ARCA VERCELLI GUGGENHEIM
Riproponendo qualità e bellezza
abituare al piacere
lascito Hannelore B. Schulhof 2012 (foto Enrico Mercatali)
Chi l'ha detto che anche "andar per arte" non possa costituire per chiunque una risorsa di autentico piacere, specialmente quando c'è qualcuno o qualcosa che te lo rende abituale, distillandoti nel tempo, e con ritmo regolare, le sue gioie! Si, questo può rendersi possibile, per esempio nella Città di Vercelli, ove da anni il bello regna, ed anche il suo terreno di coltura.
Ancora per il sesto anno consecutivo la Città di Vercelli, attraverso l'azione del suo ottimo assessorato alla cultura e dell'instancabile attività di Pier Giorgio Fossale, propone una mostra di grande arte, continuando la ormai divenuta storica collaborazione con la Fondazione Peggy Guggenheim, facendo pervenire nella sua specialissima "Teca" le migliori opere delle collezioni veneziane e newyorkesi.(vedi gli articoli di Taccuini Internazionali:
http://taccuinodicasabella.blogspot.it/2011/02/arca-arte-vercelli-arte-italiana-con.html,
http://taccuinodicasabella.blogspot.it/2011/07/arca-arte-vercelli-italian-art-with.html,
che ne descrivono le caratteristiche, recensendo una delle mostre, in lingua italiana ed in lingua inglese). Quest'anno il tema individuato in accordo con essa, che prosegue il discorso intrapreso entro i contenitori dai titoli accattivanti proposti gli scorsi anni, la cui curatela è stata affidata all'ormai sperimentata e validisima intelligenza di Luca Massimo Barbero, è "Gli anni Sessanta nelle Collezioni Guggenheim - Oltre l'Informale verso la Pop Art.
Quest'anno la mostra è quindi orientata, entro un tema assai caratterizzante gli interessi della Guggenheim, ad approfondire il terreno di coltura del movimento artistico americano divenuto dirompente a partire dagli anni Sessanta, quello della Pop.
Le questioni che il curatore quest'anno intende approfondire e proporre all'interesse del pubblico che ormai da anni ne segue i percorsi critici, sono pertanto quelle del trasferimento sul continente americano dell'attività primaria delle avanguardie storiche ed in particolare quelle attinenti alla produzione delle nuove energie statunitensi che, traendo ancora linfa vitale dalle esperienze europee che, dal ricambio generazionale, ha saputo dare avvio alle nuove germinazioni, inventando la più popolare forma di espressione dell'arte novecentesca, la Pop Art degli anni sessanta.
Tale sforzo conoscitivo, intrepreso da Luca Massimo Barbero con la collaborazione di Sileno Salvagnini e Francesca Pola, come riportato in catalogo negli ottimi saggi incentrati proprio sugli avvenimenti che attraversarono l'Atlantico in quegli anni cruciali, è assai ben rappresentato dalla scelta delle opere prese a testimonianza, che sono solo una cinquantina in tutto, ma tute assai ben capaci di dare sostanza probatoria alle tesi sulle quali si incardina la mostra.
E' per il motivo che dicevamo, che trova alimento nell'ormai incessante scambio tra l'Europa e l'America, quel fertile periodo dell'arte occidentale che, a partire dalle molteplici sperimentazioni, al di qua e al di là dell'Atlantico, vedevano artisti per la prima volta impegnati al superamento delle tradizioni del moderno, e della pura astrazione, entro movimenti richiamanti l'"espressionismo astratto", l'"informale", il "nuclearismo", il "minimalismo", i "programmati", i "neosurrealisti e i neodadaisti", i "nuovi realisti", attraverso i quali emerge, prima che sbocci il fiore della Pop, in Europa prima e poi in America, ma sempre più febbrilmente in entrambi i campi a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta, quella voglia di nuova scoperta che sappia sedare l'ansia d'un "ricercar di senso" attorno alle nuove istanze espressive-comunicative d'una società occidentale al culmine del proprio benessere e della propria capacità di diffonderlo.
Come si può vedere la formazione italiana appare particolarmente cospicua, in quegli anni di grande fermento innovativo, testimoniando quanto vivace fosse, rispetto al resto d'Europa, il vissuto artistico del nostro paese, anche ben alimentato da un solido commercio dell'arte che aveva fatto di Milano, ad esempio, il mercato artistico più potente del mondo, proprio in quegli anni.
