Una rana che divide critici di mezzo mondo
Si scontra la critica artistica con l'Amministrazione veneziana per l'asportazione da Punta della Dogana del "Ragazzo con la rana", gruppo scultoreo dell'artista americano Charles Ray
Un adolescente che ha raccolto una rana, e la stringe nella sua mano destra, guardandola. Il ragazzo, completamente nudo, è proprio sul bordo della riva, di fronte all'acqua del Bacino di San Marco, a Venezia. Egli guarda il suo trofeo volgendo lo sguardo verso Riva degli Schiavoni, tra Palazzo Ducale e l'Isola di San Giorgio.
Oggi è l'ultimo giorno di vita di questa scultura in quel luogo, nel quale fu collocato dall'anno 2009, in occasione della apertura del Museo della Fondazione Pinault. Alle raccolte d'arte di questo museo essa appartiene, come è appartenuta alla Città di Venezia in questi anni, fino ad oggi da allora, ed all'intero mondo dell'arte che in essa vedeva, apprezzandola come opera in sè e per ciò che ha rappresentato il suo inserimento in laguna, una proposta di sintesi d'alto livello tra la città storica e la contemporaneità, una capacità di accoglienza e di scambio tra il mondo antico e moderno, una forte attualizzazione del necessario allineamento di Venezia alle spinte propulsive che la vorrebbero sempre al passo coi tempi pur senza stravolgere le più intime pieghe del suo unico carattere.
L'Amministrazione ha deciso: al posto del Ragazzo con La Rana, dell'enigmatico scultore contemporaneo di Chicago ricollocherà un lampione di ghisa ottocentesco, analogo agli altri lampioni che forniscono pubblica luce all'intera area.
Il mondo dell'Arte è insorto, a partire dai suoi nomi sacri americani: Carol Vogel dalle pagine del New York Times ne ha stigmatizzato l'evento. Jerry Saltz, dal New York Magazine ha scritto: "Benvenuti alla farsesca versione di Morte a Venezia", aggiungendo senza peli sulla lingua: "I politici italiani hanno troppa paura di difendere l'arte contemporanea e il nudo. Essi hanno dato ascolto ad un manipolo di persone che ignorano l'arte contemporanea, asporttando il Ragazzo con la rana, mettendovi al suo posto un banale lampione. Spira il vento dell'idiozia".
E' vero che il permesso originario era stato dato per una esposizione temporanea, più volte rinnovato, ma è anche vero che in questi ultimi anni la scultura si era guadagnata la simpatia di un vastissimo pubblico di persone, non solo di artisti e critici, che certamente la vedevano ormai come un fatto acquisito, innalzandola ad icona, quasi, di quella necessità ormai da tutti riconosciuta di estrarre Venezia dal quella condizione di mummificazione perpetua alla quale sembrava e sembra tuttora condannata, restituendole invece il volto di una città normale.
E' vero che esistono contratti, convenzioni, patti detti e scritti che da tempo avevano sancito lo scadere dei termini che erano stati originariamente previsti quanto a durata dell'esposizione della statua sul suolo pubblico di venezia. Ma è vero anche che il giovane fanciullo, dall'aria tranquilla e un po' estranea a tali fatti, si era fatto largo tra il pubblico comune, che aveva accumulato nel tempo estimatori da ogni dove, e perfino appassionati amanti di quel sito veneziano, come noi di Taccuini, che anche, e forse soprattutto, per merito suo, aveva guadagnato in bellezza e fascino, in piacevole balcone, da lui sapentemente custodito e serenato, aperto sul frammento di mare più bello e famoso del mondo. Noi, che siamo cresciuti col mito di Venezia "meravigliosa conferma di charme", che non ci siamo mai sottratti, neppure una volta, ad una visita alla città almeno una volta all'anno, eravamo soliti andare alla Punta di Dogana, da quando il bell'adolescente vi aveva messo radici, per goderci l'attimo fuggente d'una sosta d'ampio respiro, d'un sentire in pieno consapevole piacere d'essere nel cuore della bellezza, e di assaporarne ogni molecola fin che ci fosse possibile. Quello stare lì, con il fanciullo estatico, era diventato simbolo, per noi, d'ogni ricchezza che in noi quella serenissima città avevamo col tempo ereditato, memori d'ogni suo lascito.
