ora Museo del FAI
(il Gioiello e l'Acqua Alta)
(il Gioiello e l'Acqua Alta)
Sopra e sotto al titolo il marchio Olivetti: quello esterno, a destra dell'ingresso, sapiente giustapposizione di materiali ferrosi e lapidei tra loro incastrati su sfondo dorato, e retroilluminati; quello interno, impresso nel cemento armato granigliato, è parte della fontanella a fronte dell'ingresso, che regala sonorità naturali appena dietro all'espositore principale del prodotto in ciclica esposizione: oggi, la Audit 513, macchina contabile superautomatica elettrica del 1959, progettata da Natale Capellaro e disegnata da Marcello Nizzol.
Sopra al marchio, sopra al titolo: Il "Gioiello e l'Acqua Alta", ovvero Show-room Olivetti e acqua alta in contemporanea, rendono difficoltoso ed a volte impossibile l'accesso. L'oggetto del nostro interesse si trova nel punto più basso della Piazza San Marco, dalla parte delle Procuratie Vecchie, ciò che la rende ancor più agognata e, per certi versi, perfino avventurosa meta.
Lo show-room Olivetti di Venezia, fin dalle originarie intenzioni del Committente, doveva essere, non un negozio preposto alla vendita dei prodotti della grande azienda eporediese, benzì un biglietto da visita aperto al mondo. Ecco perchè Adriano scelse, tra le altrte sedi nelle grandi capitali mondiali, la piazza San Marco a Venezia, quale luogo notoriamente esso stesso "vetrina italiana nel mondo", fortemente transitato da turisti stranieri e personalità d'ogni tipo. Ecco perchè, per la sua realizzazione, scelse il progettista veneziano più noto ed in vista di quel periodo, Carlo Scarpa.
Qui sopra, prima d'ogni altra considerazione, appare, nella sua piena e personalissima evidenza, l'oggetto-scala, quale significativo gioiello intrinsecamente paragonabile per bellezza, funzionalità e preziosità al prodotto Olivetti, ivi esposto. La scala è in effetti una potente griffe apposta proprio accanto al marchio di fabbrica. Essa, come ha ammesso lo stesso suo progettista, "è costata un mucchio di soldi, ma questo non doveva essere certo un problema per uno come Adriano Olivetti, in quel contesto".
Lo show-room Olivetti, commissionato da Adriano Olivetti a Carlo Scarpa nel 1957 e chiuso nel 1997 in un momento di particolare difficoltà commerciale della società di Ivrea, è stato restaurato di recente dal proprietario dell'immobile, Assicurazioni Generali, ed affidato alla gestione del FAI nel 2011 per poterne garantire l'apertura al pubblico in forma di piccolo museo di sè stesso.
L'opera ancora oggi appare interessantissima, soprattutto ai fini della conoscenza approfondita del suo autore, e dell'architettura italiana e mondiale degli anni '50. Il direttore della rivista Casabella, Francesco Dal Co, l'ha definito "pagina tra le più luminose dell'architettura del Novecento".
Lo "show-room" (non il "negozio", come voleva Adriano Olivetti), nonostante la sua piccola dimensione, sia in larghezza che altezza, è dotato di ampie vetrine che prospettano sulla piazza san Marco dalla parte delle Procuratie Vecchie. Per l'esposizione in esse degli ultimi prodotti Olivetti (dal FAI, attuale gestore del piccolo museo, sono stati collocati i modelli in grande auge degli anni '50 e dei primi anni '60) Scarpa ha disegnato appositi ripiani in legno palissandro (visibili nella foto, e successivamente anche in dettaglio), sospesi mediante una sottilissima asta in acciaio, e resi stabili da leggeri distanziatori dalla base della vetrina stessa. Ne risulta un sistema espositivo, per l'epoca originalissimo, estremamente leggero e quasi invisibile, cosa che interessava assai all'autore per dare il risalto meritato al prodotto.
"Nudo al sole" (1956) è il nome della piccola moderna scultura in bronzo dorato di Alberto Viani che campeggia presso l'ingresso, lievemente poggiata sul filo dell'acqua, alimentata da una micro-fontana all'uopo predisposta, contenuta in una vasca in marmo nero del Belgio. Bellezza e levità, trasparenza e riflettenza, sono gli elementi richiamati da Scarpa in questo contesto, al fine di sintetizzare le qualità esposte. Scarpa aveva già allestito per Viani alcune sale in Biennale. E' noto inoltre quanto egli fosse attaccato all'acqua, che non faceva mai mancare, quale elemento vivo della natura tipico della sua città, in ogni suo progetto.
Il mosaico pavimentale "alla veneziana", qui sopra evidenziato nelle tre fotografie che ne mettono in risalto l'accurato dettaglio esecutivo, collocato proprio tra l'ingresso e la scala, è stato studiato da Scarpa in modo da porre in essere una tecnica storica, tipica el contesto veneziano, espressa secondo una moderna interpretazione, particolarmente vicina, in questo progetto, al paradigma compositivo adottato nello spazio, basato su un complesso sistema di intersezioni di linee ortogonali che, dal più minuscolo dettaglio, conduce sino alla stereometria di assieme mediante intrecci e sovrapposizioni il cui linguaggio sembra quasi un fatto occulto e imperscrutabile.
