Sopra al titolo "The Shard", o meglio "Shard London Bridge", essendo che il nuovo grattacielo, che Renzo Piano ha consegnato ai londinesi in tempo per l'avvio delle Olimpiadi 2012, sorge proprio nei pressi della London Tower Bridge.
Ne abbiamo recensito l'inaugurazione in Taccuini Internazionali, con l'articolo "The Piano Shard starts her life on July 4th 2012" (http://taccuinodicasabella.blogspot.it/2012/06/taccuini-internazionali-programming.html), evidenziandone la bellezza e l'eleganza, che rende questo edificio un prodotto di altissima qualità architettonica, soprattutto se confrontato con "The Gherkin" (il "Cetriolo") di Norman Foster, dalla foggia piuttosto bruttina, anche se di concezione sicuramente innovativa, come c'è sempre da aspettarsi dagli edifici progettati dall'architetto inglese che lo ha firmato, forse l'unico vero competitor mondiale dell'architetto italiano più noto nel mondo.
Di The Shard abbiamo voluto cogliere la snella immagine dal basso per aprire questo articolo dedicato al "Grattacielo", un articolo che ci è stato suggerito da un malumore che abbiamo colto nei riguardi della tipologia architettonica, assai controversa negli ultimi tempi cosparsi di teorie di decrescita e risparmi energetici, nonchè di finanze smilze. E' quella del grattacielo una tipologia che necessiterebbe di tornare in discussione non già perchè desueta tout court, perchè nessuno tendenza lo ha ancora decretato, ma, al contrario, perchè molti (ma non certo i più) vorrebbero desueta, se non addirittura da bandire per sempre, pur essendo in continuo fiorire di novità e nuove nascite, mai forse come in questo momento, in cui si registrano (ed è questo il caso di The Shard) importanti e innovative soluzioni finalizzate proprio ad assegnare ai grattacieli un ruolo più attivo al miglioramento dell'ambiente urbano. The Shard, infatti (320 metri di altezza, 87 piani interamente rivestiti di vetro), rappresenta già un modello capace di esprimere bilanci positivi, per consentirci di affermare che non sia ancora giunto il tempo di metterne al bando la tipologia, come vorrebbero i suoi odierni detrattori. Questi ultimi, non pochi ma davvero poco informati, dediti a divulgare, come occorre fare, le nuove tendenze in fatto di risparmi energetici e di sviluppi sostenibili, non hanno però colto gli enormi passi in avanti che negli ultimi anni si sono fatti per l'azzeramento di taluni costi e per il contenimento massivo degli altri nella più avanzata edilizia contemporanea che si sviluppa in altezza, e soprattutto non si sono resi conto della necessità oggi di perseguire anche e soprattutto criteri di congruità ambientale e di qualità architettonica, il che non deve mai significare una rinuncia totale e aprioristica ai linguaggi della modernità, incarnando atteggiamenti totalmente antistorici, e tanto meno una decisa marcia a passi nostalgici verso un ritorno al passato. Se costoro credono che ciò sia possibile, anzi auspicabile, ciò significa che non hanno capito nulla delle vere sfide che pervadono il nostro futuro, anzi nelle quali già siamo immersi, che necessitano di sempre più aggiornate e sofisticate ricerche nel nuovo, coraggiose spinte nel palinsesto di reali orizzonti di sviluppo per l'habitat in cui viviamo, spirito di avventura in pragmatiche azioni al disvelamento di quanto davvero conta per migliorare la vita di tutti.
Di una cosa siamo sicuri: Renzo Piano, autore di The
Shard
in London (nella foto che apre l'articolo), non avrebbe mai costruito
un grattacielo a Venezia e, men che mai, il più alto d'Italia. Avrebbe
certamente proposto dell'altro, adottando canoni estetici ispirati alla
laguna, dettati da misura e senso della storia.
