THE MAGAZINE OF THOUGHTS, DREAMS, IMAGES THAT PASS THROUGH EVERY ART OF DOING, SEEING, DISCOVERING

28 August 2012

Le torri della modernità






Eiffel, Tatlin, Kapoor

precursori d'una estetica monumentale
che irradia lo spirito del moderno




Un'unico filo unisce la turrita esperienza dei pionieri del Moderno che, in pieno '800, attraverso l'uso di tecnologie d'avanguardia, hanno conosciuto inediti risvolti estetici, agli ingegnosi modelli costruttivi di dimensioni gigantesche che l'arte contemporanea mette oggi al servizio dei sogni collettivi. Da Eiffel a Kapoor, attraverso Tatlin, si rinnova la storia che, da quando esiste l'uomo, mette in campo puri simboli per dire quanto l'uomo sia vivo ed eternamente attivo, nelle positività del suo istinto divulgativo di conoscenza.
Qui sotto la Torre di Tatlin in un fotomontaggio che la rappresenta nell'ambiente moscovita per il quale fu progettata in un render d'epoca capace di farcene immaginare l'originario intento monumentale.






Questo articolo ci è stato suggerito proprio dai detrattori della modernità, dal dilagante negativismo populista, anzi, potremmo perfino dire dai "negazionisti" della positività fortemente documentata del benessere che il moderno, in tutte le sue forme scientifiche, tecniche, artistiche,  ha introdotto  nella società da un secolo e mezzo a questa parte. Ad essi abbiamo già dedicato un altro articolo sui grattacieli, come tipologia architettonica che non riteniamo morta, come alcuni vorrebbero, ma al contrario assai viva e ricca di futuro, destinata ad abitationi, uffici, centri commerciali, alberghi, centri espositivi, ristoranti e via dicendo, ovvero alle funzioni della vita moderna che tutti i giorni accomuna gli interessi ed i bisogni di ampi strati di popolazione delle grandi aree metropolitane del mondo.
Questo di oggi, invece, vuole essere un richiamo più immateriale, più psicologico, più iconico, ai bisogni umani della modernità metropolitana, che, per certi versi, corre in parallelo alla rinascita del bisogno di realismo, ed al riemergere del pensiero forte, contro alle lusinghe della soggettività e dei suoi deboli strati di pensiero interpretativo dai mille rivoli quasi sempre pregni di sostanziale negatività.


Qui sopra,  una carrellata di torri dell'età antica, dalla piramide di Ur alle piramidi di Giza, dal Minareto di Samarra el Faro di Alessandria, alla Torre di Babele (in foto, riproduzioni  e dipinti fantasiosi). L'eterna volontà dell'uomo di innalzarsi al cielo è qui ben espressa fino dall'antichità. Nelle forme moderne tale anelito non può dirsi cambiato. Esso è tuttora ben presente nelle realizzazioni più recenti che si documentano dal mondo intero.


Non sono tempi questi di grandi festeggiamenti, ce ne rendiamo perfettamente conto, dato che ogni giorno le cronache parlano fin troppo di indici negativi, di conti alle stelle che più neppure gli stati riescono a fronteggiare se non con l'aiuto di altri, di magri, magrissimi bilanci familiari e societari, di disoccupazione galoppante, di strette creditizie perfino per le banche, da parte degli istituti centrali e sovranazionali. Sembra perciò del tutto fuori luogo l'inno colletivo che le attuali torri vogliono intonare verso un futuro che non possiede alcuna capacità di dare segni incoraggianti nella direzione di un suo prossimo divenire. Anzi, potrebbe sembrare sbagliato urlare un gioia che non c'è, diffondendone i bagliori quando qiesti non si vedono, e neppure si odono da lontano.
Noi crediamo invece nel contrario. Crediamo che proprio nel momento più basso, occorra giardare in alto, crediamo che la fiducia di tutti nel domani migliore sia ciò che seva ora per dare la migliore spinta alle forze che pur ci sono nel mondo, all'economia, alla scienza, alle arti, e tutto ciò che occorre a smuovere le coscienze di ciascuno per un compito che è di tutti. Crediamo in quelle torri simboliche che servano a rafforzare ogni fede laica nella capacità dell'uomo di trovare i modi per uscire dalla crisi che ne attanaglia i passi, crediamo in tutto ciò che ridia senso al pensiero collettivo, indirizzandolo ed ispirandolo, sulla strada della demolizione di tutto ciò che funzione in negativo contro di lui, al nichilismo della ragione, al negativismo dello spirito innovativo, al negazionismo dell'utopia e del volare alto, al sedentarismo ideologico, nonchè troppo spesso anche morale.



La Tour Eiffel, costruita tra il 1887 e il 1889 per l'Esposizione Universale parigina (1889) che doveva celebrare il centenario della rivoluzione francese, è qui mostrata in varie immagini. La prima riproduce la torre mentre è in costruzione. le successive mostrano la mole in ferro secondo vedute che ne evidenziano l'estrema varietà morfologica e la ricchezza tipologica che proprio affascinò gli artisti a lei contemporanei. In particolare l'ultima immagine destava all'epoca particolare stupore per il gigantismo degli apparati elettromeccanici che ne movimentavano gli elevatori. Fu un vero shock per i visitatori. I più conservatori vollero la sua demolizione fondamentalmente perchè infastiditi dalla presenza di un così gigantesco elemento di rottura nel pieno centro della loro città tutta in pietra. Fu proprio il nuovo materale, così lasciato a nudo, ad esercitare le maggiori perplessità su chi non era pronto a rinnovare l'immagine della Ville Lumiere,  proiettandola in un futuro ancora tutto da scoprire, quello che l'avrebbe poi divulgato come "belle epoque". La torre, alta 324 metri, è rimasta la struttura più alta del mondo per oltre 40 anni. Divenne simbolo di Parigi, nella sua unicità formale, oltre che di arditezza, eleganza, slancio. Solo Tatlin volle uguagliarla, alla ricerca di una nuova simbologia che fosse capace di altrettanta forza espressiva, per rappresentare l'esperimento sociale più ardito, della rivoluzione intrapresa nel suo Paese nel 1917.


Le grandi torri del moderno, ancorchè vuote di contenuti direttamente funzionali, che abbiamo qui simboleggiato nelle tre torri d'acciaio che hanno attraversato i due secoli appena trascorsi, quella di Gustav Eiffel per l'Esposizione Internazionale di Parigi del  , la torre mai costruita, ma divenuta la più forte icona turrita del XX secolo, che Vladimir Tatlin volle dedicare alla III Internazionale nel  , e la più recente torre che Anish Kapor ha realizzato per le Olimpiadi 2012 di Londra, sono testimoni d'una tendenza che ha attraversato per intero la storia dell'uomo, quella di rappresentare il suo eterno desiderio di volare alto, costruendo simboli capaci di cementare linguaggi comuni, di segnare la strada degli intendimenti positivi di valenza collettiva, di creare icone sostanzianti i  più autentici ideali di conoscenza e di sapienza collettiva nella spinta verso un progresso, portatore di civiltà e benessere.


