"La Sequenza"
di Fausto Melotti
ad Hangar Bicocca - Milano
di Enrico Mercatali
di Enrico Mercatali
La scultura era stata già esposta al Forte di Belvedere di Firenze e nel parco di Villa Arconati a Bollate (Mi)
La monumentale scultura "La Sequenza", di Fausto Melotti (1901-1986), artista milanese di fama internazionale, dopo un attento restauro svolto sotto la supervisione dall’archivio Fausto Melotti e con la magistrale consulenza di Arnaldo Pomodoro, è stata resa nuovamente fruibile al pubblico ed esposta nell’area giardino realizzata all’ingresso di "Hangar Bicocca", lo spazio espositivo recentemente dato alla luce a Milano nell'area Bicocca.
La Sequenza è una delle opere più significative che l’artista ci abbia lasciato, testimonianza della sua lunga e complessa ricerca formale basata su una conoscenza profonda della storia e sui naturali rapporti armonici e linguistici che la pura forma sa derivare e interagire dalle esperienze musicali.
Realizzata nel 1981 è un’opera monumentale, lunga 22 metri, alta 7 e larga 10. E’ composta da una serie di lastre di ferro verticali e scalate in profondità su tre piani ondulati che richiamano, in una tensione al movimento, lo scorrere delle dita su una tastiera musicale. La scultura era già stata esposta al Forte di Belvedere di Firenze e nel parco di Villa Arconati a Bollate.
Siamo stati a visitare l'Hangar Bicocca a Milano, mega spazio espositivo realizzato nell'area della Bicocca, presso i nuovi edifici realizzati da Vittorio Gregotti, ed inserito nell'ambito di Progetto Bicocca quale oggetto industriale interessato da recupero.
L'Hangar al suo interno, oltre al gigantesco spazio espositivo, che si suddivide in due spazi di diversa altezza, ha un book-shop ed uno sp'azio bar-tavola calda.
L'esterno è stato sistemato a giardino, dotato sul davanti di un ampio parcheggio. Il giardino, specie nella sua parte anteriore, consta di diverse specie arboree di notevole effetto scenico, nella sua semplice e moderna sistemazione. Al centro vi domina la grande scultura in ferro, inusuale nelle sue dimensioni per il Maestro, ma non nelle sue partiture geometrizzanti e perfettamente armoniche, di grande effetto plastico e scenografico.
A noi è apparso da lontano come uno sterminato reperto megalitico, dallo straniante, affascinante connubio con le presenze paleoindustriali e le moderne figure architettoniche del contesto. Un mix il cui clima metafisico è stato ed è capce di dare ragione all'idea melottiana d'armonie surreali anche casuali, nate dalla materia reale per farsi surreale nella visione che la luce, i riverberi, i colori e l'atmosfera che il contesto mutevole ingenera per caso in infinite varianti.
Fausto Melotti nasce a Rovereto, città dell' Impero austro-ungarico, dove aveva frequentato la Scuola Real Elisabettiana, ma allo scoppio della prima guerra mondialesi trasferisce a Firenze dove porterà a termine gli studi liceali. Nella città toscana Melotti, in possesso di qualità espressive naturali e di una manualità molto pronunciata, entra in contatto con letterati e artisti d'avanguardia e ha la possibilità di osservare da vicino le opere degli artisti del rinascimento fiorentino quali Giotto, Simone Martini, Botticelli, Donatello, Michelangelo. Essenziali furono poi i suoi rapporti con la città natale, e con il fervente panorama culturale che animava Rovereto in quegli anni: lì vivevano Fortunato Depero, l'architetto Gino Pollini - tra i fondatori del razionalismo italiano grazie al gruppo 7 -, il famoso compositore Riccardo Zandonai e altri. Successivamente si laureò al Politecnico di Milano in ingegneria elettrotecnica. Dopo vari studi musicali decise di dedicarsi alla scultura: studiò prima a Torino nello studio di Pietro Canonica, poi, dal 1928 all'Accademia di Brera di Milano, sotto la guida del grande scultore milanese Adolfo Wildt. Lavorò alla Richard Ginori con l'amico Gio Ponti.