Anche i critici italiani hanno fatto fronte comune con i colleghi d'oltre oceano, denunciando la solita incapacità che il nostro il nostro Paese ha di cogliere occasioni per migliorarsi e per crescere. A volte, come questa, le occasioni sono perfino a costo zero. Piuttosto che ricollocare un banalissimo lampione, meglio sarebbe stato che l'Amministrazione avesse optato per un accordo con la Fondazione Pinault che assicurasse un ricambio delle opere, in quel magico punto della città, così trasformando quello che era stato un accadimento del tutto fortuito in un fatto di cultura permanente, capace di destare una ancor maggiore curiosità. Sarebbe diventata una gare anche tra artisti, i quali avrebbero proposto quelle opere da loro ritenute più adatte allo spirito del luogo. E' in questo senso forse che Achille Bonito Oliva, per l'occasione, ha detto che Venezia avrebbe bisogno d'una "realtà più fluttuante", così intendendo necessaria una operazione di intervento pubblico capace di spalmare, col concorso dei privati, le manifestazioni lungo tutto l'arco dell'anno, evitando i bruschi passaggi dalla concentrazione delle full immersions di Biennale e di Palazzo Grassi all'immobilità più totale. "Ci vuole", egli ha detto, "più ammodernamento senza stravolgimenti. L'opera di Ray non era affatto invadente, non squalificava il landscape veneziano; quel ragazzo se ne stava lì con molta discrezione".
Tesi dell'Amministrazione è che la Repubblica dei Dogi non aveva acconsentito la collocazione di statue lungo campi e calli della città, se non per le uniche eccezioni costituite dalle figure di Bartolomeo Colleoni e Carlo Goldoni, e, naturalmente di tutte quelle che solo a partire dall''800 vi sono state poste. Per questo, se si dovesse incominciare ora un percorso diverso, in breve ogni luogo della città ne sarebbe colmo.
Anche Ray ha espresso il suo parere: "Ho creato un'opera pubblica, pensata e studiata per quel luogo. Ho a lungo meditato sulla giusta scala che l'opera dovesse avere per farne il miglior inserimento possibile (la statua, che è in acciaio smaltato, non è infatti a scala naturale, essendo alta 2,50 m).
Non sarà facile, ma noi ancora speriamo che si faccia marcia indietro, restituendo al "sito magico" le sue imperscrutabili doti di "bellezza creata ad arte". La nostra proposta è quella più sopra esposta, di tentare un fascino ogni volta nuovo e discreto, "rinnovando senza stravolgere".
Lesa, 7 maggio 2013
L'Amministrazione ha deciso: al posto del Ragazzo con La Rana, dell'enigmatico scultore contemporaneo di Chicago ricollocherà un lampione di ghisa ottocentesco, analogo agli altri lampioni che forniscono pubblica luce all'intera area.
Qui sopra: Venezia, Punta della Dogana, the "Boy with frog",
dell'artista di Chicago Charles Ray, qui in una bellissima foto notturna.
Sotto al titolo: La statua vista da dietro, avente come sfondo il bacino di San Marco
(foto di Enrico Mercatali)
dell'artista di Chicago Charles Ray, qui in una bellissima foto notturna.
Sotto al titolo: La statua vista da dietro, avente come sfondo il bacino di San Marco
(foto di Enrico Mercatali)
Il mondo dell'Arte è insorto, a partire dai suoi nomi sacri americani: Carol Vogel dalle pagine del New York Times ne ha stigmatizzato l'evento. Jerry Saltz, dal New York Magazine ha scritto: "Benvenuti alla farsesca versione di Morte a Venezia", aggiungendo senza peli sulla lingua: "I politici italiani hanno troppa paura di difendere l'arte contemporanea e il nudo. Essi hanno dato ascolto ad un manipolo di persone che ignorano l'arte contemporanea, asporttando il Ragazzo con la rana, mettendovi al suo posto un banale lampione. Spira il vento dell'idiozia".
E' vero che il permesso originario era stato dato per una esposizione temporanea, più volte rinnovato, ma è anche vero che in questi ultimi anni la scultura si era guadagnata la simpatia di un vastissimo pubblico di persone, non solo di artisti e critici, che certamente la vedevano ormai come un fatto acquisito, innalzandola ad icona, quasi, di quella necessità ormai da tutti riconosciuta di estrarre Venezia dal quella condizione di mummificazione perpetua alla quale sembrava e sembra tuttora condannata, restituendole invece il volto di una città normale.
