hanno resistito alla tentazione di associare il dipinto con le sue personali esperienze sessuali. Bissel (1968) ha osservato che è difficile non vedere in Oloferne un sostituto di Agostino tassi: La Gerrard (1989), nel rilevare l'importanza che tale soggetto sembra aver avuto per Artemisia, ammette, esaminando la tela napoletana: "E' impossibile ignorare gli echi dell'esperienza persopnale in questa Giuditta (...). In verità, l'iconografia stessa di questa sanguinosa scena d'alcova rievoca il resoconto di Artemisia di come il Tassi la assalì nella sua camera da letto". Whitfield ha commentato, in generale, che le vicende della vita di Artemisia la indicevano a scegliersi come soggetti donne "le cui vite erano minacciate dagli uomini". La Daprà osserva che il gusto dell'artista per le decapitazioni deve essere rapportato alla sua vita. Più recentemente Levinson ha scritto che "la scelta dei temi per il dipinto napoletano, nonchè l'estrema violenza della rappresentazione, sono state collegate, non senza ragione, al trauma di quegli eventi". Anderson ha osservato che i dipinti della storia di Giuditta rispecchiano il trauma dello stupro subito da Artemisia."
Artemisia Gentileschi, Allegoria della Retorica - 1650 circa. Robilant + Voena, Londra-Milano
Continua poi Judith W. Mann: "Studi psicanalitici hanno proposto diverse associazioni per una simile violenza, tra cui riferimenti al parto e alla castrazione. (Si vedano Pointon (1981), che sostiene che il dipinto può essere interpretato come una scena di parto; e Slap (1985), che, sulla base di discutibili somiglianze formali negli oggetti raffigurati, ha ipotizzato a una possibile allusione ai genitali maschili.) La Pollock, nella sua analisi, ammette che è difficile valutare la reazione a un trauma, ma sostiene che il dipinto può essere esaminato come una affermazione di responsabilità (Pollock 1999)".
Per lungo tempo la datazione del dipinto napoletano è rimasta incerta e taluni critici l'avrebbero collocata in periodo più tardo rispetto alla Giuditta fiorentina. Un suo esame accurato ai raggi X ha evidenziato numerosi pentimenti e rifacimenti delle posture, il che ha messo daccordo tutti circa la sua datazione anteriore, che corrisponde ad un distacco dalla tecnica paterna ed alla affermazione definitiva della sua indipendenza. L'elaborazione della composizione del quadro, benchè sicuramente modificata rispetto all'originale che sarebbe stato assai più ampio, è del tutto originale opera della pittrice, la quale, è stato dimostrato, neppure avrebbe potuto conoscere l'analogo soggetto rappresentato nell'opera di Caravaggio.
Enrico Mercatali
Milano, novembre 2011
(Milano, Palazzo Reale, fino al 22 gennaio 2012)
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