Venezia aggiunge ogni anno che passa musei a musei. Essa stessa è museo
nel senso compiuto del termine, cosa che del resto è di ogni agglomerato
urbano che ha lontane origini storiche. Ma Venezia lo è di più, in
quanto essa, più d'ogni altra, ha accolto nel suo ambito, in ogni epoca, differenti
creatori d'arte provenienti da ogni parte del mondo conosciuto,
stratificandone gli apporti. In essa il visitatore oggi può scindere una
componente dall'altra, differenziandone le griglie, studiandone le
parti, approfondendone le componenti. E' perciò distinguibile, ad
esempio, oggi, un itinerario contemporaneo da un'altro appartenuto ad
altri secoli. Oppure, secondo un altro esempio, è possibile seguire un
percorso tutto scarpiano, come infatti è stato possibile in questi giorni per chi si trovava nella Serenissima per una visita d'arte,
essendovi esposta tutta la sua produzione per Venini tra gli 1932 e
1947, all'Isola di San Giorgio, magari passando per la Querini
Stampalia, ove, tra l'altro, con la nuova addizione della Fondazione,
può essere sperimentata l'interpretazione di Mario Botta per la
precedente ristrutturazione scarpiana.
Qui sopra altri complessi elementi di composizione del dettaglio, capaci, da soli, di impreziosire la percezione dello spazio secondo punti focali di attrazione visiva. L'accostamento dei materiali adottati decodifica la complessità rendendo piacevolmente fruibili i diversi elementi formali: marmo di Aurisina, legno palissandro e teak africano, stucco veneziano, vetri satinati, cristalli molati, acciai trattati. Ogni elemento vive nel rapporto con gli altri in un assieme armonico che ne esalta la fruizione come fossimo immersi in un'opera d'arte totale, cui contribuiscono le forme, i colori, e perfino gli odori ed i suoni.
Vogliamo qui proporre, tra l'altro, una lettura del paradigma
progettuale di Carlo Scarpa, così come pure perfettamente verificabile
nello stesso show-room di Olivetti,
che è esso stesso un intreccio di differenti lingue, nei loro calibrati
passaggi tonali nel colore, di variamente elaborati applicazioni
matriche, talune puramente naturali altre frutto di innovative tecniche
di trasformazione, di concetti compositivi assonanti e dissonanti, dai
significativi riferimenti alla stratigrafia dell'evoluzione storica.
Qui sopra abbiamo voluto evidenziare come l'elemento della scala, dalle varie angolazioni che essa mostra all'occhio del visitatore, appaia sempre come una scultura, più che un elemento architettonico. In effetti, pur trattando questo spazio, Scarpa, come un fatto di pura architettura, egli tende a farne, sia in quanto contenitore che in quanto contenuto, un fatto di pura scultura. procedimento questo che è tipico della sua arte, e che lo ha contraddistinto agli occhi dei suoi contemporanei architetti. Non a caso la sua formazione è tutt'altro che accademica. Anzi, all'opposto, egli si è formato come art-director in numerose aziende di design e di moderno artigianato veneziano, prima di praticare architettura e mostrarsi particolarmente capace nel restauro moderno di edifici antichi.
Questa forse la sua più significativa lezione, che stenta oggi ad essere riconosciuta per la stragrande quantità di casi emulativi successivi,
che, dalle contemporanee imitazioni, ci portano all'evoluzione odierna
dei medesimi principi compositivi, ancorchè assai diversi in quanto
lingue, ma basati sulla medesima grammatica, che fu allora di portata rivoluzionaria. Show-room Olivetti ne è oggi più che mai testimone.
Qui sopra, una immagine del piano superiore dello show-room, ripreso in tutta la sua lunghezsa. Anche qui i toni chiari dello stucco veneziano, il legno palissandro, la distribuzione degli elementi luminosi artificiali, creano una trama delicata di linee disposte ortogonalmente tra loro secondo sequenze armoniche atte a dare il massimo risalto a pochissimi punti di esposizione dei prodotti. Ciò che questa foto non rivela, ma che ben avverte chi ne percorre gli spazi, è l'intersezione tra gli spazi orizzontali e verticali, che vedono questi ultimi attraversare entrambi i piani dello spazio, così rendendoli assai articolati e piacevoli da vivere.
Qui sopra due foto che evidenziano la leggerezza attribuita da Scarpa agli espositori in legno, sia che si trovino all'interno, sia che si mostrino in vetrina. Le macchine Olivetti selezionate dal FAI per l'esposizione in questo piccolo museo-gioiello sono: La "Lexikon 80" del '48, di Giuseppe Beccio e marcello Nizzoli, la "Lettera 22" del '50, degli stessi autori, la "Studio 44" del '52, di Marcello Nizzoli, la "Lexikon 80 elettrica" del '55, di Beccio e Nizzoli, la "Summa 15" del 49, di natale Capellaro e Marcello Nizzoli, la "Divisumma 24" del 56, di Capellaro e Nizzoli, la "Multisumma 22" del 58, degli stessi autori della precedente, la "Elettrosumma 22" del 58, degli stessi autori, e la "Audit 513" del 59, degli stessi autori (tutti prodotti esposti anche al MOMA di New York).
Enrico Mercatali
Venezia, 7 novembre 2012
(fotografie di Enrico Mercatali)
aggiornato L'11 Aprile 2014