La Torre di Tatlin, come ormai nota definizione in ogni testo storico e tecnico, in un disegno originale eseguito dall'autore, nella foto di un modello in grande scala e in una foto d'epoca, come e esposta al pubblico nel corso della maniestazione moscovita per la III Internazionale. Sotto il pittore e scultore Vladimir Tatlin in una foto, mentre lavora nel suo studio alla elaborazione della famosa icona del moderno, nonchè della rivoluzione d'ottobre del 1917. Lo stesso anno con Rodcenko fonda il movimento costruttivista, ispirato all'idea di contribuire alla costruzione di una nuova società nella quale gli uomini non dovessero sopraffarsi l'un l'altro. La torre è il cardine del nuovo movimento, al quale aderirono artisti ed architetti come A. Vesnin e K. Mel'nikov. Essa avrebbe dovuto essere alta oltre 400 metri (ossia più della Torre Eiffel), e la sua forma conica molto dinamica, generata da una doppia spirale in ascesa (forse ispirata alla Torre di Babele), contenente al centro una torre conica formata da diverse forme geometriche. La complessità della sua concezione vuole rappresentare la complessità del progetto sociale che lo stato sta per intraprendere, per il quale tutto il popolo russo è chiamato a  contribuire.





L'acciaio è stato il materiale che più ha ispirato le realizzazioni artistiche dell'Ottocento e del  Novecento in grande scala, e che, più di altri materiali, si è prestato ad essere utilizzato senza il bisogno di essere necessariamente ricoperto, o mimetizzato. La purezza delle sue linee di forza ha coinvolto e sviluppato tecniche di assemblaggio e costruttive che si prestavano perfettamente, ieri come oggi, e diversdamente da altri materiali precedenti e successivi, ad essere lasciate libere di esprimersi nella loro integra essenza. Secondo Sigfrid Giedion è stata proprio tale trasparente essenzialità, nella Torre Eiffel, ad ispirare il Cubismo, nella evidente e nuova quadridimensionalità sensoraile dell'esperienza da essa suscitata in chi la percorre internamente (vedi S. Giedion: Spazio, Tempo e Architettura"). Naturalmente numerosissimi sono anche invece gli esempi di analoche strutture metalliche interamente ricoperte. Gustav Eiffel ne realizzò una a New York, interna alla famosa Statua della Libertà, condizionata dalla forma stessa della figura che sorregge.



Sembrava che tale tipologia costruttiva dovesse essere confinata alle esperienze a cavallo dei secoli XIX e XX. Se non che oggi, invece, ce ne ritroviamo una nuova, dalle forme annodate e bizzarre, proprio nella città ove maggiormente forse si sono espressi esperimenti turriti d'altro tipo, nei grattacieli di Rogers, di Foster, di Piano, e che mai avremmo pensato potesse ancora mostrare i suo volto una torre in profili d'acciaio, alla maniera ottocentesca, riveduta e corretta secondo i parametri formali e tecnologici della contemporaneità. Oggi ancora Kapoor e Arup così l'anno voluta, anche per dire che quei paradigmi costruttivi non avevano esaurito le loro potenzialità, capaci come sono ancora oggi di evolvere in forme innovative e più che mai espressive.  E' questa una strana esperienza per Kapoor, che lo chiama in causa non già per una forma "pura", come generalmente è stato nella sua arte pubblica, ma con un gioco più complesso di forme e di funzioni.Come è accaduto per la Tour Eiffel anche questa torre resterà certamente a ricordare l'evento per il quale fu reralizzata. Diverrà anch'essa richiamo per i turisti di passaggio a Londra e ben presto verrà congelata a sua volta dentro al ruolo di icona.
Poichè crediamo che l'evoluzione tecnica e artistica non conosce punti di arresto, e che in futuro vi saranno altre torri a documentare il salto dell'uomo verso il futuro, stiamo già cercando di immaginarcene l'aspetto. Questa invece è l'operazione più difficile che si possa immaginare di fare, e bisogna intanto aspettare che i nuovi tempi maturino.



Immagini rendering e fotografie della torre realizzata da Anish Kapoor e Studio Arup a Londra, ed inaugurata per l'apertura delle Olimpiadi 2012. La torre rappresenta una sintesi scultoreo-architettonica dell'idea di torre moderna, priva di reali funzioni che non siano puramente rappresentative e segnaletiche, secondo una simbologia urbana già sperimentata negli ambiti delle esposizioni universali o nelle manifestazioni olimpioniche internazionali. La torre, comunque, così come le strutture storiche che l'hanno preceduta, possiede impianti di risalita e piattaforme di osservazione dotate di bar-ristorante. E' interessante notare come, per tali tipi di strutture, come oggi anche in passato, non sono stati architetti, bensì importanti ingegneri strutturali e o artisti-scultori. Dopo la torre dell'ingegnere e costruttore Eiffel, la totte di Tatlin, pittore e scultore russo, e quindi oggi Kapoor e Arup, rispettivamente scultore-installatore e Studio di Ingegneria strutturale. Una eccezione fu rappresentata dalla torre "Littoria", oggi Branca, a Milano, nel parco Sempione presso la Triennale, progettata da Gio Ponti, artista e architetto milanese, operativo tra gli anni '30 e '60, qui sotto riprodotta in fotografia.


Enrico Mercatali
Lesa, 28 agosto 2012

19 August 2012

Interact with the spaces in which we live n. 3 - by Enrico Mercatali and Vanessa Passoni





The new column of
 Taccuini  Internazionali
 


To understand the domestic spaces
where we live


 

by Enrico Mercatali and Vanessa Passoni
 


3





With a double East-West approach
we will better understand the environment
in which we spend much of our time






In this third article Taccuini Internazionali, after treating some methodological and historical preambles  in the previous ones, starts its survey of the quality of domestic spaces, some of which were chosen by our readers.
We intend to keep analyzing, in our future articles, one house at the time, by examining its rooms and the spirit of its whole, describing the architectural and furnishing characteristics at first, then its merits and faults from the point of view of the inhabitants’ psychology and health; for now, we prefer to keep considering various environments, belonging to some houses that have different typologies and functionalities: a kitchen, a bathroom, a living room, a dining room etc..

In the previous articles we have introduced the topic by showing how important it can be for man to live in an environment being appropriate for his mental and physical health, which, according to western thought, means avoiding the stress caused by a wrong setting of the plan, or by the bad conditions of its external exposure, linked to the surrounding environment; we have eventually made a parallel with the Yin-Yang eastern thought and practice. 

We have then considered some houses realized by the “Masters” of architecture, in order to show that these positive effects on their stereometries and their furnishings and fittings don’t necessarily come from pure appearance or fashion, but rather from other factors usually less pondered by both planners and buyers: they have rarely been able to understand, before starting with the construction, how suitabile the location could be for them to put down roots.
We have started from the biggest names of modern architecture and their most well-known houses in order to show these theories, which have just partly explained the “clear fame” of their architectures - so conspicuously published after they were submitted to the critics and the international public: many faults have been detected, not only by us but by their very owners, both during and after the building process.

Today we want to start a different examination, less related to these works’ chronicles or history due to the excellence of their self-representation in building art; we will show you some small environments randomly selected from the web, from trade or custom magazines, or suggested by the readers themselves: 



1



Kitchen loft New-York




This entirely white environment, with a luminous full-lenght window characterizing and defining it, has drawn its inspiration from a “machine à habiter” of rationalist origin. Even its considerable depth and the double height of the living room seem to draw on Le Corbusier’s Unitè d’Habitation. The wide glass wall, which appears to overlook a loggia with some greenery, facing in its turn a courtyard of adequate proportions aimed at granting privacy and intimacy, is not enough to do justice to such a faulty distribution of functions: the kitchen would have been perfect if placed in the corner (not visible in the picture) on the lower floor, next to the living room and far from the glass wall. A bedroom would perfectly fit this position, especially if it was partially convertible to a small office, from which to get a bird’s-eye view on the whole room’s volume.  This way, from the less private parts of the house, we could have safeguarded the intimacy more peculiar to the other rooms. It must be said that such a long flight of stairs should never separate two strongly interconnected spaces like the kitchen and the living room. Pretty sad, finally, those two seats for eating without looking in each other’s eyes, but gazing into the distance, indeed staring into space. 