E' vero che esistono contratti, convenzioni, patti detti e scritti che da tempo avevano sancito lo scadere dei termini che erano stati originariamente previsti quanto a durata dell'esposizione della statua sul suolo pubblico di venezia. Ma è vero anche che il giovane fanciullo, dall'aria tranquilla e un po' estranea a tali fatti, si era fatto largo tra il pubblico comune, che aveva accumulato nel tempo estimatori da ogni dove, e perfino appassionati amanti di quel sito veneziano, come noi di Taccuini, che anche, e forse soprattutto, per merito suo, aveva guadagnato in bellezza e fascino, in piacevole balcone, da lui sapentemente custodito e serenato, aperto sul frammento di mare più bello e famoso del mondo. Noi, che siamo cresciuti col mito di Venezia "meravigliosa conferma di charme", che non ci siamo mai sottratti, neppure una volta, ad una visita alla città almeno una volta all'anno, eravamo soliti andare alla Punta di Dogana, da quando il bell'adolescente vi aveva messo radici, per goderci l'attimo fuggente d'una sosta d'ampio respiro, d'un sentire in pieno consapevole piacere d'essere nel cuore della bellezza, e di assaporarne ogni molecola fin che ci fosse possibile. Quello stare lì, con il fanciullo estatico, era diventato simbolo, per noi, d'ogni ricchezza che in noi quella serenissima città avevamo col tempo ereditato, memori d'ogni suo lascito.
Anche i critici italiani hanno fatto fronte comune con i colleghi d'oltre oceano, denunciando la solita incapacità che il nostro il nostro Paese ha di cogliere occasioni per migliorarsi e per crescere. A volte, come questa, le occasioni sono perfino a costo zero. Piuttosto che ricollocare un banalissimo lampione, meglio sarebbe stato che l'Amministrazione avesse optato per un accordo con la Fondazione Pinault che assicurasse un ricambio delle opere, in quel magico punto della città, così trasformando quello che era stato un accadimento del tutto fortuito in un fatto di cultura permanente, capace di destare una ancor maggiore curiosità. Sarebbe diventata una gare anche tra artisti, i quali avrebbero proposto quelle opere da loro ritenute più adatte allo spirito del luogo. E' in questo senso forse che Achille Bonito Oliva, per l'occasione, ha detto che Venezia avrebbe bisogno d'una "realtà più fluttuante", così intendendo necessaria una operazione di intervento pubblico capace di spalmare, col concorso dei privati, le manifestazioni lungo tutto l'arco dell'anno, evitando i bruschi passaggi dalla concentrazione delle full immersions di Biennale e di Palazzo Grassi all'immobilità più totale. "Ci vuole", egli ha detto, "più ammodernamento senza stravolgimenti. L'opera di Ray non era affatto invadente, non squalificava il landscape veneziano; quel ragazzo se ne stava lì con molta discrezione".
Tesi dell'Amministrazione è che la Repubblica dei Dogi non aveva acconsentito la collocazione di statue lungo campi e calli della città, se non per le uniche eccezioni costituite dalle figure di Bartolomeo Colleoni e Carlo Goldoni, e, naturalmente di tutte quelle che solo a partire dall''800 vi sono state poste. Per questo, se si dovesse incominciare ora un percorso diverso, in breve ogni luogo della città ne sarebbe colmo.
Anche Ray ha espresso il suo parere: "Ho creato un'opera pubblica, pensata e studiata per quel luogo. Ho a lungo meditato sulla giusta scala che l'opera dovesse avere per farne il miglior inserimento possibile (la statua, che è in acciaio smaltato, non è infatti a scala naturale, essendo alta 2,50 m).
Non sarà facile, ma noi ancora speriamo che si faccia marcia indietro, restituendo al "sito magico" le sue imperscrutabili doti di "bellezza creata ad arte". La nostra proposta è quella più sopra esposta, di tentare un fascino ogni volta nuovo e discreto, "rinnovando senza stravolgere".
Venezia, la statua settecentesca a Carlo Goldoni, unico esempio, con il monumento a Bartolomeo Colleoni, di statuaria urbana preottocentesca veneziana
Lesa, 7 maggio 2013
Enrico Mercatali
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