SCULTURE DA ABITAREe
ARCHITETTURE COME OGGETTI D'ARTE
ARCHITETTURE COME OGGETTI D'ARTE
Oggi fa tendenza sfumare i confini tra scultura e architettura, quasi a volerne identificare i rispettivi processi creativi assiemandoli nell'univoca scia delle pur originariamente distinte matrici linguistiche.
Un articolo di Massimiliano Fuksas apparso sul numero 3 del settimanale L'espresso, del 20 gennaio 2011, nel quale si considera quanto i confini tra le diverse forme di espressione utilizzate negli ultimi trent'anni si siano affievoliti (cosa che ha senz'altro qualche elemento di verità), ci ha portato a confrontare le teorie che stanno alla base delle rispettive tendenze d'espressione, sia nel campo artistico puro, con particolare riguardo alla scultura, sia nel campo dell'architettura, le quali hanno teso a rendersi omogenee nei due campi fino a farli divenire molti simili , specie in talune loro accezioni particolari.
Già in un nostro precedente articolo, su queste stesse pagine (6 novembre 2010 "Il contenitore e il contenuto"), avevamo messo in evidenza quanto più vasto d'una volta sia divenuto oggi il territorio della scultura, nelle sue espressioni più recenti dell'avanguardia, e quanto spesso accada che talune forme di scultura tendano ad assimilarsi a quelle architettoniche, specie quando in esse vengano considerati parte dell'esperienza fruitiva tridimensionale, gli spazi interni che in esse vi si siano ricavate, e si è invitati ad accedervi, a "viverle".
L'argomento credo sia più ampio di quanto si possa pensare a prima vista, trattandone gli aspetti più evidenti, in quanto ai temi del linguaggio (oggi particolarmente in auge: vedi libri quali: La manomissione delle parole Gianrico Carofiglio - Rizzoli) che sono all'origine della maggior parte della mutazione dei segni che regolano oggi la comunicazione dei concetti di cui viviamo, siano parole oppure oggetti che ci circondano o spazi nei quali viviamo, trattasi comunque dei linguaggi che si usano per comunicare regole, comportamenti, azioni, e che a loro volta condizionano le relazioni interindividuali e sociali, permeando di sè la vita stessa che viviamo.
Nonostante che abbiamo grande stima per Fuksas e per molte delle opere che egli ha realizzato (molte delle quali già pubblicate da TACCUINI (vedi le Distillerie Nardini nell'articolo "Cattedrali del Vino" & "Nuove Cantine d'autore") ciò che egli sostiene riguardo alle relazioni tra architettura e scultura, nasce dall'equivoco che per lui l'architettura aspira a diventare oggetto d'arte, ed è per questo che essa tende ad essere scultura, una grande scultura che, anzichè disporsi all'interno di uno spazio ben definito che la raccolga, interno o interno che sia, tenda alla dimensione urbana, o territoriale, inserendosi in un contesto fatto di altre, di tante altre sculture che appaiano gigantesche alle persone che tra loro vi si immergano, o che le osservino come sky line metropolitano se vi sono a distanza.
Noi di TACCUINI non condividiamo affatto questo modo di vedere l'architettura.
E' pur vero che Fuksas, come nello stesso già citato articolo sostiene, prende le distanze dalle analoghe condizioni, si pure a volte alla più piccola scala, nelle quali si vuole porre la scultura d'oggi, quando aspiri ad essere simile all'architettura, quando si voglia porre come "spazio da vivere", come contenitore da sperimentare al suo interno. E tali distanze si fanno ben apprezzare quando si sostiene che tutt'altra e ben diversa complessità l'architettura debba affrontare, per diventare tale, e di buona qualità, a differenza dell'ambito assai più ristretto nel quale la scultura si muova per darsi un territorio autonomodi disciplinarità.
Ma, nonostante tali distinguo certamente logici, perfino ovvi, che il critico di Repubblica esplicita, egli sembra aderire a quella corrente che oggi permea tutto il dibattito moderno che ruota attorno all'architettura, la quale tende oggi ad esaltarne in primo luogo i caratteri di fisica "oggettualità," che la assimilano a qualcosa che attenga alle tecniche scultoree piuttosto che a quelle d'altri campi dell'operare umano.
Noi crediamo invece che l'architettura sia piuttosto "sistema di spazi", o "sistema di relazioni" , il che la allontanerebbe dalle logiche dell'operare artistico e dalle sue specifiche tecniche, avvicinandola piuttosto a quelle dell'operare delle scienze umane, una volta che queste sappiano diventare, attraverso l'uso di tecnologie nuove, materiale capace di imporsi almeno pariteticamente alle tecniche espressive dei nuovi linguaggi estetici, in un mix sempre capace di non perdere di vista l'idea che debba diventare un habitat. Sociologia e psicologia, ancora, perciò, nella definizione d'un sistema degli spazi, piuttosto che semplicemente oggetti scultorei capaci di ben rappresentare il suo autore. Architettura e scultura.
