N O B E L - ART
di Enrico Mercatali
Dario Fo a Palazzo Reale
"Sono un attore dilettante e un pittore professionista"
Dario Fo ha installato la sua bottega d'artista in Palazzo Reale, a Milano, nella quale esibisce i momenti produttivi della sua seconda arte, quella pittorica, davanti ad un pubblico ansioso di vedere dal vivo, e sul nascere, le tele, i cartoni, i pannelli di grande dimensione che il mitico guitto teatrante, Nobel italiano per la letteratura, esporrà nella grande mostra che si sta allestendo per lui e che dal 24 marzo si aprirà al pubblico, il giorno stesso del suo 86° compleanno.
La pittura di Fo contempla solo le abnormi dimensioni, la scena che essa fa propria è quella del teatro e dei suoi palchi, e il suo pubblico non è quello che assapora il singolo segno, che si lascia catturare dal dettaglio. Essa si è originata quale parte attiva della performance d'un teatro di massa, degli auditorium, delle grandi piazze urbane. Il suo messaggio deve essere necessariamente sintetico e chiaro. Ecco perchè il colore, nei suoi grandi dipinti, ha il compito dell'immediatezza d'una battuta sferzante, ecco perchè la postura dei personaggi ha il subitaneo effetto dello sberleffo e dello sghignazzo, mentre la composizione di assieme riassume lo spirito che la grande satira sa ricondurre al senso d'un riscatto collettivo, capace di assicurare il senso d'appartenenza ad una comunità. E' una pittura fatta di grandi affreschi raccontati, un pò come lo furono quelli di Chagal, ma più concreti di quelli, e desunti non dal sogno ma, forse, ed ancor più, da un eccesso di realtà, che porta all'agire del buffone, e all'esibizione di sè quando nulla si ha più da perdere. Ecco perciò discendere l'evento d'uno spettacolo circense, d'un ballo sfrenato e collettivo, come quello dei carnevali, e il teatro della vita, che rappresenta la sua scena più vera del reale, che sa unire il dramma personale alla liberatoria euforia d'un rito collettivo.
"Dario Fo a Milano - Lazzi, sberleffi, dipinti" infatti, con le sue oltre 400 opere, costituisce la summa d'un desiderio che il loro autore coltiva da tempo, ossia che il Comune di Milano possa dedicargli una mostra, ovvero dedichi a questa sua seconda arte, il tributo ormai dovuto al personaggio suo più popolare, noto in tutto il mondo, non solo per la sua opera letteraria e per il suo spettacolare teatro, ma anche per quella pittura che lo vide giovane studente pendolare tra Luino e Milano all'accademia di Brera e che ora è divenuta parte integrante della sue ultime azioni sceniche, accompagnandolo scenograficamente in giro per il mondo quali icone di allegria nella libertà.
La copertina del libro di Dario Fo "Il Boccaccio riveduto e scorretto", disegnata dall'autore
Ciò che gli era stato ancora negato dalla precedente Giunta Moratti ha potuto ora, con questa decisione della Giunta Pisapia, e l'interessamento diretto di Stefano Boeri, diventare realtà, "quasi il saldo di un debito" si è detto, che la città aveva da tempo nei confronti di uno tra i più illustri dei suoi cittadini.
Conosciamo tutti Fo quale autore di testi, particolarmente dopo il Nobel, divenuti conosciutissimi sino agli angoli più reconditi del mondo, e pure conosciamo bene la sua arte teatrale, che lo vede sempre protagonista in veste di giullare e di guitto, narratore di storie viste dalla parte meno ufficiale, quella popolare, gustoramente espressa in forma di "sghignazzi e sbrodeghezzi" irriverenti, consumati alle spalle del potere, critico sagace ma impietoso d'ogni forma di sopruso e di sociale ingiustizia. Ma poco ancora conosciamo del suo essere pittore capace di grandi affreschi, e di possenti narrazioni, nate nello stesso spirito vivo e libero, allegro e pur umanamente lirico.