Il suo stile muta negli anni seguendo però sempre una sua personalissima ricerca, tesa ad articolare lo spazio secondo ritmi dal sapore musicale; così anche le sue sculture più tradizionali legate a Novecento, come l'opera in gesso presentata alla V Triennale di Milano del 1933, o le sculture preparate tra Roma e carrara nel 1041 per l'Esposizione Universale dell'Eur di Roma, sono piene di quel suo particolare amore per la poesia dei materiali. Evidenti quindi i suoi legami con Novecento, con l'arte Metafisica, ma soprattutto con il Razionalismo e con gli artisti legati alla Galleria il Milione di Milano, Lucio Fontana su tutti. La sua scultura avrà sempre più un carattere mentale, e contemporaneamente subirà una sintesi, nei modi e nei materiali: ceramica o gesso, teatrini polimaterici, ma soprattutto le sue leggerissime sculture in acciaio, saranno intrisi di una vena surreale e ironica. Fino alle estreme conseguenze nei lavori seguiti al riconoscimento ufficiale che verrà solo nel 1967, grazie ad una mostra a Milano. Insegnò e diresse anche la Regia Scuola d'Arte di Cantù, ora Istituto Statale d'Arte I.S.A. Cantù.
La sua era una scultura fatta di elementi lineari e geometrizzanti dai quali era esclusa, come da lui esplicitamente dichiarato, ogni "modellazione" in favore id una assoluta purezza formale ( e non è escluso che a tale ricerca di una misura e di un ordine razionali abbiano contribuito la sua laurea in ingegneria e i suoi studi di musica).
Si dedicò intensamente anche alla ceramica, raggiungendo esili di raffinatissima qualità (Lettera a Fontana, 1944, Milano, coll. priv.) e realizzò, già a partire dal 1931, la serie dei Teatrini in terracotta colorata e polimaterici (Il sonno di Wotan,1958, Trento, Mus. d'Arte Mod. e Cont.).
Ma è dal '70 , cioè quando era prossimo ai settanta anni, che pur senza contraddire ai suoi principi di occupazione armonica dello spazio dell' astrattismo, che liberò una autentica e inconfodibile vena poetica con delle fragili e aeree costruzioni fatte di sottili fili di rame, di trasparenti retine metalliche, di mobili straccetti di garza e dai significanti titoli come ad esempio Il Vento nel capanno, Il suono del corno nella foresta, La luna e il vento, La Neve.
La vastissima produzione di Melotti è stata sempre animata da una doppia, ma non contraddittoria tensione: da un lato verso la forma allusiva, simbolica (L'autoritratto, 1962, Milano, coll. priv.; Il suono del corno nella foresta, 1970, Milano, Coll. Mulas), dall'altro verso l'invenzione ritmica e strutturale (A piombo, acciaio, 1968; Arte del contrappunto plastico n. 1, acciaio, 1970).
Le sue creazioni sono di incantevole grazia dove la scultura, se di questa ancora può trattarsi, o non piuttosto, l'"antiscultura", diviene gioco calcolatissimo di parvenze e di spazi, sorridente e talvolta lievemente ironico; ma "un gioco - come afferma Melotti - che quando riesce è poesia".
Complessa personalità artistica, Fausto Melotti (Rovereto/TN 1901 - Milano 1986) ha percorso un lungo e ricco cammino culturale che ha per tappe fondamentali Firenze, Torino, Milano e naturalmente la sua città natale.
La sua formazione ha inizio, come ha precisato Giuseppe Appella (in Fausto Melotti 1901-1986, Roma - Milano 1987, pp. 11-19), a Firenze dove porta a termine gli studi liceali avendo lasciato Rovereto allo scoppio della prima guerra mondiale.