The clean geometries and the really wide glass wall allow a strong access of Qi energy in the living area of this loft, whose real actors are light and space. Since the raised kitchen has water and fire at its disposal close to the wall, they don’t disturb the zone below, but instead of focusing on the convivial sphere, the most fashionable american style has been followed, by privileging the idea of a voluminous central service counter. Thus, the kitchen becomes too rectangular, the heavy Yin influence ends up turning into a too cold Yang, reducing the dining area to an isolated and reflective station rather than a space for collaboration and sharing.  


 2



 Kitchen in Stockholm




This glimpse of nordic flat highlights and emphasizes the traditional distributive structure of the house, which separates the rooms designed for food preparation and consumption from the living room. The long view, with a wide full-lenght window at the bottom, strengthens the idea of a great availability of space and a pleasant freedom of movement. The almost obsessive use of white colour (even the wooden floor) and the dominant choice of Ikea furniture (included the beautiful natural beech table close-up, maybe the best piece of furniture ever produced by the swedish chain), does not prejudice the sense of comfort obtained when imagining yourself in this environment. More than for functional reasons (like food smells and vapors spreading over the house), a door (preferably sliding) seems to be necessary between the kitchen and the other rooms for a psychological matter. When the family gathers around the table at mealtime, the long telescope view over the full-lenght window is certainly annoying.

The Qi energy is able to enter this kind of houses, by exploiting both the long corridor and the wide windows located in every room, in a very strong and imperious way. The rooms must thus have a strong personality in order to receive it. The kitchen is realized with rationality, the elements of water and fire placed in a position that doesn’t interfere with the other room’s areas and allows a good creative organization of the environment and a sharing of the place. 
The choice of cold colours, a Yin element, dissolves in the aggregation area which becomes highly warm and homely by playing on theYang quantity of light and wood. Because of the very strong influx of Qi, coming both from the door and the window, it is advisable to assign the seats right alongside of the wall to little kids. The choice of a flooring of this kind involves much upkeep. The light is certainly privileged, but it compels the inhabitants to follow strict rules in order to keep it clean and efficient.



3



 Dining room in Mandeville



The picture of this amazing high-value dining area has certainly been realized by an expert (given the diagonal light cut that brings dynamism to its atmosphere and the moving chandelier, useful as well for this purpose), and by a professional planner. Every element is perfectly calibrated and harmonically proportioned to the others. The corner glass wall, wide and so well-integrated in the room thanks to its wooden parts, highlights, at lunchtime, the totally natural landscape, which is also reflected by the huge painting in the middle of the only wall. The big curtains also provide the needed privacy, during the evening hours, at dinner time. The furniture in its whole does not look too heavy, despite the massive bulk of the chairs, made comfortable by the full-leather mighty padding and their stability. Great luxury and plainness together, both intended to promote the excellent family business. 

This is definitely a dining room, but this house was designed for people of great power and everything in this room aims at obtaining respect and authority toward its owners. The Qi energy is controlled by the wooden elements in the glass wall, which is the out-and-out wall of the house and whose glass corners reduce the powerful Yang mark of the building. In the picture of this room, more accustomed to big business than to delicacies tasting, it’s interesting to see how the photographer immortalized the chandelier “on the move”. This choice reduces the pragmatism of the furniture, being apparently comfortable but really massive, and of the wooden ceiling, still strongly Yang, which doesn’t favor the artificial lighting during the night.


4
 


 Dinig room – loft in Milan


Everything that composes this environment, despite the effort put by the photographer into giving balance to the composition, does not seem to result from great professional abilities. It is a dining room, but who could tell the function of this room and furniture, if it wasn’t for the table and the seats around, lacking moreover any personality (three chairs made of metal tubular, one wooden chair with little stuffing, one long monastic bench)? It might as well be a lounge of a pharmaceutical society, or the meeting and talking place of a pompous clinic, or again an interviewing point of an advertising agency. One thing is certain, should anyone stay here for a period of time, he would feel really uncomfortable; a basement where draining and water pipes correspond, on the ceiling, to a small “Murano” (for exorcizing their negative effect?), and where the only escape from the prevailing decorum, well rooted in the black and white square floor, is the miserable small bowl on the table: for whom? For what? Who knows! (maybe the mystery was in the planner’s intention).

In this room, situated in a basement, the choice of mantaining the old laboratory-looking structure and a chessboard floor of strong personality creates a really rich and luxurious atmosphere despite the room’s minimalism. The decision of keeping the pipelines exposed entails the presence of various elements (water, gas, air etc.) to be balanced through a structural intervention. The fullness effect is increased by the pipes cage on the ceiling, which is strengthened by the element of fire coming from the chandelire’s shape and employment. The glass walls are another Yin element, strengthened by their metal composition which contributes to the room’s stagnant atmosphere. The Qi energy moves with difficulty in these rooms, despite the wide windows reflected on the door, from which it can have access. This feature makes the room more suitable for a being a storage than a house. 






Living room – loft inStockholm 



This wide environment is attractive at fist sight: every single element arouses interest, starting from the really comfortable corner seats, the corner fireplace, the library, the ancient painting with its golden frame, the easily accessible dining area. Everything looks perfect. Even the loft emerging on the right, which suggests new space-time delights. But there is something wrong: no visual access to the outside besides the sky, or the surrounding building’s top, which make you feel short and compressed. This way, despite the room’s immensity and numerous “distractions”, the roof would hang like a heavy fan over the inhabitants if it wasn’t for that exit on the left, with a step that probably preludes a terrace. 

This room has everything you could possibly desire. A wide space for handling the living area, walls where to lean the furniture, wooden floors and a corner fireplace, wide windows to convey light and Qi energy as much as possible, on the only condition that this room is not used for sleeping, working, studying or focusing for whatever reason. The triangular shape of the ceiling, linked to the element of fire, is the distinctive feature of temples and churches of any worship. The more peaked the building vault is, the better its shape conveys the present Qi upwards, reason why these places are considered suitable for praying. The choice of filling up every free corner of the room in a very luxurious and massive way is probably caused by the ethereal feeling you can suffer when temporarily staying in this environment. 


Enrico Mercatali - Vanessa Passoni
Milan, July 2012
Traduzione dall'italiano di Penelope Mirotti
Pubblicato nella versione inglese il 19 agosto 2012


13 August 2012

del Grattacielo



 

d
e
l



G
r
a
t
t
a
c
i
e
l
o





 

Sopra al titolo "The Shard", o meglio "Shard London Bridge", essendo che il nuovo grattacielo, che Renzo Piano ha consegnato ai londinesi in tempo per l'avvio delle Olimpiadi 2012, sorge proprio nei pressi della London Tower Bridge. 
Ne abbiamo recensito l'inaugurazione in Taccuini Internazionali, con l'articolo "The Piano Shard starts her life on July 4th 2012" (http://taccuinodicasabella.blogspot.it/2012/06/taccuini-internazionali-programming.html), evidenziandone la bellezza e l'eleganza, che rende questo edificio un prodotto di altissima qualità architettonica, soprattutto se confrontato con "The Gherkin" (il "Cetriolo") di Norman Foster, dalla foggia piuttosto bruttina, anche se di concezione sicuramente innovativa, come c'è sempre da aspettarsi  dagli edifici progettati dall'architetto inglese che lo ha firmato, forse l'unico vero competitor mondiale dell'architetto italiano più noto nel mondo. 

