Il paesaggio del Lago Maggiore
nei capolavori dell'arte fiamminga
i Brueghel
a Venaria Reale
a Venaria Reale
Sopra al titolo: autoritratto. Sotto al titolo: Paesaggio con la parabola del seminatore. 1557
entrambi di Pieter Brughel il Vecchio
Brueghel - Masterpieces of Flemish Art
(September 21st 2016 until February 19th 2017)
Osserviamo i primi quattro paesaggi, proposti in questo articolo, rappresentati sullo sfondo di altrettanti dipinti di Pieter Brueghel il Vecchio, presenti nella grande mostra torinese sulla "dinastia" dei Brughel, pittori fiamminghi tra il '500 e il '700, allestita a cavallo tra il 2016 e il 2017 al Castello di Venaria: notiamo immediatamente quanto poco essi corrispondano alla realtà dei territori che oggi sono identificabili con l'Olanda e il Belgio. Il paesaggio di questi due paesi è caratterizzato da grandi distese pianeggianti, in parte perfino conquistate alla superficie del mare, o da lievissimi rilievi collinari.
Come mai allora nella più parte delle vedute bruegheliane, specialmente in quelle realizzate dal loro capostipite Pieter Brueghel il Vecchio nella seconda metà del 1500, emergono paesaggi caratterizzati da una orografia altimetricamente tanto articolata, così profondamente segnata da ombrosi declivi, ove tra fiumi e laghi contenuti da ripide rocce, profonde valli e perfino paurosi anfratti, assai più simili al paesaggio alpino più che a quello delle fiandre?
Come mai allora nella più parte delle vedute bruegheliane, specialmente in quelle realizzate dal loro capostipite Pieter Brueghel il Vecchio nella seconda metà del 1500, emergono paesaggi caratterizzati da una orografia altimetricamente tanto articolata, così profondamente segnata da ombrosi declivi, ove tra fiumi e laghi contenuti da ripide rocce, profonde valli e perfino paurosi anfratti, assai più simili al paesaggio alpino più che a quello delle fiandre?
Qui sopra, in alto "La fienagione"
In basso "La giornata buia", entrambe opere di Pieter Brugherl il Vecchio del 1565
In basso "La giornata buia", entrambe opere di Pieter Brugherl il Vecchio del 1565
Parla dei paesaggi bruegheliani Giovanni Arpino, nella presentazione del libro "Brueghel" (collana "I Classici dell'Arte", 2003 Rizzoli/Skira, distribuzione Corriere della Sera) dal titolo "Apocalisse contadina", quando descrive la sola opera del capostipite di quella che divenne forse la più grande dinastia di pittori che la storia annoveri. Avendo, di quella pittura, egli ben separato le due principali sue componenti, quella messa a fuoco dalla lente di ingrandimento sull'uomo, necessaria all'osservatore sia per le piccole dimensioni dei quadri e sia per la miniaturistica dimensione delle figure, da quella che ne impone un allontanamento per cogliervi lo sfondo, il paesaggio, ne distingue d'entrambi bene i caratteri: "dell'uomo essa ne fa un mostro, rendendovi evidente la goffaggine". Così lo descrive: "questo insulso bipede non ha la dignità di un albero, una foglia, una pietra". Mentre invece del paesaggio ne distingue e ne distilla, esaltandola, la "vena romantica", precisando che questa "non gli fu data dal Brabante, dai suoi Paesi Bassi", bensì piuttosto "dal suo amore per le Alpi, per il Lago Maggiore, per i colli intorno a Roma."
Anzi,
aggiungeremo ora noi, più forse dai laghi alpini e dal Maggiore, o dalla
Valle del Ticino più ancora, che dai colli di Roma, presso i quali ultimi pur maggiormente vi si attardò prima del ritorno ad Anversa. Queste sono
infatti state le principali mete del suo viaggio ben documentato nel nostro paese, tra il 1551 ed il 1555.
Ebbe a conoscere Pieter Brueghel il Vecchio, durante questa sua lunga permanenza in Italia, soprattutto i luoghi, dall'attraversamento delle Alpi, alle brevi soste sul Maggiore e lungo la Valle del Ticino, soprattutto le campagne, i fiumi, i laghi, le strette ed altissime gole ei larghi paesaggi fluviali coi loro villaggi e le loro popolazioni intente ai lavori, mentre a Roma e a Napoli conobbe soprattutto l'arte italiana ed i suoi Maestri, conobbe Michelangelo e Raffaello, delle loro maestose ed enormi opere ne vide e comprese l'umana visione, ne assaggiò la grandiosa concezione unitaria, ispirata allo spirito religioso del suo tempo, ma ancor più dalla filosofia umanistica. Nel lungo arco di tutte queste frequentazioni fu però la natura a maggiormente impressionarlo, più che l'uomo e le sue opere. Tornò egli infatti al suo Brabante maggiormente influenzato da quella piuttosto che da queste. E restarono in lui quelle immagini potenti della natura alpina più che quelle della Sistina o delle Stanze Vaticane.