Ogni volta che nasce un nuovo gigante edilizio capace di superare i record mondiali di altezza, o quanto meno di oltreppassare gli edifici che gli stanno attorno, in qualche grande città mondiale (ma l'evento non è frequentissimo), si scomoda il movimento dei "nemici del grattacielo", attraverso qualcuno dei suoi affiliati, abbastanza numerosi), per maledire l'evento come se esso costituisse una decretazione di morte del genere umano.
I processi al grattacielo si fanno infatti sostanzialmente da quando esistono i grattacieli. Essi sono sempre stati marchiati da un principio di conservazione dello statu quo che poco si spiega se non come tendenza a radicalizzare una componente umana inalienabile che esiste forse da quando esiste l'uomo: quella di non sapersi dare un limite nella corsa al nuovo, al superamento di sè o dei competitori, di "volare alto". Fin dai tempi delle medioevali città turrite, infatti, esiste questo slancio, e dunque ancor più vi è oggi, ove le tecnologie giocano un ruolo decisivo sia in sicurezza che in innovative performances.
Vogliamo cogliere l'occasione, ora, argomentando di grattacieli, come potremmo fare di qualunque altro fattore che muova il dibattito sui grandi temi attuali dell'architettura, per cercare di fare chiarezza non tanto su quale sia il destino stesso dell'architettura, come alcuni catastrofisti fanno da sempre ad intervalli regolari di tempo, quanto su quali siano i fattori che determinano talvolta la rinuncia ad una vera qualità architettonica, preferendovi assai spesso una mediocrità indistinta ed incolore, o un'amalgama di vere nefandezze, nei casi peggiori. Il problema è allora un altro: il vero problema della sostenibilità ambientale non è tanto un fattore quantitativo, ma qualitativo. Ed è questa la cosa che più è difficile da distinguere, purtroppo, per chi non opera una approfondita conoscenza di tali pratiche, preferendo condannare nel mucchio, auspicando l'avvento d'un passato non più possibile. Anzi, la questione è eminentemente connessa al tema della qualità, essendosi dimostrato in più occasioni che i problemi del contenimento energetico, del traffico indotto, della polluzione, tipici del momento storico nel quale viviamo, dei quali siamo per fortuna giunti ad una piena consapevolezza, sono problemi già ampiamente risolti sul piano delle tecnologia adottabili, o che addirittura possono essere positivamente affrontati proprio dalle più moderne strutture che si sviluppano oggi in altezza, al centro delle maggiori città mondiali.
Il problema oggi è dunque amministrativo, e non più solo tecnico, ovvero è costituito dalle politiche urbane legate al loro sviluppo, più che alla loro crescita. Un grattacielo come il londinese nuovo The Shard costituisce un modello di come debbasi costruire oggi un grattacielo, e non già un ostacolo allo sviluppo equilibrato delle città. Naturalmente tutto ciò vale fatti i debiti distinguo tra città e città, tra le diverse esigenze che si mostrano all'uomo a seconda dei climi, delle latitudini, delle culture, della storia.
Il problema odierno delle più grandi città, ed in particolare delle città storiche mondiali di non recente formazione, è assai più legato ad esigenze di carattere qualitativo-estetico e di buon funzionamento della vita dei suoi cittadini, o di chi vi risiede durante il giorno per motivi di lavoro, o di turismo, piuttosto che legato a puri vincoli culturali. E' per questo che la realizzazione di strutture alte spesso porta con sè la soluzione di problemi, piuttosto che la creazione di nuovi problemi, sempre che esse siano frutto di una progettazione attenta al loro impatto con l'ambiente, e rientrino in processi di pianificazione attentamente studiati finalizzando, per esempio, lo spazio resosi disponibile al suolo per la creazione di ampie superfici destinate ai servizi per i cittadini, sostituendosi a tutte quelle parti di città che si sono dismesse per avvenuto termine del loro ciclo di vita.