Di The Shard abbiamo voluto cogliere la snella immagine dal basso per aprire questo articolo dedicato al "Grattacielo", un articolo che ci è stato suggerito da un malumore che abbiamo colto nei riguardi della tipologia architettonica, assai controversa negli ultimi tempi cosparsi di teorie di decrescita e risparmi energetici, nonchè di finanze smilze. E' quella del grattacielo una tipologia che necessiterebbe di tornare in discussione non già perchè desueta tout court, perchè nessuno tendenza lo ha ancora decretato, ma, al contrario, perchè molti  (ma non certo i più) vorrebbero desueta, se non addirittura da bandire per sempre, pur essendo in continuo fiorire di novità e nuove nascite, mai forse come in questo momento, in cui si registrano (ed è questo il caso di The Shard) importanti e innovative soluzioni finalizzate proprio ad assegnare ai grattacieli un ruolo più attivo al miglioramento dell'ambiente urbano.  The Shard, infatti (320 metri di altezza, 87 piani interamente rivestiti di vetro), rappresenta già un modello capace di esprimere bilanci positivi, per consentirci di affermare  che non sia ancora giunto il tempo di metterne al bando la tipologia, come vorrebbero i suoi odierni detrattori. Questi ultimi, non pochi ma davvero poco informati, dediti a divulgare, come occorre fare, le nuove tendenze in fatto di risparmi energetici e di sviluppi sostenibili, non hanno però colto gli enormi passi in avanti che negli ultimi anni si sono fatti per l'azzeramento di taluni costi e per il contenimento massivo degli altri nella più avanzata edilizia contemporanea che si sviluppa in altezza, e soprattutto non si sono resi conto della necessità oggi di perseguire anche  e soprattutto criteri di congruità ambientale e di qualità architettonica, il che non deve mai significare una rinuncia totale e aprioristica ai linguaggi della modernità, incarnando atteggiamenti totalmente antistorici, e tanto meno una decisa marcia a passi nostalgici verso un ritorno al passato. Se costoro credono che ciò sia possibile, anzi auspicabile, ciò significa che non hanno capito nulla delle vere sfide che pervadono il nostro futuro, anzi nelle quali già siamo immersi, che necessitano di sempre più aggiornate e sofisticate ricerche nel nuovo, coraggiose spinte nel palinsesto di reali orizzonti di sviluppo per l'habitat in cui viviamo, spirito di avventura in pragmatiche azioni al disvelamento di quanto davvero conta per migliorare la vita di tutti.


Di una cosa siamo sicuri: Renzo Piano, autore di The Shard in London (nella foto che apre l'articolo), non avrebbe mai costruito un grattacielo a Venezia e, men che mai, il più alto d'Italia. Avrebbe certamente proposto dell'altro, adottando canoni estetici ispirati alla laguna, dettati da misura e senso della storia.


Ogni volta che nasce un nuovo gigante edilizio capace di superare i record mondiali di altezza, o quanto meno di oltreppassare gli edifici che gli stanno attorno, in qualche grande città mondiale (ma l'evento non è frequentissimo), si scomoda il movimento dei "nemici del grattacielo", attraverso qualcuno dei suoi affiliati, abbastanza numerosi), per maledire l'evento come se esso costituisse una decretazione di morte del genere umano. 
I processi al grattacielo si fanno infatti sostanzialmente da quando esistono i grattacieli. Essi sono sempre stati marchiati da un principio di conservazione dello statu quo che poco si spiega se non come tendenza a radicalizzare una componente umana inalienabile che esiste forse da quando esiste l'uomo: quella di non sapersi dare un limite nella corsa al nuovo, al superamento di sè o dei competitori, di "volare alto". Fin dai tempi delle medioevali città turrite, infatti, esiste questo slancio, e dunque ancor più vi è oggi, ove le tecnologie giocano un ruolo decisivo sia in sicurezza che in innovative performances. 
Vogliamo cogliere l'occasione, ora, argomentando di grattacieli, come potremmo fare di qualunque altro fattore che muova il dibattito sui grandi temi attuali dell'architettura, per cercare di fare chiarezza non tanto su quale sia il destino stesso dell'architettura, come alcuni catastrofisti fanno da sempre ad intervalli regolari di tempo, quanto su quali siano i fattori che determinano talvolta la rinuncia ad una vera qualità architettonica, preferendovi assai spesso una mediocrità indistinta ed incolore, o un'amalgama di vere nefandezze, nei casi peggiori. Il problema è allora un altro: il vero problema della sostenibilità ambientale non è tanto un fattore quantitativo, ma qualitativo. Ed è questa la cosa che più è difficile da distinguere, purtroppo, per chi non opera una approfondita conoscenza di tali pratiche, preferendo condannare nel mucchio, auspicando l'avvento d'un passato non più possibile. Anzi, la questione è eminentemente  connessa al tema della qualità, essendosi dimostrato in più occasioni che i problemi del contenimento energetico, del traffico indotto, della polluzione, tipici del momento storico nel quale viviamo, dei quali siamo per fortuna giunti ad una piena consapevolezza, sono problemi già  ampiamente risolti sul piano delle tecnologia adottabili, o che addirittura possono essere positivamente affrontati proprio dalle più moderne strutture che si sviluppano oggi in altezza, al centro delle maggiori città mondiali. 
Il problema oggi è dunque amministrativo, e non più solo tecnico, ovvero è costituito dalle politiche urbane legate al loro sviluppo, più che alla loro crescita. Un grattacielo come il londinese nuovo The Shard costituisce un modello di come debbasi costruire oggi un grattacielo, e non già un ostacolo allo sviluppo equilibrato delle città. Naturalmente tutto ciò vale fatti i debiti distinguo tra città e città, tra le diverse esigenze che si mostrano all'uomo a seconda dei climi, delle latitudini, delle culture, della storia.

Il problema odierno delle più grandi città, ed in particolare delle città storiche mondiali  di non recente formazione, è assai più legato ad esigenze di carattere qualitativo-estetico e di buon funzionamento della vita dei suoi cittadini, o di chi vi risiede durante il giorno per motivi di lavoro, o di turismo, piuttosto che legato a puri vincoli culturali. E' per questo che la realizzazione di strutture alte spesso porta con sè la soluzione di problemi, piuttosto che la creazione di nuovi problemi, sempre che esse siano frutto di una progettazione attenta al loro impatto con l'ambiente, e rientrino in processi di pianificazione attentamente studiati finalizzando, per esempio, lo spazio resosi disponibile al suolo per la creazione di ampie superfici destinate ai servizi per i cittadini, sostituendosi a tutte quelle parti di città che si sono dismesse per avvenuto termine del loro ciclo di vita. 
Tutto ciò ha accompagnato la realizzazione a Londra di The Shard, la cui realizzazione ha comportato l'adozione di rigidissimi criteri di autonomia energetica, nonchè l'assoluta autonomia dal traffico privato, facendo sì che la presenza della torre più alta di Londra non dovesse comportare cambiamenti traumatici a tutto quanto avveniva nel suo intorno prima della sua venuta, e il benchè minimo condizionamento al traffico veicolare privato nelle strade dell'intero settore di città da esso investito.



 The Swiss Re Tower, conosciuto anche come "Il cetriolo" a causa della sua inconsueta forma, è opera di Norman Foster e del suo ex socio Ken Shuttleworth


Il grattacielo, in tali contesti,  è malvisto in quanto simbolo fisico di una cultura che ad essi non dovesse appartenere, direttamente ricollegabile ai gangli di un sistema al quale non ci si sente di appartenere, icona stessa dei poteri che si vorrebbero annientare. Al di là di tali considerazioni, che potremmo definire pre-politiche, dobbiamo ammettere che altre volte i detrattori del grattacielo portano in sè  esclusivamente il fastidio per il cambiamento che esso provoca nei luoghi dove sorge, immediatamente circostanti, ma anche e soprattutto d'ampio raggio, che contraddice o deturpa l'immagine dello skyline al quale una certa visione romantica della realtà aveva determinato un rapporto quasi affettivo.