Arpino ne distingue una, tra quelle, assai lontana dall'essere generica: il grande lago che, dalle montagne svizzere dell'Alto Ticino e dall'Ossola, si estende fino al suo naturale sbocco nel Ticino prossimo alla bassa, componendo un territorio assai frastagliato tra monti, valli ed acque d'ogni tipo, il Lago Maggiore. Fu il passaggio alpino del Sempione ad imprimere in lui l'idea di una natura articolata e soverchiante, all'andata del suo viaggio, e poi quello in direzione di Innsbruck, durante il viaggio di ritorno.
Ebbe a conoscere Pieter Brueghel il Vecchio, durante questa sua lunga permanenza in Italia, soprattutto i luoghi, dall'attraversamento delle Alpi, alle brevi soste sul Maggiore e lungo la Valle del Ticino, soprattutto le campagne, i fiumi, i laghi, le strette ed altissime gole ei larghi paesaggi fluviali coi loro villaggi e le loro popolazioni intente ai lavori, mentre a Roma e a Napoli conobbe soprattutto l'arte italiana ed i suoi Maestri, conobbe Michelangelo e Raffaello, delle loro maestose ed enormi opere ne vide e comprese l'umana visione, ne assaggiò la grandiosa concezione unitaria, ispirata allo spirito religioso del suo tempo, ma ancor più dalla filosofia umanistica. Nel lungo arco di tutte queste frequentazioni fu però la natura a maggiormente impressionarlo, più che l'uomo e le sue opere. Tornò egli infatti al suo Brabante maggiormente influenzato da quella piuttosto che da queste. E restarono in lui quelle immagini potenti della natura alpina più che quelle della Sistina o delle Stanze Vaticane.
Arpino ne distingue una, tra quelle, assai lontana dall'essere generica: il grande lago che, dalle montagne svizzere dell'Alto Ticino e dall'Ossola, si estende fino al suo naturale sbocco nel Ticino prossimo alla bassa, componendo un territorio assai frastagliato tra monti, valli ed acque d'ogni tipo, il Lago Maggiore. Fu il passaggio alpino del Sempione ad imprimere in lui l'idea di una natura articolata e soverchiante, all'andata del suo viaggio, e poi quello in direzione di Innsbruck, durante il viaggio di ritorno.
Pieter Brueghel il Vecchio, La fuga in Egitto, 1563, olio su tavola, cm 37 x 55,5
Courtauld Gallery di Londra
Ed in effetti fu l'ambientazione a fare da protagonista, nei quadri che Pieter Brueghel il Vecchio fece lungo tutto l'arco della sua attività di pittore, fu il paesaggio delle Alpi Lepontine del versante italiano, nel quale si descrive l'istante di un racconto popolare, oppure la rappresentazione di una parabola, nei cui fermo-immagine vi si accentua con ironica minuzia il rapporto apparentemente inconciliabile tra le scenette di genere popolate da rubizzi volti brabantini, con gli altisonanti, austeri e talvolta perfino terrifici reinventati scenari che nulla hanno a che fare con l'umano racconto . Vedi ad esempio quella Fuga in Egitto del 1563, tra larici e pini mediterranei, tra verdeggianti sponde lacustri e montuosi picchi, tra guglie e ripidi declivi, con quale naturalezza s'incarica di sublimarne il racconto entro la sfera d'una vasta visione romantica e a-temporale.
Della grande visione plurigenerazionale che la mostra di Venaria sta dando della pittura fiamminga dei Brueghel (padre, figli, nipoti e pronipoti), nel dipanare l'evolversi di uno stile pittorico familiare lungo quasi due secoli di storia tra il Cinquecento ed il Settecento, siamo qui solo soffermati sul messaggio artistico del del suo iniziatore, il Vecchio Pieter, copiosamente rappresentato nella prestigiosa sede torinese, la cui minuziosa cura del dettaglio, entro disegni ed olii di piccolo formato, posto sui diversi e differentemente definiti piani. In queste preziosissime opere, tanto apprezzate dalla clientala internazionale che già il suo autore annovarava in vita, diventa "sigla" il suo ben distinto binomio "scena e attori", entrambi protagonisti in un personalissimo schema che caratterizza e distanzia il suo autore sia dai suoi contemporanei italiani, totalmente e in ogni senso a lui lontani, sia dai suoi diretti discendenti, che ne adattano di volta in volta soggetti e caratteri allo stile del tempo, mantenendone integra la ragione realista che tutti li anima.
Enrico Mercatali
Torino, 22 ottobre 2016