"The Power of Architecture"
L'opera di Louis Khan
è ora in rassegna retrospettiva
al Vitra Museum di Basilea
E' ancora l'Europa che intende indagare più a fondo nello spirito che permeò l'architettura moderna e pur senza tempo di Louis Kahn, l'architetto americano che più di ogni altro incarnò l'idea dell'eternità, e della storia che attraversa ogni tempo.
Un bel ritratto del profilo di Lou Kahn, ripreso all'interno del Pantheon romano. Roma era una delle sue mete preferite, città che non tanto lo attraeva per le sue rovine, quanto per l'intenso rapporto tra i suoi vuoti ed i suoi nujclei densi di vita, affollati e convulsi, nei quali più che mai forte si presentava il rapporto tra la vera vita vissuta e le pause necessarie alla meditazione.
Sopra al titolo una bella immagine del National Assembly di Dhaka che si rispecchia nel lago che lo circonda. Anche qui è l'attento studio degli spazi vuoti esterni a determinare l'intensità iconica dell'edificio in sè stesso. Fu proprio a proposito di questo edificio, che I.M.Pei, che considerava questo il Masterpiece di Kahn, a chiedere a Nathaniel di verificarne le funzionalità interne. Ciò convinse il giovane autore cineasta a realizzare il documentario che mise in evidenza quanto una architettura potesse far corrispondere una idea ad un ideale, esprimendo cos' una idea di eternità. Con ciò, da allora, meglio si definì il contributo specifico di Luis Kahn alla storia dell'architettura moderna.
E' ancora l'Europa che intende indagare più a fondo nello spirito che permeò l'architettura moderna e pur senza tempo di Louis Kahn, l'architetto americano che più di ogni altro incarnò l'idea dell'eternità, e della storia che attraversa ogni tempo.
I diversi temi affrontati dalla mostra di Vitra a Weil am Rhein (che resterà visitabile fino all'8 agosto 2013), la citta, il rapporto tra la scienza e la società civile, il territorio, la storia, sono organizzati, dai curatori von Moss e Eisenbrand, con l'intento di raccontare proprio le diversità tra Lou e gli altri architetti americani, nonchè la consonanza europea, e particolarmente italiana che lo fece prediligere Roma, e la città antica. I suoi studi dell'antichità sono in effetti divenuti proverbiali, e tutto, nella sua opera, racconta di quanto forte fosse il legame tra le sue creazioni e lo spirito dell'antico, quella particolare essenza che rende eterne le forme di quegli edifici, rendendoli tanto iconici e carichi di memoria.
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Louis Kahn, due immagini opposte del Salk Institute, nel quale, più che in qualsiasi altra sua opera, può evincersi quanto fose importante per il suo autore il rapporto tra l'edificio ed il suo "spazio esterno", tra il costruito ed il vuoto che gli si contrappone, tanto importante nell'architettura classica. Qui è il rapporto con la lontananza dello sfondo e con il cielo che assume una intensità del tutto particolare.
Ancora una volta il maggiore contributo all'estensione di tale concetto all'esegesi dell'opera kahniana, e all'approfondimento delle qualità ad essa intrinseche nella valutazione del suo contributo alla costruzione dell'architettura contemporanea, così come l'oggetto della mostra intende porre la questione agli occhi dei suoi visitatori, è stato dato ancora una volta dal figlio Nathaniel, che già nel 2003 aveva fornito materiale conoscitivo con il suo "My Architect", documentario incentrato sul rapporto che egli ebbe col padre quando ancora era in vita, e sull'influenza che ebbero sulle straordinarie creazioni che andava realizzando dagli anni '60 in poi, la sua vita tutt'altro che comune e l'ansia che lo portava ad essere sempre in viaggio, per conoscere il mondo ed inseguire la vita.
Il percorso poetico compiuto dal grande maestro di Philadelphia, che la mostra ben approfondisce, è quello appunto che il figlio Nathaniel ha voluto metter il luce nel suo documentario a lui dedicato, che lo vede interessato congiuntamente al tema della casa domestica e a quello del territorio. E' infatto su questi temi che la prima fase della sua vita professionale si incentra, particolarmente alla ricerca di soluzioni relative al problema del traffico veicolare e dei parcheggi nella sua città, ove tali temi da tempo si manifestavano come emergenti.
E' la sua una ricerca incentrata su aspetti di logica e di rigore formale, che verrà ad alimentarsi e ad esaltarsi proprio quando, nel corso di un viaggio dovuto al ritiro di un titolo accademico conferitogli dalla American Accademy di Roma, si trovò a contatto per la prima volta con la maestosità architettonica della Roma antica, che fu per lui fulminante. Da quella volta i numerosi viaggi che lo hanno condotto in Italia hanno permeato totalmente la sua visione euclidea del repertorio formale, attribuendole un profondo senso di spaziale grandezza, di preminente ariosità, tutta costruita nel senso di una logica di geometrica semplicità, di ieratica monumentalità.