Qui sopra: un disegno a matite colorate di Frank Lloyd Wright del progetto (non realizzato) per il suo "grattacielo alto un miglio". Trattasi, con tutta probabilità di una utopia, per l'epoca nella quale fu disegnato, sia in termini economici che tecnologici. E' infatti ancora oggi problematica la realizzazione di una struttura che superi i 600-700 metri di altezza (circa la metà di quello di Wright). Vi è una certa analogia nella impostazione di Renzo Piano per The Shard con quella che F.L. Wright aveva immaginato per questo suo grattacielo nello stato dell'Illinois. Non è un caso infatti: la qualità architettonica ha infatti sue leggi estetiche, le quali, per certi versi, travalicano mode e culture del momento. Certo la qualità che Piano ha oggi determinato nella sua recente realizzazione va oltre alla pura estetica, e coinvolge al cento per cento ogni aspetto della qualità di vita che le moderne tecniche sono riuscite ad esprimere, ivi incluse quelle relative ai risparmi energetici. Oggi infatti sono importanti valori anche quelli che fanno scarseggiare, piuttosto che incrementare certi numeri: è noto infatti che pochissimi, anzi strettamente necessari per la sicurezza, sono i posti auto posti alla base di The Shard (e da ciò ne consegue che verranno disincentivati i mezzi privati a vantaggio di quelli pubblici per raggiungere o per allontanarsi dal grattacielo. Osservando invece il disegno del grattacielo wrightiano in Illinois appaiono evidenti gli enormi parcheggi che vi sono stati predisposti alla base (i tempi non erano ancora sufficientemente maturi per immaginare questa rivoluzione all'incontrario)


Abbiamo riportato, sopra al titolo, una efficace immagine dal basso del nuovo "Shard", la struttura in cemento acciaio e vetro inaugurata a Londra settimana scorsa dal suo progettista, l'architetto italiano Renzo Piano. Abbiamo voluto aprire queste considerazioni con questa immagine per un duplice motivo: prima di tutto perchè, tra tutti i grattacieli che la storia dell'architettura ad oggi ha proposto, questo di Piano (poichè certamente esso passerà alla storia) è sicuramente tra i più belli (il tema della bellezza  in architettura ha diverse radici e, pur avendo una sua precisa autonomia, è pur sempre assimilabile a quelle d'ogni altro campo al quale voglia essere affiancato); il secondo motivo è quello che ci ha spinto a tali considerazioni, ovvero proporre un nuovo dibattito sul tema  del "grattacielo", cercando punti comuni che sappiano coniugare i pro e i contro in una visione sulla quale possa convenire il maggior numero di persone. Ciò vorremmo poter fare in quanto l'argomento sembra oggi dividere l'opinione pubblica, ed a volte perfino gli stessi addetti ai lavori, più di quanto non abbia fatto in passato, ove forse più frequente era l'entusiasmo nei confronti della "gara verso i cieli", anche, e forse soprattutto, perchè si era sempre pensato che la questione riguardasse solamente le "città vocate", tipo New York, Chicago, Hong Kong, Tokyo, e non invece tutte le città del mondo, che si  credevano ummuni a tale genere di "discutibile evento". A tal proposito abbiamo recentemente registrato (vedi  Torre Pierre Cardin: http://taccuinodicasabella.blogspot.it/2012/08/ennesimo-sciagurato-progetto-per.html), e qui anche ne riportiamo un'immagine, che perfino Venezia, se non ne verrà sventato lo sciagurato progetto, è divenuta terreno di coltura per uno dei grattacieli più giganteschi d'Europa, a dimostrazione che le qualità di un grattacielo risiedono sia nel suo contenuto architettonico, sia nella sua contestualità (cosa che, del resto, vale per ogni altro oggetto architettonico. Ma nel caso di un grattacielo, o di ogni edificio che abbaia proporzioni insolitamente elevate, ciò richiede una generalizzata ed inalienabile condivisione).





Qui sopra una veduta diurna del cantiere in stato avanzato di realizzazione delle nuove volumetrie edilizie, comprendenti nuovi grattacieli, alle "Ex Varesine" di Milano, presso la Stazione di Porta Garibaldi, opera dell'architetto italo-americano Lee Polisano, dello studio di architettura Kohn Pedersen Fox, affiancato da Paolo Caputo. Inoltre un rendering delle strutture una volta terminate, proposte in versione notturna. Sotto: Esempio di progetti milanesi di grattacieli, già soprannominati dalla popolazione "grattacieli storti", al centro dell'area dell'ex Fiera Campionaria, ora in fase di totale ricostruzione dopo l'avvenuta demolizione della Fiera nell'anno 2010. I tre grattacieli sono stati progettati da tre firme di fama internazionale dell'architettura: Zaha Hadid, Daniel Lebeskind e Arata Isozaki. 
Gli esempi riportati la dicono lunga circa la non diretta corrispondenza tra qualità del prodotto architettonico e importanza della firma che ne ha realizzato il disegno. Non è quest'ultima infatti necessariamente una garanzia. Tutti i progetti qui rappresentati sono frutto di recenti decisioni prese dall'amministrazione Moratti, che ha preceduto l'attuale amministrazione della città. Essa si è caratterizzata per aver effettuato scelte azzardate di politica urbanistica ed edilizia, tanto da aver massicciamente innalzato le volumetrie costruibili nelle aree centrali della città, e per aver affidato incarichi professionali senza aver messo in atto un minimo di dibattito pubblico almeno sulle opere che avrebbero condizionato per sempre l'immagine della città. Sciaguratamente molte delle realizzazioni nell'area delle Ex Varesine sono quasi completate, mostrando il loro squallido lascito di tronfia vacuità e di gigantesca debolezza formale, così determinando un calo generalizzato della attrattività che la città e la sua cultura da sempre avevano forgiato attorno ai grandi cicli della sua storia.





Perfino per noi italiani, che abbiamo più di quanto fatto in altri paesi, cercato di equilibrare la struttura delle nostre città moderne a quella dei modelli che tuttora ne caratterizzano i nuclei antichi, come fossero capaci da soli, questi, a fare da anticorpi rispetto a strutture ad essi incongrue, abbiamo sperimentato di recente, per esempio a Milano (ma come a Milano così anche in diverse altre città mitteleuropee), quali e quanti siano stati gli appetiti di chi costruisce e di chi governa la città, tanto da produrre in pochi anni cambiamenti epocali dello standard altimetrico e volumetrico, ma soprattutto qualitativo, della nuova produzione architettonica, che vede giganteggiare in pieno centro città veri e propri mostri, incapaci di suscitare quell'orgoglio che i milanesi avevano provato collettivamente per il grattacielo Pirelli di Gio Ponti, e il Velasca dei BBPR, per quanto in essi aveva saputo fondersi perfettamente con la loro città.
Mai come ora invece tanto volgare pochezza,  e tanta bruttezza,  aveva preso il sopravvento.  Tutto ciò è insostenibilità. Tutto ciò si traduce in incalcolabili perdita di bellezza, e degrado delle economie più vive della città, e degrado quindi della promozione nel mondo degli affari, della moda, dell'arte, del design, del turismo. Tutto ciò si impoverisce, attorno a quegli squallidi volumi di bruttezza, ogni aspetto della vita cittadina perde peso e coscienza di sè. L'economia cittadina si incarta perdendo lo slancio del suo originario orgoglio.



