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04 September 2013

La città nuova di Sant'Elia, e oltre Sant'Elia. Chiude l'interessante panoramica comasca: Cento anni di visioni urbane. Un bilancio e qualche considerazione a margine




La città nuova di Sant'Elia, oltre Sant'Elia

Chiude l'interessante panoramica comasca



1913 - 2013
Cento anni di visioni urbane
Un bilancio e qualche considerazione a margine





Como ha dedicato quest'anno al proprio illustre concittadino, Antonio Sant'Elia (a cent'anni dalla mostra milanese che ne decretò per sempre l'altissimo contributo che diede all'architettura moderna),  una ambiziosa mostra, "La città nuova  oltre Sant'Elia - 1913 Cento anni di visioni urbane 2013". Il curatore, Marco De Micelis, che ha anche introdotto il catalogo edito da Silvana Editoriale con l'articolo "Le città nuove", ha inteso sondare criticamente il percorso della "Architettura dell'utopia" proprio a partire da quella serie di disegni che l'architetto del Futurismo comasco produsse tra il 1913 e il 1914, che immortalarono il nome del loro autore nel corso stesso della mostra da lui stesso voluta a Milano nel 1914, dal titolo "Nuove Tendenze", che oggi costituiscono un inestimabile patrimonio della sua città natale, come quello del più grande interprete italiano della modernità architettonica ed uno dei maggiori architetti del XX secolo.
 




E' incredibile come pochi disegni potessero giungere a tanto, e tanto più che, come sappiamo, rimasero unica testimonianza dell'impeto creativo del Maestro, che l'anno successivo partì volontario per la guerra, senza più farvi ritorno. Quei disegni non solo fecero un enorme scalpore, presso il pubblico che vide quella mostra, per la carica innovativa e la forza intrinseca che ne caratterizzavano sia il segno che i contenuti, ma anche presso la critica di tutto il mondo, tanto organica si manifestava subito in essi la loro forte espressività ai recentissimi avvenimenti in campo artistico, particolarmente milanesi, rappresentati nelle opere pittoriche di Mario Sironi e di Umberto Boccioni, ed alle istanze di cambiamento ormai avvertite da tutti quegli intellettuali italiani che ne stavano maturando un analogo  linguaggio, proiettandolo generosamente al futuro. 
Veramente sconvolgente, ancora ai nostri occhi, il significato di quei tratti di matita, e la loro carica di innovatività, se ben li sappiamo collocare, rispetto agli studi urbani che li hanno preceduti, e perfino a quanto li ha seguiti, fino ad oggi, nella non fitta serie di intenti e di proposte che hanno attraversato il secolo, da allora alle più recenti indagini attorno allo stesso tema della metropoli che si espande, nel tentativo, forse oggi ancor più difficile d'allora, di vedere ciò che accadrà domani alle avventure urbane più estreme, dagli esiti difficilmente controllabili.

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Questo era il tema più sentito da Sant'Elia: come approcciare una forma che ancora non si vede, una figura urbana che poco riesce a ben delinearsi, una immagine convincente della metropoli che già, all'inizio del secolo, sta autoconfigurandosi in modo caotico, e poco incline a lasciarsi governare. Un tema così difficile e complesso, e pur allora così poco ancora approfondito. Pochi sono i precedenti di tale sforzo interpretativo che la mostra annovera nella sua analisi, e che il catalogo riporta, anche se in modo non certo esaustivo, gli esempi d'un approccio sistematico e logico alla forma urbana, che siano stati affrontati nel tardo ottocento e all'affacciarsi del nuovo secolo. Si sono ricordati qui i rari esempi di studio compiuti da Ebenezer Howard e la sua Città Giardino, Otto Wagner e il suo Distretto Tipo per la città "senza limiti", da Eugène Hénard e la sua Città del Futuro, sino a Tony Garnier e la sua "Cité Industrielle", quale parte di una "Città Nuova". Esempi sporadici e poco fondativi, incapaci quindi, ciascuno per la sua propria angolazione, d'essere all'altezza del difficile compito.