James Rosenquist (1933), "Balcone" (Balcony), 1961, olio su tela, specchio, plexiglas, 152 x 185 cm, Museo di Arte moderna e contemporanea di trento e Rovereto.
Ma le trasformazioni più radicali andavano maturando negli Stati Uniti per mano di artisti come Robert Rauschemberg, Andy Warhol, James Rosenquist, Tom Wesselmann, Roy Lichtenstein, Allen Jones, Mel Ramos, Raimond Hains, e non tarderanno ad esprimersi compiutamente, in modo unitario ed efficace fino a diventare fenomeno davvero popolare, divulgandosi al mondo intero con il grande botto che fu quello della Biennale veneziana del 1964.
Molti degli esponenti di questa generazione di artisti americani sono presenti con loro opere alla mostra vercellese, ma con essi, in quella famosa ed esplosiva Biennale, ve ne erano altria assai significativi che qui non vediamo, tra i quali George Segal, John Chamberlain, Claes Oldemburg, Jasper Johns, Jim Dine, Robert Indiana, Marisol Escobar, Stuart Davis. Anch'essi non mancarono di stupire il pubblico e la critica per la loro perfetta aderenza ad un genere che si impose in modo convincente per il proprio linguaggio immediato, di verità, comprensibilità, chiarezza.
Roy Lichtenstein (1923-1997), "Preparativi" (Preparedness), 1968, Olio e acrilico Magna su tre tele unite, 304,8 x 548,6 cm, Museo Solomon R. Guggenheim, New York.
Due altri ambienti della mostra vercellese "Gli anni Sessanta nelle Collezioni Guggenheim - Oltre l'Informale verso la Pop Art". Sopra: si scorgono le opere di Alberto Burri, al centro, di Antoni Tàpies, a sinistra, di Mark Tothko. Sotto, al centro Michelangelo Pistoletto e Allen Jones, a sinistra Richard Hamilton, a destra Andy Warhol. Nel quadro di Pistoletto si rispecchia parte dell'opera di Roy Lichtenstein "Preparativi (foto di Enrico Mercatali).
Qui Sotto: Tom Wesselmann (1931- 2004), "Paesaggio marino" (Sea scape), 1965 olio su tela, 148 x 160 cm, Courtesy Fondazione Orsi
In apertura: Andy Warhol (1928-1987), "Fiori" (Flowers), serigrafia su carta, 91,5 x 91,5 cm, Venezia, Collezione Peggy Guggenheim
Sotto al titolo: una sala dell'Arca dedicata alla mostra "Gli anni Sessanta nelle Collezioni Guggenheim - Oltre l'Informale verso la Pop Art": al centro, di Franck Stella (1936) "Miscuglio di grigio" (Gray Scamble), 1968-69, olio su tela, 175,3 x 175,3 cm, Venezia, Fondazione Solomon R. Guggenheim, Collezione Hannelore B. e Rudolph B. Schulhof, lascito Hannelore B. Schulhof 2012 (foto Enrico Mercatali)
Chi l'ha detto che anche "andar per arte" non possa costituire per chiunque una risorsa di autentico piacere, specialmente quando c'è qualcuno o qualcosa che te lo rende abituale, distillandoti nel tempo, e con ritmo regolare, le sue gioie! Si, questo può rendersi possibile, per esempio nella Città di Vercelli, ove da anni il bello regna, ed anche il suo terreno di coltura.
Ancora per il sesto anno consecutivo la Città di Vercelli, attraverso l'azione del suo ottimo assessorato alla cultura e dell'instancabile attività di Pier Giorgio Fossale, propone una mostra di grande arte, continuando la ormai divenuta storica collaborazione con la Fondazione Peggy Guggenheim, facendo pervenire nella sua specialissima "Teca" le migliori opere delle collezioni veneziane e newyorkesi.(vedi gli articoli di Taccuini Internazionali:
http://taccuinodicasabella.blogspot.it/2011/02/arca-arte-vercelli-arte-italiana-con.html,
http://taccuinodicasabella.blogspot.it/2011/07/arca-arte-vercelli-italian-art-with.html,
che ne descrivono le caratteristiche, recensendo una delle mostre, in lingua italiana ed in lingua inglese). Quest'anno il tema individuato in accordo con essa, che prosegue il discorso intrapreso entro i contenitori dai titoli accattivanti proposti gli scorsi anni, la cui curatela è stata affidata all'ormai sperimentata e validisima intelligenza di Luca Massimo Barbero, è "Gli anni Sessanta nelle Collezioni Guggenheim - Oltre l'Informale verso la Pop Art.