Questa torre, che Pier Cardin vorebbe realizzare entro un paio d'anni a Venezia, è uno dei peggiori esempi di buona contestualizzazione architettonica ed uno dei più sciagurati esempi di incultura storico-ambientale che mai siano stati proposti nella storia dell'architettura di tutti i tempi, ed italiana in particolare. Un tributo alla pura "immagine del prodotto" e al merchandising come unico orizzonte esistenziale. Uno sfregio al senso della storia, e della società rappresentata nell'ambiente appropriato alla sua comunità. Uno spregio al patrimonio di tutti e alla volontà di trasmettere valori prima che immagini ad effetto. La sua costruzione incombe ancora come possibile, dopo l'avvenuto lancio pubblicitario che ha riempito in questi giorni le pagine dei giornali, e solo la voce di tutti coloro che hanno a cuore il destino dell'unica e irripetibile città lagunare potrà sventarne la realizzazione.
Vedi:  (http://taccuinodicasabella.blogspot.it/2012/08/ennesimo-sciagurato-progetto-per.html).


Nonostante tutto ciò continuiamo ad essere convinti che ogni grande città mondiale non debba smettere di costruire grattacieli. Perchè, come ogni buon progettista di grattacieli deve sapere (o dovrebbe sapere), ed ogni cittadino che ne voglia dare una valutazione dovrebbe sapere, ogni situazione deve essere analizzata nelle sue specificità. Ed allora potremmo dire che, così come è giusto che Londra si sia dotata oggi di un grattacielo quale The Shard, meno giusto ci sembra che a Dubay City si continui a costruire come si è costruito nell'ultimo decennio, e che appare totalmente inopportuna la struttura che vi sta per essere terminata, alta 800 metri, anche  se la sua forma in qualche modo richiami l'archetipo wrightiano e, conseguentemente, la londinese Scheggia di Renzo Piano, a sua volta nata sulla stessa affascinante matrice. L'inopportunità deriva infatti, se ben richiamiamo ogni aspetto della questione fin qui descritto, sia per le condizioni climatiche estreme a cui la struttura è sottoposta a causa della vicinanza col deserto, ma più ancora, assai di più, dall'essere lontana anni luce dalle culture che hanno dominato in quelle terre fino a un paio di decenni fa, richiamatesi invece ai "fasti d'occidente", assai allettanti per le classi dominanti le cui ricchezze derivano dalle esportazioni di petrolio in occidente. Potremmo dire perfino che ci sembra giusto per i piccoli Paesi come Hong Kong oppure Montecarlo costruire in altezza, avendo disponibili scarse superfici di terreno, ma non per questo che si sia potuto dare il via in essi a complessi edilizi di tale densità da diventare improponibili luoghi di vita per ogni essere umano, come è accaduto troppo di frequente, e come, dall'ultima foto che vi mostriamo, potete voi stessi giudicare.



L'ultimo grattacielo costruito a Dubai, alto 800 metri. Anche la sua foggia richiama l'archetipo wrightiano. Qui sotto: una immagine da incubo: un frammento di cielo tra un gruppo di grattacieli costruiti ad Hong Kong




Una immagine da incubo: un frammento di cielo tra un gruppo di grattacieli ad Hong Kong


Di una cosa siamo sicuri: Renzo Piano, autore di The Shard in London (nella foto che apre l'articolo), non avrebbe mai costruito un grattacielo a Venezia e, men che mai, il più alto d'Italia. Avrebbe certamente proposto dell'altro, adottando canoni estetici ispirati alla laguna, dettati da misura e senso della storia.


Enrico Mercatali
Lesa, 6 agosto 2012

08 August 2012

The three most published houses in the world, realized by the greatest masters of modern architecture, we visited, and “tested” their interiors liveableness.




"To understand the spaces we live”
the new counter-current column 
of 
Taccuini Internazionali
 by
Enrico Mercatali and Vanessa Passoni







The double approach East-West 
helps us understand the spaces we live



Above and below the title: three images of the external (above) and internal (below) views of Ville Savoye (1928-31) by Le Corbusier and Pierre Janneret in Poissy, near Paris; Farnsworth House(1945-51) in Chicago, by Ludwing Mies van der Rohe; Fallingwater (1935-39) by Frank Lloyd Wright, in Bear Run, Pennsylvania. 



Taccuini Internazionali has visited the three most published houses in the world, realized by the greatest masters of modern architecture, in order to detect and note down the aspects that have been given little importance by the most prestigious critics and historians: we have, in a manner of speaking, “tested” the liveableness of their internal rooms. We will give you our opinion on them, by adding some interesting and useful historical remarks too.


Above, three images of Ville Savoye’s main rooms in Poissy, near Paris, 
by Le Corbusier and Pierre Janneret (1928-31)



Ville Savoye (1929-30)
Le Corbusier and Pierre Janneret


If we situate this villa among the widest and most prestigious ones of the series realized by Corbu and his cousin Pierre at the end of the 20’s, considering that it is the last one of the many private houses born from the experimentation of their authors’ rationalist theories, it appears like the most complete and appropriate one to explain merits and faults of the new way of building and conceiving the new internationalist european purism, whose more fervent proponent was their Parisian Study. 

Designed for a suburban life during the summer months, in harness with the woods nature around Paris, this villa is the expression of the wealthy Savoye’s desire of representing themselves in the high Parisian society and living their family life in a modern way. They commissioned it without caring for the “style”, thinking of its spaces functionality instead, and subsequently trying to hold down the exorbitant cost, by persuading the authors to revise the projects.
At the end of the work the history of the villa talks about many quarrels between owners and professionals, and even a possible recourse to the law, due to the immeasurable estimated cost overrun and most of all to the many noticed defects, particularly the ones derived from rainwater seepages in many parts of the house, especially after the strong downpours at the end of the summer, a real nightmare for Madame Savoye. On the one hand the thing is understandable, given the typology of the building and most of all the materials and techniques of the time; on the other, although, it is also strange, considering the proverbial care of the Study for the building details, being often innovative, and especially for doors and windows and the drainpipes of the suspended terraces’ meteoric waters.

We have no news, vice versa, about the buyers’ appreciation of the work in its whole, and their experienced liveableness of the interior. 
As it often happens for those architectures that have “made history”, Villa Savoye is today a museum of itself after the latest repairs, which resolved the state of chronic neglect already described by Leonardo Benevolo in his “Storia dell’architettura moderna” (“History of modern architecture”) in 1965.
It’s certain that nothing more than a white plaster can show its deterioration in the course of years. But Le     Corbusier didn’t seem to be much concerned about the problem, and the production of the time could not offer any product comparable with the ones on the market today for building coverings and exterior finishes.
We are also convinced, however, that the new covering techniques (used by the ones who still take an interest in Le Corbusier’s dictionary and revisit his theses with a more technologic spirit, like Richard Meier) have not added anything, but rather removed, in terms of poetic value and expressive quality.
It is significant how a domestic architecture born on a basis of social ransom, of a house intended to be within everybody’s reach, characterized by a language endowed with simplicity, rationality and healthiness, ended up meeting some very different needs: representativity and self-satisfaction of the well-off, mainly the intellectuals (a particular case is the “faithful enthusiasm” of Raoul La Roche, who had his house photographed as an “architectural model” by the most popular french photographer of the time, Boissonas, and who kept boasting about his house being even more beautiful than it seemed in pictures, with its unique “symphony of prisms” never seen elsewhere).
What were the ultimate aims pursued by Le Corbusier with his architecture, between the 20’s and the 30’s, especially within his program of theoretical divulgation that he tried to make become visible and fall into the public domain? It is clear that the platonic ideal promoted by him with his architecture —  in the intimate relation between men and nature —  even more than with his pictorial purism, was professed in every occasion: articles, conferences, interviews, etc.. It consisted in specific paradigms being applicable in every situation, summarized in the famous 5 points of “Toward an Architecture” (pilotis, ribbon windows, roof garden, open floor plan, free façade), born for a new liveableness and healthiness, a new relation inside-outside, a new experience of inhabiting. This idea became, in every occasion of applicability, an inevitable reason for a further propaganda, since it probably was the only thing that really interested the architect.
In Le Corbusier’s thought, the relationship between the owners and the spaces and functions of the house didn’t have anything to do with the owners themselves, least of all with their psychological and personal needs. As in all the previous houses of that decade, it had to follow the generical and universally applicable thesis of an average experience, an average person (from the Modulor scale?) constantly searched and emphasized by Corbu in every project, as his sketches fully prove, as if he was chasing a state of drunkenness, a very personal and acrobatic dramatization of human historical evolution.