Tutto ciò ha accompagnato la realizzazione a Londra di The Shard, la cui realizzazione ha comportato l'adozione di rigidissimi criteri di autonomia energetica, nonchè l'assoluta autonomia dal traffico privato, facendo sì che la presenza della torre più alta di Londra non dovesse comportare cambiamenti traumatici a tutto quanto avveniva nel suo intorno prima della sua venuta, e il benchè minimo condizionamento al traffico veicolare privato nelle strade dell'intero settore di città da esso investito.
I processi al grattacielo si fanno infatti sostanzialmente da quando esistono i grattacieli. Essi sono sempre stati marchiati da un principio di conservazione dello statu quo che poco si spiega se non come tendenza a radicalizzare una componente umana inalienabile che esiste forse da quando esiste l'uomo: quella di non sapersi dare un limite nella corsa al nuovo, al superamento di sè o dei competitori, di "volare alto". Fin dai tempi delle medioevali città turrite, infatti, esiste questo slancio, e dunque ancor più vi è oggi, ove le tecnologie giocano un ruolo decisivo sia in sicurezza che in innovative performances.
Vogliamo cogliere l'occasione, ora, argomentando di grattacieli, come potremmo fare di qualunque altro fattore che muova il dibattito sui grandi temi attuali dell'architettura, per cercare di fare chiarezza non tanto su quale sia il destino stesso dell'architettura, come alcuni catastrofisti fanno da sempre ad intervalli regolari di tempo, quanto su quali siano i fattori che determinano talvolta la rinuncia ad una vera qualità architettonica, preferendovi assai spesso una mediocrità indistinta ed incolore, o un'amalgama di vere nefandezze, nei casi peggiori. Il problema è allora un altro: il vero problema della sostenibilità ambientale non è tanto un fattore quantitativo, ma qualitativo. Ed è questa la cosa che più è difficile da distinguere, purtroppo, per chi non opera una approfondita conoscenza di tali pratiche, preferendo condannare nel mucchio, auspicando l'avvento d'un passato non più possibile. Anzi, la questione è eminentemente connessa al tema della qualità, essendosi dimostrato in più occasioni che i problemi del contenimento energetico, del traffico indotto, della polluzione, tipici del momento storico nel quale viviamo, dei quali siamo per fortuna giunti ad una piena consapevolezza, sono problemi già ampiamente risolti sul piano delle tecnologia adottabili, o che addirittura possono essere positivamente affrontati proprio dalle più moderne strutture che si sviluppano oggi in altezza, al centro delle maggiori città mondiali.
Il problema oggi è dunque amministrativo, e non più solo tecnico, ovvero è costituito dalle politiche urbane legate al loro sviluppo, più che alla loro crescita. Un grattacielo come il londinese nuovo The Shard costituisce un modello di come debbasi costruire oggi un grattacielo, e non già un ostacolo allo sviluppo equilibrato delle città. Naturalmente tutto ciò vale fatti i debiti distinguo tra città e città, tra le diverse esigenze che si mostrano all'uomo a seconda dei climi, delle latitudini, delle culture, della storia.
Il problema odierno delle più grandi città, ed in particolare delle città storiche mondiali di non recente formazione, è assai più legato ad esigenze di carattere qualitativo-estetico e di buon funzionamento della vita dei suoi cittadini, o di chi vi risiede durante il giorno per motivi di lavoro, o di turismo, piuttosto che legato a puri vincoli culturali. E' per questo che la realizzazione di strutture alte spesso porta con sè la soluzione di problemi, piuttosto che la creazione di nuovi problemi, sempre che esse siano frutto di una progettazione attenta al loro impatto con l'ambiente, e rientrino in processi di pianificazione attentamente studiati finalizzando, per esempio, lo spazio resosi disponibile al suolo per la creazione di ampie superfici destinate ai servizi per i cittadini, sostituendosi a tutte quelle parti di città che si sono dismesse per avvenuto termine del loro ciclo di vita.
