Abbiamo incontrato a Milano Daniel Libeskind
profugo polacco trapiantato in america, architetto-poeta, newyorkese e milanese, diviso tra meticoloso impegno d'artista e fulgida professione al servizio del capitalismo più avanzato.
Tenacia ambigua o poliedricità geniale?
Due momenti della Lectio Magistralis tenuta da Daniel Libeskind presso City Life a Milano l'11 maggio 2013, nel corso degli incontri avvenuti tra il famoso architetto del Museo dell'Olocausto di Berlino e gli architetti convenuti in occasione del "Casalgrande Padana Awards" (foto di Enrico Mercatali)
E' stato un vero piacere incontrare questo Deus Ex Machina che da anni riempie le pagine dei giornali e delle riviste specializzate di architettura coi suoi progetti polemici e discutibili, i suoi interventi spiazzanti, le sue bizzarre forme di presenzialismo onnivoro, le sue reralizzazioni roboanti, dal peso davvero notevole in mole e quantità in ogni parte del mondo ove ci sia dibattito serio sulle cose da fare e sulle soluzioni da individuare.
Perfino Milano ha fatto di lui un eroe, pronto a prodigarsi e a recedere quando necessario, per dire comunque la sua, che non manda a dire nulla che non sia già frutto d'una gare al rialzo, a dirla più forte, a caratterizzarsi come potente e scandalistica, ed esprimersi come prima ma anche come ultima parola.
Perfino Milano ha fatto di lui un eroe, pronto a prodigarsi e a recedere quando necessario, per dire comunque la sua, che non manda a dire nulla che non sia già frutto d'una gare al rialzo, a dirla più forte, a caratterizzarsi come potente e scandalistica, ed esprimersi come prima ma anche come ultima parola.
Daniel Libeskind, Berlino, Museo Ebraico
Abbiamo spesso detto male di lui, non avendolo mai conosciuto di persona, e poco approfondito il carattere realmente combattivo e franco che ne guida la partecipazione e l'impegno, ma siamo ora ancora noi che ne decliniamo gli aspetti positivi, che pur vi sono in abbondanza, in questo paladino dell'architettura che urla se stessa nel mondo per dire innovazione, modernità, forza delle idee, conoscenza e divulgazione di ragione.
Qui sopra: Daniel Libeskind, Berlino, Museo Ebraico. Dettaglio di facciata.
Sotto: uno schizzo dell'autore dello stesso Museo
Le nostre perplessità circa l'opera di questo architetto del nostro tempo, che pur persistono circa alcuni aspetti che la connotano come estrema, talvolta, nelle forme più forzate, ora si stemperano però, a fronte d'una conoscenza più diretta, e direttamente sperimentata, della personalità colta e forte, convincente, del suo autore, che ci spinge ora a rivedere onestamente parte dei giudizi su di lui già espressi, a riconsiderarne gli eccessi, cogliendo il meglio anche dove non sembra facile o fattibile operazione.
La lecture che Libesskind ha tenuto ieri, di fronte ad oltre 600 convenuti nella grande sala provvisoria dell'immenso cantiere milanese il cui progetto porta il suo nome, ha visto trattati i tre maggiori momenti dell'avventura artistica che lo riguarda dopo che avviò la professione d'architetto non appena giunto profugo a Milano, dalla Polonia, con madre e figli (una figlia nacque proprio a Milano): il primo concerne l'opera che lo ha reso famoso consacrandolo subito tra i maggiori architetti viventi: il Museo Ebraico a Berlino, il secondo quello che lo ha visto antagonista tra i maggiori studi del mondo per accaparrarsi il primato della ricostruzione dell'area di Ground Zero a New York, subito dopo l'11 settembre del 2001 (ricorda lui lo strenuo dibattito con l'amico e collega londinese Norman Foster), ed il terzo quello che avevamo l' a fianco, mentre parlava, che lo ha visto protagonista, assieme al giapponese Arata Isozaki e all'iraniana-londinese Zaha Hadid, della discutibilissima "grande ripresa immobiliarista" della crescita milanese, voluta ed in parte realizzata dall'ex sindaco di Milano Letizia Moratti, ovvero "City Life", grande complesso edilizio nel verde nell'area che fu dell'ex Fiera Campionaria milanese, entro il quale domina la strana forma a spirale ascendente del Nuovo Museo della Moda (che è stato ormai dato quasi per certo che non si farà a causa della mancanza di fondi).
L'interessante lecture di Daniel Libeskind, avvenuta con l'accompagnamento spettacolare di proiezioni di grande formato sulle pareti della sala delle fotografie delle opere delle quali andava parlando e soprattutto dei numerosissimi disegni che ne hanno determinato l'ideazione originaria, ha messo in luce le problematicità delle rispettive commissioni di lavoro, colte come occasioni per dare massima espressione più ai loro nodi più difficili piuttosto che ai loro aspetti meno complessi o intuitivi: e così in modo del tutto speciale nel Museo berlinese, che anche noi a suo tempo avevamo visitato e per il quale ci furono spiegati i complessi fattori di tensione degli impliciti messaggi, egli, attraverso gli schizzi preparatori, ce ne mostrava i presupposti.
Sopra: Daniel Libeskind, New York, un rendering dei grattacieli che attorniano il Groun Zero e del Memorial dedicato all'attacco dell'11 Settembre 2001 Memorial. Sotto: dello stesso autore il progetto vincitore del concorso per la ricostruzione di Groun Zero
Ma anche nel gruppo dei grattacieli che attorniano il Trade Center Memorial, a New York, si trattava di ricreare, sì, volumetrie che erano venute a mancare, necessarie a ridare sede a molte delle aziende che le avevano perdute, ma anche a rendere capace di senso permanente lo sfondo di quella voragine divenuta presto "simbolo primario della democrazia e della libertà", come lui stesso ha voluto sottolineare.