If we judge his work today, from a less hagiographic and more realist point of view based on the universally verifiable needs of those who live in a house, we can observe how powerful and impressive is the relationship inside-outside of the big living room and outdoor terraced patio of Savoye House, while the choice of a continuous internal space, hardly free from separators, including the stairs body, makes the house’s internal liveableness  cold and  vague, by creating a sense of confusion and scarce identifiability of the spaces and corners where you place yourself during the day. This negative feeling is increased by the fixed furniture, privileged by the artist, being sometimes miserable, scarce or cumbersome, and the link between the internal floors and the levels of the house, whose finishes recall (not even by accident) a naval experience. But you have to admit the objective success of the spatial intercompenetration of the internal and exernal wide living rooms (separated only by the big full-lenght window and associated by the continuum of the orthogonal ribbon window, which readjusts the various solar phases of the day on the surrounding nature, seen as if it was inside a painting, but also able to determine an adequate privacy of the whole main floor of the house). The green parts themselves (regularly entrusted by Corbu to Lucien Crépin, although his very high invoices caused some frequent disputes with the owners), should have been rich and plentiful in accordance with his principles, but turned up appearing really miserable, like the tanks containing them. Not even one of the numerous old and modern pictures, from Ville La Roche of ‘23 to Ville Savoye of ’30, shows in fact an abundance of green. It must be said, however, that this idea of hanging gardens was maybe a utopia: it would have required such a complicated plant design that we couldn’t obtain it even today without spending a really elevated amount of money for installation and operating costs.

Enrico Mercatali



Futuristic building of old world glamour

Though being raised from the ground, it maintains a central base of stable relationship with the environment, and its upper part shows some alien harmonies that are in keeping with the Qi’s demands, mainly focused on circular movements.

The central part of the house is subjected to a strong wave of information that permeates from the bottom to the top, balanced by an equally strong Qi energy, which creates an horizontal and circular movement in the floor above.

A house with many typical characteristics inspired by esoteric meditation, with specific features of the temples of many religious eastern and western disciplines.

Vanessa Passoni 




Above, three images of Farnsworth House (1945-51) in Chicago, 
by Ludwing Mies van der Rohe. 



Farnsworth House (1945-51)
Ludwig Mies van der Rohe


Mies was chosen by the wealthy client, Edith Farnsworth, would-be violinist and famous renal specialist, just among the three architects cited at the beginning of this column (Mies, Wright and Corbu), whose names were given to her by a friend who wanted to have a house built for his weekends of rest. Mies, however, was not selected for a professional reason, but for a convenience of proximity. When he was entrusted with the task of realizing the villa on a 4 hectares land, within the woods around Fox river in Plano, Illinois, 47 miles west of Chicago, and started to carry out the plans, a love affair started between the two, and it went on for two years during the project’s development, until the beginning of the works, which also lasted about two years. This intense but relaxing situation went on until late into the building process, but in the second part of the works and during the following years the first disputes between client and architect led to a lawsuit filed by the lady against Mies, due to many discontents inherent to the protection system and the curtains, but most of all to the cost overrun. Franz Schulze, in his famous biography of Mies of 1985, tells that he eventually had the best on her and returned only a small part of the compensation she had required. But the bitterness he kept in his heart became public, without any chivalry, with the statement: “The lady expected to get the architect along with the house”. The situation seemed to precipitate right for a love disappointment. Edith, who had a name for being a woman of vast knowledge, said about him: “Maybe he is not the primitive clairvoyant man that I thought, but simply the coldest and cruelest that I have ever met. Maybe what he wanted was not a friend or a real collaborator, in a manner of speaking, but an idiot and a victim”. It’s certain that the reason why such a unique product –especially for that time– was realized, was a strong consonance of views between the client and her architect.
The house was sold in 1962 to Peter Palumbo, a builder from London, who acquired it for his particular veneration toward Mies’ architecture, insomuch as he slavishly followed his advices, like avoiding to put paintings on the walls, and, since he wanted to be surrounded by art,  replacing them with sculptures; also the one of removing the screens placed by the previous tenant on the terrace as a protection against mosquitos and the excessive heat of summer days, and replacing them with some not very functioning solutions, like some big fans in the house’s corners, and leaving doors and windows open, thus risking the dangerous insects’ attacks.  But he always said that he could easily put up with this little trouble (the mosquitos, the heat in the mid day hours, the condensation due to a scarce ventilation), in order to get in return the beautiful views of nature offered by the house, in its quiet and over the course of seasons, “place of spiritual nourishment brought by a reductive beauty. An immensely convincing beauty. The pure geometry of the house and the perfect proportion of its parts are the expression of a human presence in harmony with the natural woods environment. Viewed from the inside and with an angle shot of  360° through the transparent walls, nature, especially when lights and seasons change, filters and becomes an integral part of the experience gained during the whole time spent here”. Schulze adds: “Farnsworth House is a classical project with romantic implications, an artwork that finds a mediation, through architecture, between man and nature. In this sense it evokes the spirit of Schinkel.”

The strongly interiorized enthusiasm of both its second owner (who lives there only a few days a year, and who probably boasted about having bought such an important artwork), and the great critic of architecture (who fully embraced its spirit even without inhabiting it) have been able to destroy any other objective consideration.
Maybe more than any other architectural work, this one of Mies looks like the antithesis of a house, which should be an icon of protection from nature needed by man: its perimeter glass walls don’t give any respite to the idea of privacy (although the estate all around is quite wide). The generalized osmosis of its functions does not allow to distinguish the living from the sleeping area, the dressing room from the bathroom and kitchen: only a few hints, deriving mainly from the furniture, separate the dining room over here and the fireside over there, the relax area over here and the sleeping one over there. Everything is mixed together. How is it possible to easily and pleasantly use a kitchen that has its back to the light and forces you to cook without looking toward the outside? How can you find comfortable a living room conceived as an exhibition pavilion? Why placing the fireplace far from the outside, thus preventing yourself from enjoying the view while sitting in front of the flames? We must bear in mind that, during the evening and night hours, the interior is reflected on the glass walls thus totally blocking any view of the outside, unless you invert the inside-outside illumination to the detriment of the first. The situation during the day changes, especially with the good weather, when the view from the inside becomes really beautiful. But with what kind of weather, and during what seasons? Certainly not with a thunderstorm going on (can you even imagine the situation?) or in the wintertime (the house was really exposed to the cold, since the glass walls used by Mies were only 5-millimeters thick, the maximum at that time, and the double glazing didn’t exist), and again in the summertime, when, besides the inconveniences listed above, the house literally became an oven.  
We believe that the immense success of Farnsworth House, which has turned it into a masterpiece in the history of modern architecture, derives from the tendency of historiography to celebrate the ability of its authors, who imagined and represented quality and beauty as novelty, thus pursuing nothing but a pure appearance. Objects to be admired for their beauty, without even thinking that they must be lived too, or giving a marginal role to this factor. Objects to take pictures of, in order to publish them on famous magazines or insert them in the history books of taste evolution.
Some questions to Mies: wouldn’t it have been better to insert that kitchen, whose preciousness even brought you to fight with Edith Farnsworth, in a position that would allow to use it while talking with the commensals, to enjoy the view of the park, and  to keep it more ventilated?
A house less similar to an airport lounge or a boardroom wouldn’t have been more psychologically comfortable for its owner? 
Not to mention the ergonomic matter of the furniture that you designed, its planned minimalism – of which you were a supreme proponent – its scanty quantity and its extremely precise placement: doesn’t it risk to imbarass the potential guests by blocking their spontaneous behaviours, or even the owner himself, although he has clearly agreed to “show himself off” and enhance his unquestionable egocentrism?
It’s no accident that the example was immediately followed by Philip Johnson, an extremely self-confident pupil of Mies and a future guru of american architecture, who made an almost identical choice for his Glass House in New Canaan.