Tutto ciò ha accompagnato la realizzazione a Londra di The Shard, la cui realizzazione ha comportato l'adozione di rigidissimi criteri di autonomia energetica, nonchè l'assoluta autonomia dal traffico privato, facendo sì che la presenza della torre più alta di Londra non dovesse comportare cambiamenti traumatici a tutto quanto avveniva nel suo intorno prima della sua venuta, e il benchè minimo condizionamento al traffico veicolare privato nelle strade dell'intero settore di città da esso investito.
The Swiss Re Tower, conosciuto anche come "Il cetriolo" a causa della sua inconsueta forma, è opera di Norman Foster e del suo ex socio Ken Shuttleworth
Il grattacielo, in tali contesti, è malvisto in quanto simbolo fisico di una cultura che ad essi non dovesse appartenere, direttamente ricollegabile ai gangli di un sistema al quale non ci si sente di appartenere, icona stessa dei poteri che si vorrebbero annientare. Al di là di tali considerazioni, che potremmo definire pre-politiche, dobbiamo ammettere che altre volte i detrattori del grattacielo portano in sè esclusivamente il fastidio per il cambiamento che esso provoca nei luoghi dove sorge, immediatamente circostanti, ma anche e soprattutto d'ampio raggio, che contraddice o deturpa l'immagine dello skyline al quale una certa visione romantica della realtà aveva determinato un rapporto quasi affettivo.
Qui sopra: un disegno a matite colorate di Frank Lloyd Wright del progetto (non realizzato) per il suo "grattacielo alto un miglio". Trattasi, con tutta probabilità di una utopia, per l'epoca nella quale fu disegnato, sia in termini economici che tecnologici. E' infatti ancora oggi problematica la realizzazione di una struttura che superi i 600-700 metri di altezza (circa la metà di quello di Wright). Vi è una certa analogia nella impostazione di Renzo Piano per The Shard con quella che F.L. Wright aveva immaginato per questo suo grattacielo nello stato dell'Illinois. Non è un caso infatti: la qualità architettonica ha infatti sue leggi estetiche, le quali, per certi versi, travalicano mode e culture del momento. Certo la qualità che Piano ha oggi determinato nella sua recente realizzazione va oltre alla pura estetica, e coinvolge al cento per cento ogni aspetto della qualità di vita che le moderne tecniche sono riuscite ad esprimere, ivi incluse quelle relative ai risparmi energetici. Oggi infatti sono importanti valori anche quelli che fanno scarseggiare, piuttosto che incrementare certi numeri: è noto infatti che pochissimi, anzi strettamente necessari per la sicurezza, sono i posti auto posti alla base di The Shard (e da ciò ne consegue che verranno disincentivati i mezzi privati a vantaggio di quelli pubblici per raggiungere o per allontanarsi dal grattacielo. Osservando invece il disegno del grattacielo wrightiano in Illinois appaiono evidenti gli enormi parcheggi che vi sono stati predisposti alla base (i tempi non erano ancora sufficientemente maturi per immaginare questa rivoluzione all'incontrario)
Abbiamo riportato, sopra al titolo, una efficace immagine dal basso del nuovo "Shard", la struttura in cemento acciaio e vetro inaugurata a Londra settimana scorsa dal suo progettista, l'architetto italiano Renzo Piano. Abbiamo voluto aprire queste considerazioni con questa immagine per un duplice motivo: prima di tutto perchè, tra tutti i grattacieli che la storia dell'architettura ad oggi ha proposto, questo di Piano (poichè certamente esso passerà alla storia) è sicuramente tra i più belli (il tema della bellezza in architettura ha diverse radici e, pur avendo una sua precisa autonomia, è pur sempre assimilabile a quelle d'ogni altro campo al quale voglia essere affiancato); il secondo motivo è quello che ci ha spinto a tali considerazioni, ovvero proporre un nuovo dibattito sul tema del "grattacielo", cercando punti comuni che sappiano coniugare i pro e i contro in una visione sulla quale possa convenire il maggior numero di persone. Ciò vorremmo poter fare in quanto l'argomento sembra oggi dividere