Amava molto l'Italia, Lou, ed in particolare le piazze delle sue antiche città, Siena, San Giminiano, Assisi, Pienza. Si formò presto in lui uno spiccato senso del rapporto esistente tra interno ed esterno di un edificio, di una città. Ritroveremo questo particolare e spiccato connubio proprio nell'ambito delle sue più importanti opere, quali i laboratori del Salk Institute, o la Natonal Assembly di Dhaka, che egli realizzò tra il 1959 e il 1966 a La Jolla in California, il primo edificio, e nel Bangladesh tra il 1962 e il 1974, il secondo. In questi edifici la loro bellezza arcaica appare dominare, e più ancora dello spazio interno, è lo spazio circostante ad essere capace di coinvolgere il visitatore in una atmosfera di profonda spiritualità.
Essi, con gli altri numerosi capolavori che ci ha lasciato, emanano un potente senso della storia e trasmettono fortemente il pathos che l'uomo, prima ancora dell'architetto progettista, ha vissuto nel tradurre in forme viventi, l'amore per il nostro Paese e per la sua classicità antica, per le sue piazze, come per il profondo senso di attaccamento che da esse promana alla vita degli uomini che li abitano, quella forte simbiosi che lega la persona ai suoi luoghi eletivi, che è quanto di più importante sia dato agli individui per vivere, dalla propria casa ai simboli della propria cittadinanza, o della propria fede religiosa.
"L’architettura deve sopravvivere ai desideri e ai capricci del momento, spesso influenzate da mode passeggere, per aspirare ad una dimensione di bellezza eterna." (Louis Kahn)
(aggiornato 8/03/2013)
Nella foto Lou Kahn con il figlio Nathaniel, autore del bellissimo documentario "My Architect", uscito nel 2003, nel quale emerge il particolarissimo ed intenso rapporto tra padre e figlio, nonchè la figura dell'uomo, poliedrica e inquieta, che tanto influì sulla sua straordinaria opera.
Il percorso poetico compiuto dal grande maestro di Philadelphia, che la mostra ben approfondisce, è quello appunto che il figlio Nathaniel ha voluto metter il luce nel suo documentario a lui dedicato, che lo vede interessato congiuntamente al tema della casa domestica e a quello del territorio. E' infatto su questi temi che la prima fase della sua vita professionale si incentra, particolarmente alla ricerca di soluzioni relative al problema del traffico veicolare e dei parcheggi nella sua città, ove tali temi da tempo si manifestavano come emergenti.
Louis Kahn, Biblioteca Philip Exeter, 1965-71
E' la sua una ricerca incentrata su aspetti di logica e di rigore formale, che verrà ad alimentarsi e ad esaltarsi proprio quando, nel corso di un viaggio dovuto al ritiro di un titolo accademico conferitogli dalla American Accademy di Roma, si trovò a contatto per la prima volta con la maestosità architettonica della Roma antica, che fu per lui fulminante. Da quella volta i numerosi viaggi che lo hanno condotto in Italia hanno permeato totalmente la sua visione euclidea del repertorio formale, attribuendole un profondo senso di spaziale grandezza, di preminente ariosità, tutta costruita nel senso di una logica di geometrica semplicità, di ieratica monumentalità.
Louis Kahn osserva il modello del suo progetto per il grattacielo della City Tower nel Municipal Building di Philadelphia, 1951-53
Amava molto l'Italia, Lou, ed in particolare le piazze delle sue antiche città, Siena, San Giminiano, Assisi, Pienza. Si formò presto in lui uno spiccato senso del rapporto esistente tra interno ed esterno di un edificio, di una città. Ritroveremo questo particolare e spiccato connubio proprio nell'ambito delle sue più importanti opere, quali i laboratori del Salk Institute, o la Natonal Assembly di Dhaka, che egli realizzò tra il 1959 e il 1966 a La Jolla in California, il primo edificio, e nel Bangladesh tra il 1962 e il 1974, il secondo. In questi edifici la loro bellezza arcaica appare dominare, e più ancora dello spazio interno, è lo spazio circostante ad essere capace di coinvolgere il visitatore in una atmosfera di profonda spiritualità.
Louis Kahn, casa Fisher, Philadelphia, Pensilvania, 1960
Essi, con gli altri numerosi capolavori che ci ha lasciato, emanano un potente senso della storia e trasmettono fortemente il pathos che l'uomo, prima ancora dell'architetto progettista, ha vissuto nel tradurre in forme viventi, l'amore per il nostro Paese e per la sua classicità antica, per le sue piazze, come per il profondo senso di attaccamento che da esse promana alla vita degli uomini che li abitano, quella forte simbiosi che lega la persona ai suoi luoghi eletivi, che è quanto di più importante sia dato agli individui per vivere, dalla propria casa ai simboli della propria cittadinanza, o della propria fede religiosa.
Louis Kahn al lavoro nel suo studio, immerso nei suoi numerosissimi schizzi a matita.
"L’architettura deve sopravvivere ai desideri e ai capricci del momento, spesso influenzate da mode passeggere, per aspirare ad una dimensione di bellezza eterna." (Louis Kahn)
Enrico Mercatali
Lesa, 5 marzo 2013(aggiornato 8/03/2013)
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