Allan Kaprow
Grande antologica al Museo del Novecento di Firenze
E' stata lodevolmente allestita a Firenze una mostra dedicata all'artista statunitense che ha "inventato" gli "Happenings", la Performant Art, la Environmental Art, la Body Art, l'arte come installazione temporanea. Ancora mancava nel nostro Paese una analisi approfondita della sua figura di pioniere dell'arte performantica, ed è per questo che riteniamo sia stata finalmente colmata una lacuna.
Trattasi di un personaggio ancora non molto conosciuto al grande pubblico, poco frequentato in Italia nel corso della sua vita (Atlantic City, 23 agosto 1927 – Encinitas, 5 aprile 2006), raramente presente se non quando ufficialmente inviato attraverso i canali ufficiali predisposti dal Governo degli Stati Uniti d'America nel periodo più fecondo per l'Arte di quel Paese, del secondo dopoguerra, in un momento in cui l'America faceva di tutto per esportare in Europa la propria cultura. Nonostante la sua scarsa fortuna nel nostro continente egli, nel suo Paese, è stato notevolmente impegnato, sia nell'insegnamento in campo artistico, che nella attività di creatore di eventi, fin da quando ha avuto origine nel nostro paese l'interesse per gli artisti dell'Espressionismo Astratto di marchio americano, nei tardi anni '50. I nomi più noti di quel nucleo iniziale di artisti che nel dopoguerra si sono affermati in Europa sono stati ad esempio quelli di Wilhelm De Kooning, di Jackson Pollock, di Bernet Newman, di Mart Rothko, di Robert Rauschemberg, di Jim Dine. Questi pittori furono presenti con le loro opere su tela, gigantesche, alla Biennale di Venezia, ed anche a Milano, ricordo bene, al Padiglione d'Arte Moderna di via Palestro, creando giustamente molto scalpore sia di critica che di pubblico. Ma Allan Kaprow non c'era.
A. Kaprow: Paul Klee's mist 1947
La pittura di Kaprow prima del 1950 era ancora un frutto da scoprire, forse perchè ancora in fase di gestazione, poco riconoscibile forse per le sue ancora numerose strade di ricerca personale e poco dichiarate certezze, che la tenevano racchiusa negli angusti ambiti nazionali che poco colloquiavano col mondo. Essa può dirsi appartenere a quelle forme d'espressione che, a partire da una osservazione deformata della realtà, tendono da un lato alle dissonanze della pura astrazione, ma dall'altro ancora non sanno distanziarsi dal mondo di una incerta figurazione di stampo modernista, che faceva già emergere le certe doti dell'artista, senza però vederne ancora appieno sviluppata una spiccata personalità. I grandi galleristi ancora lo ignoravano, mentre lui era impegnato ad individuare la sua vera strada.
A. Kaprow: White and Brown, and other figures - 1954
In quel momento gli però stava compiendo un rapido giro di boa che lo portò più tardi a primeggiare come vero e proprio rivoluzionario, inventore di nuove formule, senza la quali non si sarebbe fatta l'arte di oggi.
Egli superò il suo maestro Jachson Pollok, incominciando ad essere colui che disintegrava le codificazioni dell'arte contemporanea in nuovi rivoli essenziali, colui che mischiava le carte rimettendo in gioco tutto quanto potesse far parte di nuove e più avanzate esperienze, l'ambiente stesso, il corpo stesso dell'artista e dei suoi fruitori, il tempo impiegato a sentire o vedere, sovrapponendovi le tecniche d'altre arti, con le stesse tecniche nuove che l'industria sfornava di continuo, in un continuo divenire, continuando a sperimentare.
Qui sopra di Allan Kaprow: 2 immagini di "18 Happenings in 6 Parts", avvenuto alla Reuben Gallery di New York
Nel 1959 iniziò a sperimentare praticamente questa esperienza d'arte collettiva, nella quale, a partire dagli spunti dell'artista, il pubblico dava corpo alle successive invenzioni sceniche, nonchè all'intero senso di quanto accaduto. L'accaduto, anzi quanto stava accadendo, l'happening appunto, si sviluppava in 18 parti ("18 happenings in six parts"). Fogli traslucidi dipinti dall'autore, proiezioni di film e diapositive alle pareti, audio con musiche e poesie, pubblico invitato a svolgere certe azioni a comando e ad applaudire. Eravamo alla Reuben Gallery di New York. Fu la prima delle sue numerose opere che seguirono, mettendolo così sul piedistallo del precursore. Nel 1961 seguì "Yard" (gli intervenuti camminano su mucchi di copertoni d'auto, spostandoli a piacimento in tre distinte sale).
A. Kaprow: "Yard" (1961)
Con lui, potremmo dire in contemporanea e con analoghi mezzi ma con risultati diversi, un altro artista si imponeva nel mondo della cultura artistica. Questi era Andy Warhol, con tutto l'armamentario degli scatoloni da supermercato e le relative scritte commerciali.
Negli stassi anni anche il musicista John Cage avviava ricerche analoghe con strumenti diversi. Ma solo anni più tardi arrivava al massimo della sua notorietà, giungeva pressappoco agli stessi risultati promuovendo azioni che coinvolgessero il pubblico. Fu, se ben ricordo, nel 1996 il suo famoso "Concerto" al Teatro Lirico di Milano (durato un paio d'ore, con l'autore sul palco davanti a un pianoforte a coda), nel corso del quale non una sola nota di pianoforte risuonò in sala, e finì in rissa, tra un pubblico pagante che, sul palco, si divideva tra sostenitori e accusatori dell'artista. Ebbi un diverbio anch'io in quell'occasione, con un amico che avevo portato con me, il quale pensava di venire a sentire un concerto di musica contemporanea e protestava per la non piccola cifra che aveva sborsato per esserci.