Nei migliori disegni di sant'Elia emerge una visione estremamente equilibrata dei frammenti di città metropolitana che egli immagina e propone. Per ben valutare la portata predittiva di questi capolavori, che oggi ci appaiono aderire perfettamente ad una realtà che conosciamo ed abbiamo sperimentato, dobbiamo confrontarli con le visionarie e datatissime immagini sue contemporanee (vedi i disegni per il film Metripolis di Fritz Lang, proiettato alla mostra comasca, o quelle di poco precedenti, di Eugène Hénard per "Una città del futuro"). Non solo i disegni di Sant'Elia sono totalmente privi dello spirito ludico di Hénard, o di senso del dramma di Kettelhut, ma sono incredibilmente ricchi di autentico senso di realtà, pur proiettata ben al di là del momento storico cui appartengono, immaginandovi in essi l'autore una cosciente presa d'atto di tutti i principali elementi costitutivi la fondatezza d'una aggregazione funzionale che di lì a poco avremmo tutti visto nascere come naturale, e la precisa ragione d'un rapporto così ben interiorizzato tra elementi di una costruzione che già sapeva possedere pieno controllo alle sue logiche compositive più attendibili.

Entriamo così, con questi certo non numerosi esempi, nella storia dell'utopia che ha riguardato il secolo della modernità e che attiene a quello che, col nuovo secolo, si andava delineando, con ciò appena agli inizi. E' questa storia che la mostra si propone di indagare ed illustrare, una storia di fughe in avanti, quasi del tutto prive di contatto con la realtà, ma anche di cosciente e razionale prefigurazione d'un futuro che ancora non c'è, ma che già si sta rivelando, attraverso ben precisi e leggibili segni. All'elenco prima abbozzato dobbiamo aggiungere il nome di Bruno Taut, ma più ancora di Henri Sauvage, tra quelli che forse e più hanno potuto influenzare la mente e la mano di Antonio Sant'Elia. Quest'ultimo, in particolare ha compiuto studi e formulato proposte limitate a una particolare tipologia edilizia, quella della casa d'abitazione multipiano "a gradoni", proposta allo scopo di migliorare la luminosità e l'igiene delle strette vie di Parigi. Ebbene, questo particolare fu proprio quello che affascinò il giovanissimo architetto comasco, che, secondo la tesi della mostra, fu proprio colui che per primo seppe canalizzare tutte quelle pregresse e diverse esperienze, verso una sintesi che, pur attingendo dall'ampio alveo dell'utopia, sapeva già propugnare una fondata concretezza d'intenti. Ed è questo che ha caratterizzato la sua opera, putroppo limitata dalla prematura scomparsa a soli 23 anni, che qui si celebra come capostipite della modernità d'architettura, e precursore di molta parte di quanto poi il secolo che lo ha generato ha mostrato di produrre.



Due bozzetti di Erich Kettelhut del 1925 per le immagini del film Metropolis di Fritz Lang (1927). La futuristica proiezione urbana è tesa, più che a immaginare davvero quale forma potrà assumere la megalopoli degli anni a venire, ad incutere paura. Le immagini dal basso, come avviene nei disegni di sant'Elia tendono a ingigantire le masse costruite, ma i monumenti che vi si inventano alludono all'incombere di poteri sovrumani. In Sant'Elia invece l'approccio è meno drammatico e più fondato.


 I disegni di Sant'Elia sono esclusivamente prospettici, con una particolare predilezione per i punti di vista dal basso verso l'alto. Non ci ha lasciato nulla, il Maestro, relativamente a piante o sezioni. A lui interessava perciò esclusivamente trasmettere quello che oggi chiamiamo un "rendering". Ciò che a lui interessa mostrare è la proposta razionalità d'una organizzazione urbana complessa, nella quale ogni elemento (dalla residenza ai trasporti, dalle stazioni agli uffici, dalle strade ai ponti) tutto si integri e unifichi in una quadro di fondata precisione formale, che ne esalti l'efficienza, ma anche la forza espressiva. Questa è la sintesi di tutto il suo messaggio, ed essa è talmente precisa da saper arrivare fino ad oggi senza alcuna patina di consunzione, bensì schietta e fresca come fosse ancora attuale.



Un disegno e un plastico per Plan Voisin di Le Corbusier, 1925. La visione del Maestro svizzero, come mostra il disegno,  è quella di una città ove vige il benessere: sebbene non vi sia rappresentata nessuna persona, sulla pubblica terrazza d'una "rue a redents" vi sono resti di una colazione sulle tavole imbandite che lasciano immaginare quanto piacevoli passeggiate o ritrovi, con tanto di panorama sui grattacieli, possano annoverarsi in una città così ariosa e piena di luce, così come quanto poco fastidiosa possa essere la lontana autostrada piena di veicoli o l'aereo biplano che fa acrobazie sulla nostra testa.