Enrico Mercatali



Ethereal environment, raised from the ground, without bases or foundation, nor roots with the earth or with tradition. The claimed lightness of this building is not in harmony with the rational and controlled surrounding environment.
The psychological aspects of this construction are linked to a really strong and invasive transit of Universal Qi, which appears in the unease caused by the total lack of privacy and protection.

The rooms are totally exposed in a continuity between the inside and the outside, there is no place where you can feel “in utero” and each weather change, from the rain to the burning sun, is certainly controlled with a great electrical consumption since there are no solar panels on the roof.

Environment suitable for a restaurant or a summer pavilion.

Vanessa Passoni



Above, three images of the main rooms of Fallingwater (1935-39) by Frank Lloyd Wright, in Bear Run, Pennsylvania


"Fallingwater"   (1934-37)
Frank Lloyd Wright


This house, built by the american architect right above a waterfall, in the depths of the wood in Mill Run, Pennsylvania, between 1934 and 1937, put in direct critical contact the new architectonic theories developed in Europe —  especially with Le Corbusier — and the american ones, drawn by their leading figure at the time, Wright, from Henry David Thoreau and Ralph Waldo Emerson, and then, through Louis Sullivan, even from Walt Withman.

But the differences between european and american theories remained considerable, although western modern architecture was about to enter its ripe age:
in his Fallingwater, Wright elaborates a building that amazes the world, both for its structural complexity and the juxtaposition of its pure volumes, free from any symmetry and external decoration and immersed in a completely natural environment, which was definitely something new for his architecture. What this style had in common with the european architecture, of Le Corbusier in particular, was the total freedom from any scheme in the plan and facade, as well as the absence of ties with the past. The differences, however, remained huge. The main one was, for Wright, the direct and explicit relationship between architecture and location, the former becoming an organic whole with the latter, by adapting to it and reflecting it, and also taking into account the orographic, climatic, cultural condition of its surrounding. The european idea, supported by Le Corbusier and other previous authors, wanted architecture to be an expression of internationalism, based on those criteria of multiplicity and repeatability that were followed in the car industry and aimed at a general standardization and prefabrication. If the european “machine à habiter” could be placed anywhere — town, sea or mountain area — creating a strong contrast between the white modernist stereometry and its natural or historical location, the american thought was that beauty should come from an adaptation to the place itself, and architecture should be able to camouflage and adapt to a place’s features, especially the ones that have an impact on our senses, like wild nature, an urban or agricultural context... A totally different approach to places: if in Europe it was considered possible to put natural events under control and take advantage of them by directing them to healthiness and physical well-being, in the United States their effects on our psyche were still romantically enhanced, as well as that positive influence always evoked by nature on man, despite its irrational and mystical origin.

Fallingwater was realized for Edgar J. Kaufmann, department store magnate and sought-after costumer for architects (he also had a house built by Richard Neutra in Palm Springs in 1946). Maybe his “House on the waterfall”, the most published architecture of the modern, went beyond a specialistic field and became an icon of american art’s new frontiers. Its staggered floors on the surface of the water were immediately praised by the journalism on current events for their fascinating and crystalline geometries, and so was its luxurious interior, so “american” in its traditional juxtaposition of materials and natural colours, and able to reflect the whole american dream of an adventurous experience.

By observing the environment of Fallingwater, trying to breath its air that mixes the interior and the exterior so intensively, peering at its corners and wide rooms, we can be sure of one thing: living here must be an intense experience, as many of its visitors have stated after the recent renovations. Its owners were enthusiastic as soon as they took possession of it, as the chronicles tell; but it must be said that if this had been a purpose built house and not only a refuge for the weekends, clearly played on the adventurous connection with the water running below (starting from the little ladder hanging beneath and made for diving, commissioned with the project’s assignment) it would have certainly been a failure. The interiors, of huge width (highlighted by the rooms’ poor height) are maybe just a showcase for Edgar and his family’s ambitions, and the triumphant fireplace with its gigantic kettle, founded straight on the rock and turning the stream into a loud waterfall, is the  theatrical transposition of an emersonian pioneer bivouac, whose counter alter is an internal excessive decoration, full of wooden mouldings that dramatize even further an environment that already causes anxiety. We believe that the house didn’t allow to sleep peacefully, neither to have a serene relationship with the surrounding nature. We don’t know much about the use that its owners made of it at the time. We know, however, that they chose a different architect for their following houses.

Enrico Mercatali


The peculiarity of this house is being right above a water course.
Water has a molecular memory, organized in clusters, able to influence the surrounding environment by altering the biological structure of all living beings. If you live near a water course, you need to have a precise worldly  wisdom.

Living above a waterfall, with its rushing vitality, needs some further precautions that only the massive rectangular terrace protects in part. The house is in fact englobed in a rocky ground, and the minerals inevitably become in tune with the effects caused by water and amplified by the waterfall.

This way, a really strong and archetypal Yin-Yang overflows toward the house.

In the East, it would be unthinkable to build such a construction without foreseeing the functional harmonies that could allow the Qi energy, produced by the powerful water flow, to go upwards. A “fortress” like this would be considered a place exclusively suitable for a gathering of personnel and animals.

Vanessa Passoni



Above, three corners belonging to the houses examined, definitely more significant than the main rooms for understanding the architects’ personalities and their architectonic approaches. In Ville Savoye, we can notice a first attempt to design the bathroom in a less miserable and functional way, during an historical phase that gave little attention to this room, except in the houses of the aristocracy or the upper middle class. Attempts of cubist expression aimed at reaching a domestic physical well-being that was not in everyday use yet. Mies’ conception of kitchen space was quite squalid, and considered this room as a pure transition point, far different from the dear old kitchens of Central European tradition, where you could both cook and dine. Here, the prevailing conception is the american “cook and ride”, possibly aimed at preparing frequent drinks to be enjoyed on the sofas. Even more intimate is the american tradition of dining in a rural place, around the family table, brought back by Wright. But why placing the house in the most panoramic and wild point of the region, inside the forest and above the waterfall, and then forcing the owners to dine without windows, surrounded by walls that look like a cave? If Bruno Zevi was still alive, I would ask him this question.


for Taccuini Internazionali:

Enrico Mercatali and Vanessa Passoni
Milan, 4th July 2012
(translated from italian by Penelope Mirotti)
Lesa, 8 Agosto 2012