l'opinione pubblica, ed a volte perfino gli stessi addetti ai lavori, più di quanto non abbia fatto in passato, ove forse più frequente era l'entusiasmo nei confronti della "gara verso i cieli", anche, e forse soprattutto, perchè si era sempre pensato che la questione riguardasse solamente le "città vocate", tipo New York, Chicago, Hong Kong, Tokyo, e non invece tutte le città del mondo, che si credevano ummuni a tale genere di "discutibile evento". A tal proposito abbiamo recentemente registrato (vedi Torre Pierre Cardin: http://taccuinodicasabella.blogspot.it/2012/08/ennesimo-sciagurato-progetto-per.html), e qui anche ne riportiamo un'immagine, che perfino Venezia, se non ne verrà sventato lo sciagurato progetto, è divenuta terreno di coltura per uno dei grattacieli più giganteschi d'Europa, a dimostrazione che le qualità di un grattacielo risiedono sia nel suo contenuto architettonico, sia nella sua contestualità (cosa che, del resto, vale per ogni altro oggetto architettonico. Ma nel caso di un grattacielo, o di ogni edificio che abbaia proporzioni insolitamente elevate, ciò richiede una generalizzata ed inalienabile condivisione).
Qui sopra una veduta diurna del cantiere in stato avanzato di realizzazione delle nuove volumetrie edilizie, comprendenti nuovi grattacieli, alle "Ex Varesine" di Milano, presso la Stazione di Porta Garibaldi, opera dell'architetto italo-americano Lee Polisano, dello studio di architettura Kohn Pedersen Fox, affiancato da Paolo Caputo. Inoltre un rendering delle strutture una volta terminate, proposte in versione notturna. Sotto: Esempio di progetti milanesi di grattacieli, già soprannominati dalla popolazione "grattacieli storti", al centro dell'area dell'ex Fiera Campionaria, ora in fase di totale ricostruzione dopo l'avvenuta demolizione della Fiera nell'anno 2010. I tre grattacieli sono stati progettati da tre firme di fama internazionale dell'architettura: Zaha Hadid, Daniel Lebeskind e Arata Isozaki.
Gli esempi riportati la dicono lunga circa la non diretta corrispondenza tra qualità del prodotto architettonico e importanza della firma che ne ha realizzato il disegno. Non è quest'ultima infatti necessariamente una garanzia. Tutti i progetti qui rappresentati sono frutto di recenti decisioni prese dall'amministrazione Moratti, che ha preceduto l'attuale amministrazione della città. Essa si è caratterizzata per aver effettuato scelte azzardate di politica urbanistica ed edilizia, tanto da aver massicciamente innalzato le volumetrie costruibili nelle aree centrali della città, e per aver affidato incarichi professionali senza aver messo in atto un minimo di dibattito pubblico almeno sulle opere che avrebbero condizionato per sempre l'immagine della città. Sciaguratamente molte delle realizzazioni nell'area delle Ex Varesine sono quasi completate, mostrando il loro squallido lascito di tronfia vacuità e di gigantesca debolezza formale, così determinando un calo generalizzato della attrattività che la città e la sua cultura da sempre avevano forgiato attorno ai grandi cicli della sua storia.
Perfino per noi italiani, che abbiamo più di quanto fatto in altri paesi, cercato di equilibrare la struttura delle nostre città moderne a quella dei modelli che tuttora ne caratterizzano i nuclei antichi, come fossero capaci da soli, questi, a fare da anticorpi rispetto a strutture ad essi incongrue, abbiamo sperimentato di recente, per esempio a Milano (ma come a Milano così anche in diverse altre città mitteleuropee), quali e quanti siano stati gli appetiti di chi costruisce e di chi governa la città, tanto da produrre in pochi anni cambiamenti epocali dello standard altimetrico e volumetrico, ma soprattutto qualitativo, della nuova produzione architettonica, che vede giganteggiare in pieno centro città veri e propri mostri, incapaci di suscitare quell'orgoglio che i milanesi avevano provato collettivamente per il grattacielo Pirelli di Gio Ponti, e il Velasca dei BBPR, per quanto in essi aveva saputo fondersi perfettamente con la loro città.