Una fotografia scattata in uno degli incontri di bottega di questi giorni.
Dario Fo è con l'amico Roberto Saviano
Siamo tutti curiosi di poter approcciare in toto questa mole di opere per potervi estrarre il già certo piacere di rileggerne le storie, come anche nel suo grande teatro Dario Fo sa fare, colorendone i passaggi salienti, gli episodi più esilaranti quando visti dalla parte di chi sa ridere perchè nulla ha più da perdere, quando raccontati con la passione di chi vi ha saputo scoprire i lati più profondamente umani, nei risvolti più autentici della vita quando questa è vissuta da chi non ha i mezzi talvolta neppure per esprimersi.
Locandina del Mistero Buffo, disegnata dall'autore
Mentre attendiamo di immergerci per la prima volta nella pura pittura di Dario Fo, nel corso di queste lezioni sull'arte e sul teatro, che egli tiene a Palazzo Reale (Sala delle Colonne) in questi giorni (prenotazione su appuntamento), inevitabilmente ancora pittura e teatro tra loro si miscelano, restituendo forse il miglior prodotto d'assieme che la sua tecnica rappresentativa sappia conoscere: un misto cioè di quel monologare continuo, divertente e divertito, che è anche la cifra del suo Mistero Buffo, attorno agli eventi della storia che più hanno colpito la sua fantasia, finiti d'essere raccontati a parole, per essere poi ancora raccontati col pennello, coi colori, con l'uso libero e spontaneo di quel suo tratto inconfondibile che qua e là attinge alla storia della pittura italiana e d'oltralpe, ma che trae le sue origini soprattutto dalla lezione di Achille Funi e di Carlo Carrà, che sono stati i maestri più importanti d'Accademia, che Fo seguì con interesse e con profitto nei suoi anni giovanili, e che lo hanno introdotto alle più grandi stagioni della pittura descrittiva ed agiografica che da Giotto giunge a Mantegna, da Raffaello a Michelangelo, la cui arte Fo nel tempo ha interiorizzato.
Artista a tutto campo e didatta, profondo conoscitore dell'animo umano in genere, e del suo Paese in particolare, della sua grande storia, Fo racconta anche con la pittura ciò che racconta nella commedia e nel teatro, racconta le storie vissute dagli umili, attraverso un profondo senso religioso della vita, vicino alla gente e lontano dalle arroganze dei centri del potere, racconta l'umiliazione ed il riscatto, racconta le privazioni e la pietà, affrescandovi una grande visione del mondo.
L'avventura del genio Fo si completa perciò con questa mostra milanese che egli in qualche modo ancora doveva al suo pubblico, abituato a colloquiare con lui attraverso le dinamiche, la struttura e lo spazio del Teatro, ma non ancora abituato a farlo attraverso l'arte visiva. Ora queste sue opere di pittura possano essere più attentamente e complessivamente conosciute non soltanto in quanto complementi del teatro, e arredi della drammatizzazione, ma anche per quanto esse possano esprimere in sè stesse, in quanto tali, così da poter scoprire, anche attraverso il loro autonomo linguaggio, la vastità di visione e di pensiero del Maestro, il quale giustamente per questa sua capacità fu insignito del Nobel. Attraverso questo suo riconoscimento internazionale l'attribuzione di una forma tanto personale quanto pervasiva e da tutti facilmente comprensibile dell'universale sentimento e della condizione umana divenne da fatto di letteratura un fatto soprattutto di teatro, che tutti gli seppero riconoscere quale vero, grande, insuperabile e personalissimo dono di natura. Ma ora siamo nuovamente di fronte ad una novità storica assoluta, della quale pur dobbiamo riconoscergli la paternità, ad una nuova forma d'arte, la "Nobel Art".
Enrico Mercatali
Milano 17 marzo 2011
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