"Fondamentali"
di Rem Koolhass
Il nuovo non avanza
ed il vecchio arretra
in Biennale - Architettura
- Venezia 2014 -
Sembra non esserci più spazio per nuove rivoluzioni,
ed è forse ciò che occorre per cambiare verso alla disciplina
Rem Koolhass, curatore della Biennale Architettura 2014, nella foto sotto al titolo, colto mentre spiega l'architettura-icona del XX secolo, il Padiglione Tedesco del Berkbund di Barcellona disegnato da Mies van der Rohe nel 1928, e qui sopra la sua ultima proposta per Venezia, in un rendering dai lui stesso proposto, e che non gli fa davvero onore, del progetto di ristrutturazione con sopralzo della Louis Vuitton al Fondaco dei Tedeschi, fortunatamente bloccato dalla Soprintendenza di Venezia, ma recentemente riproposto da Benetton con piccole varianti, sempre a firma di Koolhass, per la realizzazione di un grande Magazzino La Rinascente. Il progetto prevede un piano in più con accesso alla terrazza di copertura da parte del pubblico. Ciò accadrà a fianco del Ponte di Rialto: insomma il suo autore, visibile anche nella foto qui sopra, desidera essere annoverato tra i numerosi attentatori della città. Con buona pace della più combattiva e manichea critica architettonica sembra inevitabile che il giusto processo di modernizzazione del centro storico di Venezia debba avvenire arrecando grandi traumi all'aspetto esteriore delle sue strutture, piuttosto che per piccoli e diffusi interventi di recupero dall'interno, come dai più è ancora auspicato.
Quest'anno Biennale Architettura ha voluto essere diversa dalle precedenti. Il suo curatore si è preoccupato di innescare un dibattito acceso e proficuo sulla disciplina oggi, al contempo, tanto in auge favolosi prodotti firmati archistar), quanto tanto negletta (nessuno dei grandi problemi del mondo può dirsi in via di soluzioni con l'aiuto dell'architettura). Rem Koolhass, l'architetto olandese che ne ha curato gli aspetti tematici che ne informano gli allestimenti non ha dato, a nostro avviso il meglio di sè in questea manifestazione, ed i prodotti che ci sono sembrati migliori sono tutti a firma di altri curatori, a partire dagli allestimenti proposti dagli Stati, entro i loro padiglioni, per giungere al Padiglione Italia con la mostra curata da Cino Zucchi. Crediamo che il miglior saggio sullo stato di salute dell'architettura oggi nel mondo Koolhass lo abbia dato e lo dia con le sue opere, sparse un po' dovunque per il mondo, più di quanto non abbia detto oggi, a Venezia, in questa sua Biennale Architettura.
Biennale Architettura, come ampiamente anticipato dai Media, si è preoccupata questa volta di cambiare in modo radicale la sua veste, rispetto a quella degli anni passati: con l'incarico assegnato a Rem Koolhass la stessa direzione della manifestazione veneziana aveva immaginato di imprimere un cambiamento epocale, come ci si voleva aspettare dalla certo spiccata e mutevole personalità dell'autore di Delirius New York e dal capo di OMA (Office for Modern Architecture ).
Ma forse nello stesso incarico non si era potuto prevedere qual genere di virata il curatore di quest'anno avrebbe impresso alla manifestazione, della quale infatti abbiamo avuto sotto gli occhi, tra i primi visitatori quali quest'anno siamo stati, la generica e deludente evidenza di un imprevisto vuoto: egli, avendo voluto totalmente sorpassare lo schema del confronto tra gli stili personali degli architetti più in vista, attraverso la presentazione delle loro ultime proposte (e, come nei fatti era sempre avvenuto, tra i linguaggi delle cosiddette archistars, che da anni dominavano la scena), ha deciso di passare alla completa e definitiva cancellazione di tale impostazione, provocato, certo consapevolmente, un vuoto rispetto alle abitudinarie aspettative dei visitatori. Siamo così giunti a un vuoto che avrebbe perlomeno dovuto essere riempito, dopo aver fatto tabula rasa di quanto si va facendo nel mondo, costruendo ed ampliando quel dibattito filosofico che sarebbe stato molto salutare, ma proponendo invece, come tema di fondo, un ritorno al passato, o quanto meno a ridiscutere del passato i suoi momenti-cardine allo stato nascente.