Proviamo a confrontare questi disegni con tutta l'abbondante iconografia divulgata a quel tempo dal cinema e dalla stampa non specializzata, riguardante la paura che il futuro urbano riservava alle grandi masse: Metropolis di Fritz Lang, tra tutti, ne rappresenta il vertice. Rispetto a tali esempi Sant'Elia riesce a mostrare un volto possibile, razionale e moderno, della città futura, indicando la strada da percorrere a tutti coloro che della crescita urbana si sarebbero dovuti occupare nel corso del secolo. I suoi frammenti di metropoli erano talmente precisi e perfetti, nei loro composti modi d'aggregazione delle parti in cemento, in ferro, in vetro, da costituire esempio probante di come affrontare ogni complesso problema per un intero secolo. Fantastico appiglio, che la mostra suggerisce, per chi, dopo di lui, dovette dare inizio a tale avventura: tra gli altri, Le Corbusier e F.L. Wright.



Immagini fotografiche del plastico presente alla mostra comasca rappresentante Living City, progettata da F.L. Wright nel  1959, sulle cui oriograficamente mosse colline prendono posto alcuni tra i suoi più famosi edifici, quali puntuali segni alla grande scala, d'un territorio punteggiato di numerose, ma non limitrofe, unità abitative della piccola scala.



Nella mostra si è dato un adeguato spazio alle due tendenze architettoniche, d'una utopia capace di proporsi anche in termini concreti, che seguirono a poca distanza d'anni dalle proposte prebelliche del maestro comasco: quelle di Le Corbusier, dagli studi per una città di 3 milioni di abitanti (poi tradottasi nel Plan Voisin per Parigi) e nella più estesa Broadacre City  (poi divenuta Living City) di Franck Lloyd Wright.





Nella fotografia qui sopra un aspetto della mostra comasca dedicata ad Archigram - Plug-in City e a Walking City:Moving, 1964. Poco spazio è stato dedicato nella mostra a questi progetti, ma è stato comunque interessante poter vedere dal vivo alcuni dei disegni originali del gruppo inglese, certamente tra i più noti. Ancora oggi questi disegni emanano la loro forte carica innovativa che, al di là dell'ironia relativa alla città-mostro che cammina, rivela l'approfondita e acuta analisi che Peter Cook, Ron Herron e Warren Chalk hanno compiuto, della estremizzata applicazione di aspetti produttivi realissimi e di altrettanto possibili loro applicazioni al mondo dell'edilizia, prospettandone una forma che disumanizza la visione urbana contemporanea, ma altrettanto efficacemente ne espone le possibili applicazioni.

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Assai meno interessante, dopo questi primi approcci al tema sulla nascita del Moderno, che ha visto Sant'Elia nel perfetto baricentro storico della questione, la seconda parte della mostra, che tratteggia in modo peraltro poco organico i riferimenti di quella parte dell'architettura moderna al tema dell'Utopia, che vede alcuni nomi, tra cui Walter Yonas, Arata Isozaki, Yona Fridman, Archigram, Archizoom Associati e Superstudio (non si capisce perchè non Paolo Soleri), particolarmente attratti dalle fughe in avanti, quali possibili e fantastiche, a volte pessimistiche, configurazioni del futuro, in termini di forma urbana.



Qui sopras, di Arata Isozaki "Cluster in the air, 1962. Come Archigram anche Isozaki propone folte aggregazioni cellulari attronio ad un nucleo verticale, così creando un albero gigantesco. Analogo lo sviluppo verticale ad imbuto di Walter Yonas (vedi sotto). Attorno ai '60 molti architetti propongono questo modello "a fungo", attratti forse dalla sua potenziale autonomia rispetto al resto dell'anonimo e indofferenziato tessuto arbano tradizionale. Qualcosa di simile anche a quanto in America andava sperimentando, e costruendo, Paolo Soleri con la sua Arcosanti. Se nel caso di Soleri si trattava preminentemente di una architettura ipogea, negli altri casi le gigure architettoniche emergevano in modo gigantistico e davvero impressionante. Anche i loro autori, non sappiamo quanto consapevolmente, andavano prefigurando un futuro del quale aver paura.