Lucio Fontana (18899-1968) "Concetto spaziale", 1962, Olio, squarcio e graffiti su tela, rosa
116 x 89 cm, Collezione privata, Tornabuoni Arte
Le questioni che il curatore quest'anno intende approfondire e proporre all'interesse del pubblico che ormai da anni ne segue i percorsi critici, sono pertanto quelle del trasferimento sul continente americano dell'attività primaria delle avanguardie storiche ed in particolare quelle attinenti alla produzione delle nuove energie statunitensi che, traendo ancora linfa vitale dalle esperienze europee che, dal ricambio generazionale, ha saputo dare avvio alle nuove germinazioni, inventando la più popolare forma di espressione dell'arte novecentesca, la Pop Art degli anni sessanta.
Enrico Baj (1924-2003) "Perso", 1967, olio e collage su stoffa, 60,2 x 73,2 cm
Collezione Peggy Guggenheim Venezia
Tale sforzo conoscitivo, intrepreso da Luca Massimo Barbero con la collaborazione di Sileno Salvagnini e Francesca Pola, come riportato in catalogo negli ottimi saggi incentrati proprio sugli avvenimenti che attraversarono l'Atlantico in quegli anni cruciali, è assai ben rappresentato dalla scelta delle opere prese a testimonianza, che sono solo una cinquantina in tutto, ma tute assai ben capaci di dare sostanza probatoria alle tesi sulle quali si incardina la mostra.
Secondo e ultimo numero della rivista che ha fatto storia "Azimuth"
fondata e diretta da Piero Manzoni e Enrico Castellani
E' per il motivo che dicevamo, che trova alimento nell'ormai incessante scambio tra l'Europa e l'America, quel fertile periodo dell'arte occidentale che, a partire dalle molteplici sperimentazioni, al di qua e al di là dell'Atlantico, vedevano artisti per la prima volta impegnati al superamento delle tradizioni del moderno, e della pura astrazione, entro movimenti richiamanti l'"espressionismo astratto", l'"informale", il "nuclearismo", il "minimalismo", i "programmati", i "neosurrealisti e i neodadaisti", i "nuovi realisti", attraverso i quali emerge, prima che sbocci il fiore della Pop, in Europa prima e poi in America, ma sempre più febbrilmente in entrambi i campi a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta, quella voglia di nuova scoperta che sappia sedare l'ansia d'un "ricercar di senso" attorno alle nuove istanze espressive-comunicative d'una società occidentale al culmine del proprio benessere e della propria capacità di diffonderlo.
Mimmo Rotella (1918-2006), "Casablanca" (1965-80), decollage
Fondazione Solomon R. Guggenheim, Venezia.
In questo coacervo di ricerche nelle più varie direzioni incentrate si
distinguevano artisti come Enrico Castellani e Piero Manzoni, fondatori
della rivista che ebbe breve durata ma intenso spazio d'azione
"Azimut", come Mimmo Rotella, Lucio Fontana, Jean Dubuffet, Cy Twombly,
Mark Tobey, Alberto Burri, Antoni Tàpies, Emilio Scanavino, Arman, come
Lucio Del Pezzo, come Frank Stella, come Enrico Baj, Michelangelo
Pistoletto, Pino Pacali, Mario Schifano, David Hockney, Mark Rothko,
tutti quanti ben rappresentati nella mostra nell'Arca, con opere belle e
assai significative della loro produzione, ma soprattutto ben distinti
tra loro per genere di ricerca e per il carattere del loro apporto a
quell'arte americana che andava germinando.
Franck Stella, "Miscuglio di grigio" (Gray Scamble),
1968-69, olio su tela, 175,3 x 175,3 cm, Venezia, Fondazione Solomon R.
Guggenheim, Collezione Hannelore B. e Rudolph B. Schulhof, lascito Hannelore B. Schulhof 2012
Come si può vedere la formazione italiana appare particolarmente cospicua, in quegli anni di grande fermento innovativo, testimoniando quanto vivace fosse, rispetto al resto d'Europa, il vissuto artistico del nostro paese, anche ben alimentato da un solido commercio dell'arte che aveva fatto di Milano, ad esempio, il mercato artistico più potente del mondo, proprio in quegli anni.
James Rosenquist (1933), "Balcone" (Balcony), 1961, olio su tela, specchio, plexiglas, 152 x 185 cm, Museo di Arte moderna e contemporanea di trento e Rovereto.