La Maison Domino (foto E. Mercatali), simbolo della Mostra come ritorno agli albori della rivoluzione architettonica del moderno, è qui sopra rappresentata da uno schizzo di Le Corbusier su carta da lucido ed un modello in scala 1:1, realizzato esplicitamente in legno per questa 14a Biennale d'Architettura. L'impianto strutturale consentito dai nuovi materiali e dalla ricerca di più ampie flessibilità disatributive, consente la teorizzazione d'una nuova concezione dell'abitare, nonchè la sperimentazione di tutte le varianti che la modernità ha fino ad oggi consentito. Rimane a tutti i visitatori il sospetto che la sua realizzazione in cemento armato avrebbe forse ancor più evidenziato quanto quell'estrema sintesi concettuale proposta, agli inizi del secolo XX dal maestro svizzero, avrebbe posto in luce non solo i fondamenti teorici dell'architettura moderna, coi i loro benefici effetti descritti nel libro "Vers un architecture", ma anche le basi di quell'architettura speculativa che avrebbe devastato ovunque nel mondo tutte le periferie delle città. Una icona ambivalente quindi, la Maison Domino, e forse per questo scelta oggi da Koolhass quale monumento d'una Biennale ove discutere.
La virata che Koolhass propone allora, nell'edizione di quest'anno,
inauguratasi pochi giorni fa con un calendario che promuove eventi
continui di qui alla metà di novembre 2014 in ogni angolo della città, è
si un azzeramento dei linguaggi personali per un ricominciamento non
tanto dai fondamenti dell'architettura realmente significativi oggi,
dentro al mondo globalizzato incapace di offrire soluzioni accattabili
di vita che ad una parte dei suoi abitanti, e da un ribaltamento stesso
delle teorie che oggi dominano il campo della cosiddetta "disciplina",
cercando di proporre ad essa quesiti di fondo, questioni che ne
rimettano in moto il senso, ed i suoi stessi significati, per
ricominciare a chiederci dove si sta andando, e come, e perchè, benzì
proponendo il ready-made della sua componentistica, pronta per un uso
acritico, come se da questa cinica epistemologia critica potesse
scatuirire una qualche utile novità per l'azione di chi progetta qui ed
ora.
Campi vaghi di germinazione capaci di produrre solo vaghi disorientamenti, sia nelle mostre curate
personalmente dall'architetto olandese più provocatorio oggi esistente, al padiglione Centrale ai Giardini e all'Arsenale, sia
quella curata per il Padiglione Italia da Cino Zucchi, sia quelle ai
Padiglioni Esteri, realizzate dai singoili paesi sulla traccia fornita
dal programma proposto da Koolhass. Vaghe risposte tutte rivolte al
passato della disciplina, entro i nodi che ne hanno formulato i passaggi
più importanti che ne hanno definito la modernità, a partire dai tentativi falliti di codificarne regole, nei Congressi Internazionali
d'Architettura Moderna e rappresentati dal pensiero riduttivista dei
Maestri (Mies e Le Corbusier, vedi il modello in scala 1:1 in legno
della Maison Domino del 1914) o dall'idea che ogni ipotesi progettuale
potesse discendere da un buon assemblaggio di elementi desunti dai manuali o dai cataloghi della produzione.
La Maison Domino, simbolo della Mostra come ritorno all'essenza dei
problemi odierni dell'architettura, è qui sopra rappresentata da uno
schizzo di Le Corbusier su carta da lucido ed un modello in scala 1:1,
realizzato esplicitamente in legno per questa 14a Biennale
d'Architettura. Rimane a tutti i visitatori il sospetto che la sua
realizzazione in cemento armato avrebbe forse ancor più evidenziato
quanto quell'estrema sintesi concettuale proposta agli inizi del secolo XX dal Maestro francese avrebbe posto in luce, non solo i fondamenti teorici dell'architettura moderna, coi i loro benefici effetti descritti nel libro "Vers un architecture", ma anche le basi di quell'architettura speculativa che avrebbe devastato le periferie della città moderna.
Scale, sistemi di rivestimento di facciate, orinatoi, porte e maniglie
implementano il vero significato della mostra: il Manuale
dell'Architetto, raccolta ragionata e completa del meglio espresso dalla
produzione nelle diverse epoche e nelle diverse culture.
Quanto alla manualistica dei "Fondamentals" è appunto tale manuale, e
lo spirito che
lo animava alle origini della modernità e del suo insegnamento, che
Koolhass ripropone, come ritorno ai fondamenti, non si capisce bene
se ironizzando attorno ad essi quale estremo tentativo di ridefinire una
teoria del montaggio fondato sulla cinica presunzione di poter
ricercarne i fondamenti nelle strutture produttive che ne stanno alla
base, oppure quale purificazione del principio rivoluzionario utopico
d'un totale discostamento da esse.