La seconda parte della mostra è risultata francamente la meno interessante della prima: ovvero quella parte che, conclusasi la grande esperienza dei Maestri del '900, vede attivi sul versante dell'utopia, alla ricerca d'una ragione oltrechè d'una forma all'espandersi della megalopoli futura, gruppi di architetti, specialmente europei, dalle idee talvolta organiche sotto il profilo della coerenza linguistica, ma assai poco chiare in termini di concreto legame con quanto accade nel mondo della ricerca pura o della professione. A partire dagli anni '60 il pensiero utopico, muovendo dagli studi sociologici della conoscenza, quali quelli svolti da Karl Mannheim nel decennio precedente,  muove la fantasia non solo di politologi e sociologi, ma anche quello di artisti e architetti, che promuovono vere e proprie fantasmagiche proiezioni circa l'avvenire non soltanto formale della città futura, ma anche letterario-psicologico-antropologico. Da New Babylon di Constant Nieuwenhuys a Yona Friedman, da Arata Isozaki al gruppo Archigram, da Archizoom Associati a Superstudio, quasi tutti i paesi europei vbi sono rappresentati, ed alla mostra presenti con modelli, disegni, fotografie e documenti. Nonostante che tutti loro abbiano riempito le pagine di intere annate di riviste, prevalentemente specializzate, tra gli anni '60 e '90, poca sostanza hanno veramente lasciato alla discussione di quanto realmente avviene, e quanto realmente noi percepiamo che avvenga, nee grandi conurbazioni mondiali fino allo scorcio del secolo scorso. Vero è che tale dibattito modernista è stato fortemente fuorviato, nel corso degli anni, dalla parallela forza acquisita nel tempo da parte dei più conservatori e di quel postmodernismo che forse la maggiore fetta di curiosità ha saputo conquistarsi, da parte dei media, così un poco anche ofuscando la ricerca dei nostri. Ma anche la mostra comasca ci pare non sia stata in grado di suscitare particolare interesse per questa parte della cultura modernista confluente nel filone dell'utopia. Nulla del tutto invece la mostra ha cercato di indagare in quella più concreta parte del filone modernista, che ha costruito la città moderna per quanto noi stessi oggi possiamo vedere, forse in modo più direttamente collegato al grande lascito sant'eliano. Ma meglio così, altrimenti si sarebbe aperto un filone della mostra che non avrebbe potuto trovare un vero e proprio filo conduttore.


 

Due immagini della sala della mostra comasca dedicata a Superstudio: "Istogrammi di architettura, 1969-2000" e "Monumento continuo". Molta enfasi negli spazi dedicati a questo fenomeno italiano, per contenuti di scarsissimo interesse. Bisogna anche pensare che al fenomeno dell'"Architettura Radicale", come fin dai suoi esordi tali proposte andavano autodefinendosi, si erano interessate solo alcune riviste di architettura che ne propagandavano i contenuti, ma non certo tutte le maggiori testate specialiostioche. Fu così che, a differtenza di quanto accadeva ancora negli anni '50 e '60, il dibattito architettonico andava via via parcellizzandosi, lascindo solo a pochi adepti le proprie tracce. Era l'epoca, quella, nella quale poco si costruiva, in Europa e soprattutto nel nostro Paese. Così la più modesta realtà andava sempre più distaccandosi dalle grandi teorizzazioni. Ed il dibattito generale perdeva fascino.


In fondo, l'aver posto tutto l'accento possibile sull'espressione dell'utopia architettonica ha rapidamente portato il curatore della mostra a concludere che essa ha perduto l'interesse che aveva avuto tra le proposte dei Grandi Maestri e gli anni '70, e che nomi quali Chris Burden, Lu Hao, Franz Gsellmann, Cao Fei e Carsten Holler (interprete di Georgij Tichonovic Krutikov) pochissima risonanza mediatica hanno avuto, perfino tra gli addetti ai lavori, e scarso seguito perfino tra gli studenti di ingegneria o architettura.




Sopra: un modello della "Città Volante", di Carsten Holler, 2001, da Georgij Tichonovic Krutikov 1928 (Milano, Fondazione Prada) e, sotto, di Chris Burden, Pizza City 1991-96 (Vienna, Museum fur Angevandte Kunst)





Cao Fei, RMB City: A Second life City Planning, 2007 (Pechino, Courtesy l'artista e Vitamin Creative Space).



Enrico Mercatali
Como, 14 luglio 2013
(Lesa, redatto il 4 settembre 2013)





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