Noi propendiamo decisamente per riallontanarne i significati, e le rispettive essenze, per ridare pieno ed autonomo significato alle opere scultoree e a quelle dell'architettura. Questa confusione di ruoli e di significanze secondo noi non ha fatto che danni all'architettura di oggi, ed è davanti agli occhi di tutti quanto spaventosi sono diventati oggi i paesaggi urbani, colmi come sono diventati di "sculture". Esse sono diventate il campionario delle sculture degli archistar, e musei all'aperto delle loro più spinte bizzarrie, davanti alla totalmente disarmata incapacità di tutti di fermarne il nefasto processo di proliferazione, che ha snaturato i volti delle città, talvolta riuscendo perfino, come sta accadendo nella città di Milano, ad esempio, a modificarle tanto da renderle irriconoscibili (analoga cosa invece non è successa, o non ancora successa, nella città di Torino, che, per i più diversi motivi, ha saputo difendersene)
Enrico Mercatali
Lesa, 18 gennaio 2011
Già in un nostro precedente articolo, su queste stesse pagine (6 novembre 2010 "Il contenitore e il contenuto"), avevamo messo in evidenza quanto più vasto d'una volta sia divenuto oggi il territorio della scultura, nelle sue espressioni più recenti dell'avanguardia, e quanto spesso accada che talune forme di scultura tendano ad assimilarsi a quelle architettoniche, specie quando in esse vengano considerati parte dell'esperienza fruitiva tridimensionale, gli spazi interni che in esse vi si siano ricavate, e si è invitati ad accedervi, a "viverle".
L'argomento credo sia più ampio di quanto si possa pensare a prima vista, trattandone gli aspetti più evidenti, in quanto ai temi del linguaggio (oggi particolarmente in auge: vedi libri quali: La manomissione delle parole Gianrico Carofiglio - Rizzoli) che sono all'origine della maggior parte della mutazione dei segni che regolano oggi la comunicazione dei concetti di cui viviamo, siano parole oppure oggetti che ci circondano o spazi nei quali viviamo, trattasi comunque dei linguaggi che si usano per comunicare regole, comportamenti, azioni, e che a loro volta condizionano le relazioni interindividuali e sociali, permeando di sè la vita stessa che viviamo.
Nonostante che abbiamo grande stima per Fuksas e per molte delle opere che egli ha realizzato (molte delle quali già pubblicate da TACCUINI (vedi le Distillerie Nardini nell'articolo "Cattedrali del Vino" & "Nuove Cantine d'autore") ciò che egli sostiene riguardo alle relazioni tra architettura e scultura, nasce dall'equivoco che per lui l'architettura aspira a diventare oggetto d'arte, ed è per questo che essa tende ad essere scultura, una grande scultura che, anzichè disporsi all'interno di uno spazio ben definito che la raccolga, interno o interno che sia, tenda alla dimensione urbana, o territoriale, inserendosi in un contesto fatto di altre, di tante altre sculture che appaiano gigantesche alle persone che tra loro vi si immergano, o che le osservino come sky line metropolitano se vi sono a distanza.
Noi di TACCUINI non condividiamo affatto questo modo di vedere l'architettura.
E' pur vero che Fuksas, come nello stesso già citato articolo sostiene, prende le distanze dalle analoghe condizioni, si pure a volte alla più piccola scala, nelle quali si vuole porre la scultura d'oggi, quando aspiri ad essere simile all'architettura, quando si voglia porre come "spazio da vivere", come contenitore da sperimentare al suo interno. E tali distanze si fanno ben apprezzare quando si sostiene che tutt'altra e ben diversa complessità l'architettura debba affrontare, per diventare tale, e di buona qualità, a differenza dell'ambito assai più ristretto nel quale la scultura si muova per darsi un territorio autonomodi disciplinarità.
Ma, nonostante tali distinguo certamente logici, perfino ovvi, che il critico di Repubblica esplicita, egli sembra aderire a quella corrente che oggi permea tutto il dibattito moderno che ruota attorno all'architettura, la quale tende oggi ad esaltarne in primo luogo i caratteri di fisica "oggettualità," che la assimilano a qualcosa che attenga alle tecniche scultoree piuttosto che a quelle d'altri campi dell'operare umano.
Noi crediamo invece che l'architettura sia piuttosto "sistema di spazi", o "sistema di relazioni" , il che la allontanerebbe dalle logiche dell'operare artistico e dalle sue specifiche tecniche, avvicinandola piuttosto a quelle dell'operare delle scienze umane, una volta che queste sappiano diventare, attraverso l'uso di tecnologie nuove, materiale capace di imporsi almeno pariteticamente alle tecniche espressive dei nuovi linguaggi estetici, in un mix sempre capace di non perdere di vista l'idea che debba diventare un habitat. Sociologia e psicologia, ancora, perciò, nella definizione d'un sistema degli spazi, piuttosto che semplicemente oggetti scultorei capaci di ben rappresentare il suo autore. Architettura e scultura.
Noi propendiamo decisamente per riallontanarne i significati, e le rispettive essenze, per ridare pieno ed autonomo significato alle opere scultoree e a quelle dell'architettura. Questa confusione di ruoli e di significanze secondo noi non ha fatto che danni all'architettura di oggi, ed è davanti agli occhi di tutti quanto spaventosi sono diventati oggi i paesaggi urbani, colmi come sono diventati di "sculture". Esse sono diventate il campionario delle sculture degli archistar, e musei all'aperto delle loro più spinte bizzarrie, davanti alla totalmente disarmata incapacità di tutti di fermarne il nefasto processo di proliferazione, che ha snaturato i volti delle città, talvolta riuscendo perfino, come sta accadendo nella città di Milano, ad esempio, a modificarle tanto da renderle irriconoscibili (analoga cosa invece non è successa, o non ancora successa, nella città di Torino, che, per i più diversi motivi, ha saputo difendersene)
Enrico Mercatali
Lesa, 18 gennaio 2011