Mai come ora invece tanto volgare pochezza, e tanta bruttezza, aveva preso il sopravvento. Tutto ciò è insostenibilità. Tutto ciò si traduce in incalcolabili perdita di bellezza, e degrado delle economie più vive della città, e degrado quindi della promozione nel mondo degli affari, della moda, dell'arte, del design, del turismo. Tutto ciò si impoverisce, attorno a quegli squallidi volumi di bruttezza, ogni aspetto della vita cittadina perde peso e coscienza di sè. L'economia cittadina si incarta perdendo lo slancio del suo originario orgoglio.
Questa torre, che Pier Cardin vorebbe realizzare entro un paio d'anni a Venezia, è uno dei peggiori esempi di buona contestualizzazione architettonica ed uno dei più sciagurati esempi di incultura storico-ambientale che mai siano stati proposti nella storia dell'architettura di tutti i tempi, ed italiana in particolare. Un tributo alla pura "immagine del prodotto" e al merchandising come unico orizzonte esistenziale. Uno sfregio al senso della storia, e della società rappresentata nell'ambiente appropriato alla sua comunità. Uno spregio al patrimonio di tutti e alla volontà di trasmettere valori prima che immagini ad effetto. La sua costruzione incombe ancora come possibile, dopo l'avvenuto lancio pubblicitario che ha riempito in questi giorni le pagine dei giornali, e solo la voce di tutti coloro che hanno a cuore il destino dell'unica e irripetibile città lagunare potrà sventarne la realizzazione.
Vedi: (http://taccuinodicasabella.blogspot.it/2012/08/ennesimo-sciagurato-progetto-per.html).
Nonostante tutto ciò continuiamo ad essere convinti che ogni grande città mondiale non debba smettere di costruire grattacieli. Perchè, come ogni buon progettista di grattacieli deve sapere (o dovrebbe sapere), ed ogni cittadino che ne voglia dare una valutazione dovrebbe sapere, ogni situazione deve essere analizzata nelle sue specificità. Ed allora potremmo dire che, così come è giusto che Londra si sia dotata oggi di un grattacielo quale The Shard, meno giusto ci sembra che a Dubay City si continui a costruire come si è costruito nell'ultimo decennio, e che appare totalmente inopportuna la struttura che vi sta per essere terminata, alta 800 metri, anche se la sua forma in qualche modo richiami l'archetipo wrightiano e, conseguentemente, la londinese Scheggia di Renzo Piano, a sua volta nata sulla stessa affascinante matrice. L'inopportunità deriva infatti, se ben richiamiamo ogni aspetto della questione fin qui descritto, sia per le condizioni climatiche estreme a cui la struttura è sottoposta a causa della vicinanza col deserto, ma più ancora, assai di più, dall'essere lontana anni luce dalle culture che hanno dominato in quelle terre fino a un paio di decenni fa, richiamatesi invece ai "fasti d'occidente", assai allettanti per le classi dominanti le cui ricchezze derivano dalle esportazioni di petrolio in occidente. Potremmo dire perfino che ci sembra giusto per i piccoli Paesi come Hong Kong oppure Montecarlo costruire in altezza, avendo disponibili scarse superfici di terreno, ma non per questo che si sia potuto dare il via in essi a complessi edilizi di tale densità da diventare improponibili luoghi di vita per ogni essere umano, come è accaduto troppo di frequente, e come, dall'ultima foto che vi mostriamo, potete voi stessi giudicare.