Robert Rauschenmerg (1925-2008), "Senza
titolo" 1963, olio, serigrafia, metallo e plastica su tela, 208,3 x
121,9 x 15,9 cm, Museo Solomon R. Guggenheim, New York.
Mel Ramos (1935), "Bambola" (Doll), 1964, olio si tela 35,5 x 35,5 cm (Fondazione Orsi)
Ma le trasformazioni più radicali andavano maturando negli Stati Uniti per mano di artisti come Robert Rauschemberg, Andy Warhol, James Rosenquist, Tom Wesselmann, Roy Lichtenstein, Allen Jones, Mel Ramos, Raimond Hains, e non tarderanno ad esprimersi compiutamente, in modo unitario ed efficace fino a diventare fenomeno davvero popolare, divulgandosi al mondo intero con il grande botto che fu quello della Biennale veneziana del 1964.
David Hockney (1937), "Lezione di Nuoto" (Swimming lesson), 1965 acrilico su tela 61 x 61 cm, Collezione Mario e Adriana Monti.
Molti degli esponenti di questa generazione di artisti americani sono presenti con loro opere alla mostra vercellese, ma con essi, in quella famosa ed esplosiva Biennale, ve ne erano altria assai significativi che qui non vediamo, tra i quali George Segal, John Chamberlain, Claes Oldemburg, Jasper Johns, Jim Dine, Robert Indiana, Marisol Escobar, Stuart Davis. Anch'essi non mancarono di stupire il pubblico e la critica per la loro perfetta aderenza ad un genere che si impose in modo convincente per il proprio linguaggio immediato, di verità, comprensibilità, chiarezza.
A sinistra:
Leo Castelli e Roy Lichtenstein nel padiglione degli Stati Uniti alla Biennale di Venezia del 1966.
Archiv. Arte Fondazione Cassa di Risparmio di Modena.
A destra:
Peggy Guggenheim fotografata nel 1966 da Gianni Berengo Gardin
Deve essere notato che pressochè totale fu l'adesione alla figuratività,
che fu certamente una delle componenti più forti nella resa in
popolarità di questo ampio ventaglio di artisti. Basti pensare alle
luminescenti atmosfere californiane che proponeva David Hockney, artista
britannico trapiantatosi sulla west coast americana, (assai simili a
quelle che ritroviamo nel film "Il laureato" con Dustin Hofmann, del
1967), incentrate su una realtà assai legata all'immediatezza degli
effetti Polaroid, strumento allora di recente diffusione.
Roy Lichtenstein (1923-1997), "Preparativi" (Preparedness), 1968, Olio e acrilico Magna su tre tele unite, 304,8 x 548,6 cm, Museo Solomon R. Guggenheim, New York.
Ma anche alla
ritrattistica seriale di Andy Warhol, all'erotico dettaglio anatomico di
Tom Wesselmann, alle schematiche figurazioni fumettistiche di Roy
Lichtenstein, fino al recupero serigrafico del materiale fotografico
tratto dalla cronaca che rende facilmente leggibili le pur astratte
composizioni cromatiche di Robert Rauschemberg. Ed anche in ciò potrà
rilevarsi l'influenza che ebbe il lavoro degli artisti europei, quali Lucio del Pezzo, Pino Pascali , Arman, Enrico Baj, o Mimmo Rotella, Alberto Burri, che giungono a recuperare gli oggetti del quotidiano ricostruendoli o destrutturandoli con altri materiali o per ricomporli in figure altre e diverse, con forti connotazioni di significato (mentre Baj propone i suoi generali-fantoccio,
fatti di bottoni e passamanerie, Burri brucia sacchi e plastiche,
Rotella strappa i manifesti dei grandi film della Paramount e della
Warner Bros).
Due altri ambienti della mostra vercellese "Gli anni Sessanta nelle Collezioni Guggenheim - Oltre l'Informale verso la Pop Art". Sopra: si scorgono le opere di Alberto Burri, al centro, di Antoni Tàpies, a sinistra, di Mark Tothko. Sotto, al centro Michelangelo Pistoletto e Allen Jones, a sinistra Richard Hamilton, a destra Andy Warhol. Nel quadro di Pistoletto si rispecchia parte dell'opera di Roy Lichtenstein "Preparativi (foto di Enrico Mercatali).
Qui Sotto: Tom Wesselmann (1931- 2004), "Paesaggio marino" (Sea scape), 1965 olio su tela, 148 x 160 cm, Courtesy Fondazione Orsi
Enrico Mercatali
Vercelli, 11 febbraio 2013
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