Il poderoso sforzo della rapida ricostruzione forse non a caso ha puntato tutto sulla tenacia che Daniel Libeskind, fin dall'inizio, vi ha saputo infondere, certo più di altri, capace di dimostrare, attraverso il suo carattere forte e impetuoso, di poterne avere a sufficienza.
Abbiamo assistito noi stessi, nel corso di una intera giornata, lo svolgersi frenetico e mastodontico dei lavori dell'impressionante cantiere, mentre già si stava terminando la posa delle facciate continue del grattacielo più alto d'America, quando ci siamo recati in visita al Memorial, presso Wall Street, ed abbiamo pensato quanto complessa possa essere stata quella progettazione. La conferma ce l'ha data Libeskind in persona ieri, quando ce ne mostrava le immagini, e quando ci diceva che la parte preponderante di quei lavori è stata quella d'arginare in sotterraneo la fortissima pressione delle acque circostanti Manhattan sulle fondazioni dell'edificio.
Daniel Libeskind, Milano, City Life. Alcune immagini del complesso edilizio progettato dall'architetto newyorkese-milanese, ed in corso di realizzazione, evidenziano, accanto ad una tipologia edilizia abitativa ad alta densità, abbastanza consueta nell'urbanistica milanese, la particolare enfasi formale, più convincente, adottata dal progettista nelle parti alte degli edifici, nelle quali gli appartamenti sviluppano stereometrie più libere a piu piani ed a varie altezze.
La storia di Milano è assai più semplice e perfino frivola, al confronto. Uno dei motivi per cui Daniel Libeskind se ne è innamorato: egli vive la città come fosse la sua seconda città, e la abita per molti mesi dell'anno. Beh!, non difficile da credere, data la quantità di progetti che sono stati a lui assegnati in questa città, molti dei quali già in avanzata fase di realizzazione. Ed è comprensibile che lui, in quanto architetto, sia stato attratto da tanta volumetria disponibile per la sua matita prima, e la sua gloria futura! Ma la storia milanese è meno edificante, per diversi motivi, che certo la Storia, quella vera, riporterà in luce, dopo l'ubriacatura morattiana per i grandi numeri legati all'edilizia, per gli amici imprenditori, per le firme prestigiose (tutte straniere!), per l'internazionalizzazione delle funzioni fieristiche, e quindi, per l'incremento esponenziale delle volumetrie costriuibili per uffici e residenze temporanee. In un momento in cui la popolazione urbana rendeva evidente il suo affanno per le conseguenze della recessione economica, prima di tutto per la riduzione dei posti di lavoro e l'aumento del costo della vita, che rendevano urgenti le politiche sociali e per la casa, con la necessaria ripresa dei cantieri per l'edizia economica e popolare, l'Amministrazione cittadina operava queste scelte, che da un lato vedevano forti previsioni di crescita della popolazione, e dall'altro il concentrarsi delle politiche edilizie sull'abitazione di lusso e sugli uffici.
La storia è in corso. Già il grande insediamento di Santa Giulia, firmato Norman Foster, nelle aree di Sud Est presso San Donato, hanno dimostrato il loro sostanziale fallimento. Ora si sta assistendo, per le aree più centrali in costruzione, tra cui quella che abbiamo detto sopra, ad una assai difficoltosa vendita delle unità abitative e per uffici, dati i loro elevatissimi costi. Il previsto Museo della Moda è stato cancellato dai progetti iniziali, perchè impossibile da finanziare, almeno per il momento. I numerosi negozi nell'area Garibaldi, nel recente intervento progettato dall'architetto Cesar Pelli, non si riescono a vendere. Siamo ora interessati a vedere quanto delle previste aree verdi si riusciranno a realizzare.
Daniel Libeskind, Milano City Life, l'interno di uno degli appartamenti a due piani dei piani alti dell'edificio. Le superfici sono caratterizzate da una estrema luminosità, controllata da shed, griglie frangisole, tendaggi, e da una ampia vista che spazia tutt'attorno. La trasparenza è accentuata dall'utilizzo di superfici in cristallo sia sulle ringhiere delle terrazze, sia nelle scale e parapetti dei soppalchi. La tipologia di questi interni ricorda quella già utilizzata da Mangiarotti e Morassutti nella torre di via Quadronno, all'inizio degli anni '60. Essa rivela la tendenza della città a proporsi come luogo di residenza qualificata e di lusso anche temporanea, per ceti legati alle professioni, all'imprenditoria e al management, che utilizzano la città prevalentemente a scopo lavorativo e affaristico
E' col desiderio di vedere almeno concluse tali iniziative già
intraprese, che speriamo ora di vedere il Comune di Milano orientato ad una serie
di politiche più attive e responsabili nella realizzazione di
quartieri semicentrali e periferici di edilizia economico-popolare. Per questi, accanto all'auspicato primario contributo degli architetti
italiani, vorremmo anche vedere quello delle archistars, non foss'altro
per conoscerne i più autentici risvolti del loro talento, si ben dimostrato
altrove, ma ancor più necessario ove occorra maggiore fantasia e abilità per l'operare
coi materiali più poveri, con minori risorse, e con l'esigenza di
davvero creare forme alternative di socialità, di vita collettiva e
comunitaria. Poichè certamente è più difficile, di quella lussuosa illustrata in questo articolo, l'edilizia economica, di cui urgentemente necessita la città, della quale si spera di vedere avviare al più presto i cantieri, vorremmo che fosse la spiccata e metodica creatività del "milanese" Libeskind a cimentarsi anche in questo settore, che necessita di idee e di talento così come è avvenuto finora soltanto per l'altra Milano.
Enrico Mercatali
Milano, 11 maggio 2013
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