Mai come ora invece tanto volgare pochezza, e tanta bruttezza, aveva preso il sopravvento. Tutto ciò è insostenibilità. Tutto ciò si traduce in incalcolabili perdita di bellezza, e degrado delle economie più vive della città, e degrado quindi della promozione nel mondo degli affari, della moda, dell'arte, del design, del turismo. Tutto ciò si impoverisce, attorno a quegli squallidi volumi di bruttezza, ogni aspetto della vita cittadina perde peso e coscienza di sè. L'economia cittadina si incarta perdendo lo slancio del suo originario orgoglio.
Questa torre, che Pier Cardin vorebbe realizzare entro un paio d'anni a Venezia, è uno dei peggiori esempi di buona contestualizzazione architettonica ed uno dei più sciagurati esempi di incultura storico-ambientale che mai siano stati proposti nella storia dell'architettura di tutti i tempi, ed italiana in particolare. Un tributo alla pura "immagine del prodotto" e al merchandising come unico orizzonte esistenziale. Uno sfregio al senso della storia, e della società rappresentata nell'ambiente appropriato alla sua comunità. Uno spregio al patrimonio di tutti e alla volontà di trasmettere valori prima che immagini ad effetto. La sua costruzione incombe ancora come possibile, dopo l'avvenuto lancio pubblicitario che ha riempito in questi giorni le pagine dei giornali, e solo la voce di tutti coloro che hanno a cuore il destino dell'unica e irripetibile città lagunare potrà sventarne la realizzazione.
Vedi: (http://taccuinodicasabella.blogspot.it/2012/08/ennesimo-sciagurato-progetto-per.html).
Nonostante tutto ciò continuiamo ad essere convinti che ogni grande città mondiale non debba smettere di costruire grattacieli. Perchè, come ogni buon progettista di grattacieli deve sapere (o dovrebbe sapere), ed ogni cittadino che ne voglia dare una valutazione dovrebbe sapere, ogni situazione deve essere analizzata nelle sue specificità. Ed allora potremmo dire che, così come è giusto che Londra si sia dotata oggi di un grattacielo quale The Shard, meno giusto ci sembra che a Dubay City si continui a costruire come si è costruito nell'ultimo decennio, e che appare totalmente inopportuna la struttura che vi sta per essere terminata, alta 800 metri, anche se la sua forma in qualche modo richiami l'archetipo wrightiano e, conseguentemente, la londinese Scheggia di Renzo Piano, a sua volta nata sulla stessa affascinante matrice. L'inopportunità deriva infatti, se ben richiamiamo ogni aspetto della questione fin qui descritto, sia per le condizioni climatiche estreme a cui la struttura è sottoposta a causa della vicinanza col deserto, ma più ancora, assai di più, dall'essere lontana anni luce dalle culture che hanno dominato in quelle terre fino a un paio di decenni fa, richiamatesi invece ai "fasti d'occidente", assai allettanti per le classi dominanti le cui ricchezze derivano dalle esportazioni di petrolio in occidente. Potremmo dire perfino che ci sembra giusto per i piccoli Paesi come Hong Kong oppure Montecarlo costruire in altezza, avendo disponibili scarse superfici di terreno, ma non per questo che si sia potuto dare il via in essi a complessi edilizi di tale densità da diventare improponibili luoghi di vita per ogni essere umano, come è accaduto troppo di frequente, e come, dall'ultima foto che vi mostriamo, potete voi stessi giudicare.
L'ultimo grattacielo costruito a Dubai, alto 800 metri. Anche la sua foggia richiama l'archetipo wrightiano. Qui sotto: una immagine da incubo: un frammento di cielo tra un gruppo di grattacieli costruiti ad Hong Kong
Una immagine da incubo: un frammento di cielo tra un gruppo di grattacieli ad Hong Kong
Di una cosa siamo sicuri: Renzo Piano, autore di The Shard
in London (nella foto che apre l'articolo), non avrebbe mai costruito
un grattacielo a Venezia e, men che mai, il più alto d'Italia. Avrebbe certamente proposto dell'altro, adottando canoni estetici ispirati alla laguna, dettati da misura e senso della storia.
Enrico Mercatali
Lesa, 6 agosto 2012
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