Scale, sistemi di rivestimento di facciate, orinatoi, porte e maniglie implementano il vero significato della mostra: il Manuale dell'Architetto, raccolta ragionata e completa del meglio espresso dalla produzione nelle diverse epoche e nelle diverse culture. Cosa occorre per dare senso all'intervenire architettonico, partendo da tali "elenchi basilari"? Come concettualizzare la scelta di questo o quel dettaglio nel progetto d'assemblaggio delle parti pre-prodotte? Quale significato genera non tanto questo o quel prodotto ma questo o quel modo di giustapporlo nell'insieme. Siamo oltre al Ready-Made", ma ci sfugge ancora il senso dell'operazione. Non è infatti assai più interessante il diretto confronto dei risultati, piuttosto che il diretto confronto dei loro singoli dettagli, specialmente se decontestualizzati perfino dalla loro stessa essenza funzionale? Ciò è infatti quanto fa Cino Zucchi nel Padiglione Italia, ove presenta più di 60 opere italiane, e specialmente milanesi, di diversi momenti dell'evoluzione
Ingresso del Padiglione Italia e l'imbuto che introduce agli "Innesti" di Cino Zucchi: L'Archimbuto metallico.
Ingresso del Padiglione Italia e l'imbuto che introduce agli "Innesti" di Cino Zucchi. L'Archimbuto metallico simboleggia l'innesto, ovvero il modo di vedere, e quindi fare e realizzare un progetto con gli occhi e con gli strumenti della storia, e rapportandosi ad essa.
In questo percorso si parte dai progetti per la facciata del Duomo di
Milano per giungere all'operato, esemplificato in singoli progetti, di
architetti quali Asnego e Vender, Gardella, Caccia Dominioni, BBPR, i
quali hanno dato al moderno una particolare visione filtrata dalla
storia, "diversamente moderna". E' forse la parte della mostra più
lontana dall'assunto basilare imposto da Koolhass e al contempo la più
interessante, anche se in fondo la più "conosciuta". Ha rilevato infatti
ironicamente Gabriele Neri su "Il Sole 24 ore" che ciò che ha
accomunato l'impulso di Koolhass all'analisi di Zucchi è costituito
dalla forma delle sedute che essi hanno posto lungo i loro percorsi: il
primo, alle Corderie dell'Arsenale ha collocato qua e là lungo
Monditalia numerose gradinate e palchi quali fossero piazzette italiane
ove godersi teatro, musica, cinema e danza, il secondo, al Padiglione
Italia e alle tese delle Vergini ha snodato una lunghissima panchina a
forma di serpente, per riprendersi nel gran tour tra una città e l'altra.
Alcune immagini dell'allestimento dei "Fondamentals" italiani, in "Monditalia", che Rem Koolhass ha allestito nelle Corderie dell'Arsenale.
Il tema dei "Fondamentals" italiani, che con "Monditalia" Rem Koolhass ha allestito nelle Corderie dell'Arsenale, coi suoi 41 piccoli contributi, che vanno dall'architettura coloniale in Libia alle scenografie di Cinecittà, dalle discoteche della Riviera Adriatica
all'edilizia che ha seguito il terremoto dell'Aquila, dall'utopia di
Zingonia al sogno berlusconiano di Milano 2, il tutto unificato
dall'unica grande carta geografica del V secolo che ne percorre l'allestimento.
I padiglioni esteri si conformano al tema della mostra presentandone interessanti variazioni: qui sopra, a scendere, Francia (la casa di "Mon Oncle"- Jacques Tati: La Modernitè: Promesse ou Menace? Ricerca sul rapporto tra architettura e società, attraverso modelli culturali di metà 900, tra cui Jacques Tati e Jean Prouvè); Gran Bretagna (Greast Britain-A: Clockwork Jerusalem. Photo By
Andrea Avezzù); Finlandia (Finland (Pavilion Alvar Aalto): Re-Creation, Photo By Andrea
Avezzù; Giappone (Il Padiglione giapponese presentato a questa Biennale mostra il modo
vitale e variopinto con cui il paese ha cercato una propria
interpretazione architettonica del Moderno, sottolineando come
l’osservazione del mondo reale, con il contributo di una crisi
energetica, possa rigenerare i pensieri e le idee. Uno stimolo alla
nostra stagnante situazione culturale italiana); Turchia "Place of Memory", ricerca sulle modalità di percezione di alcuni luoghi simbolo della Turchia.
Il campanile di San Marco visto dall'isola di San Giorgio Maggiore, attraverso una installazione di Biennale Architettura (foto di Enrico Mercatali)
Enrico Mercatali
Venezia, 7 giugno 2014