A Firenze, città di cultura europea, lavorano numerosi artisti e letterati d'avanguardia, ma soprattutto sopravvivono testimonianze storiche e artistiche del passato: Melotti ha la possibilità di ammirare nei musei fiorentini le grandi opere d'arte dei maestri italiani quali Giotto, Simone Martini, Botticelli, Donatello e Michelangelo.
Carlo Belli (1903-1991), che lo raggiunse tempo dopo, ricorda che il cugino, molto maturato, gli trasmise lo spirito di quella città. Un giorno al Museo del Bargello egli riuscì a fargli comprendere il San Giorgio di Donatello: " 'Vedi che silenzio circola intorno ad essa'. Rimasi folgorato. Accepivo il concetto di silenzio come potenza nella scultura". E ancora dopo tanto tempo, Carlo ritiene che per loro adolescenti quello fu "un soggiorno formativo ... asse fondamentale attorno al quale si metteranno in rotazione le nostre prime acquisizioni umanistiche".
Il biennio trascorso in un'altra città toscana come Pisa, permette al giovane Melotti di assimilare lo spirito delle notevoli opere architettoniche, delle sculture romaniche e gotiche (Nucola e Giovanni Pisano), contemporaneamente ai corredi preziosi del Medioevo (capitelli e rilievi, mosaici e smalti, tessuti e avori). Tutto un mondo iconografico e stilistico che affiorerà qua e là nelle sue ceramiche smaltate e nei suoi teatrini.
E' soltanto dal 1919 che si può senz'altro affermare avvenga la piena integrazione di Melotti nella vivace vita culturale della sua Rovereto "ricca di luci vive". Città al tempo famosa per aver dato i natali al filosofo Antonio Serbati Rosmini (1797-1855), del quale i concittadini leggevano le opere quasi per dovere, e a due personaggi "europei", che di fatto i giovani di allora non conobbero direttamente, il pittore futurista giramondo Iras Baldessari e il poeta decadente Lionello Fiumi.
Belli racconta con orgoglio che i giovani roveretani spinti da una voglia di rinnovamento, volevano "rifare il mondo" a modo loro, evitando però la solita protesta che appunto caratterizza i ragazzi, sfruttando invece la "fantasia" erano sempre alla ricerca di trovate geniali che potessero generare scalpore nell'opinione pubblica.
Melotti stesso in qualche intervista ricorda con entusiasmo le numerose personalità che vivevano nella sua città e ne facevano un centro all'avanguardia in numerosi campi intellettuali: nelle arti figurative, nell'archeologia, nella musica e nella letteratura. Primo fra tutti il futurista Fortunato Depero (1892-1960), il già maturo architetto e pittore M. Sandonà, l'architetto G. Tiella, i futuri architetti A. Libera, G. Pollini e L. Baldessari, M. Untersteiner luminare della filologia classica, l'archeologo F. Halberr, P. Orsi studioso della Magna Grecia, il poeta R. Prati, i letterati S. Branzi e C. G. Stoffella (che riforniva questi giovani artisti di testi, presi in Francia, di P. Valery, J. Cocteau, M. Proust e A. Gide), il famoso musicista R. Zandonai.
Molti di questi personaggi trascorrevano intere mattinate a discutere nel retrobottega della Farmacia Cobelli: vi partecipava quasi sempre Belli, mentre Melotti solo a volte per il suo carattere più ritroso; essi rimanevano incantati soprattutto dai racconti delle spedizioni degli archeologi Orsi e Halberr, dai resoconti dei loro scavi rispettivamente a Locri (Calabria) e nell'antica Creta e restavano suggestionati dai miti di quegli antichi popoli.
Anche dal punto di vista dell'educazione scolastica, Rovereto era all'avanguardia. E' particolarmente interessante ricordare che lì dalla seconda metà dell'Ottocento esisteva una "Scuola Reale" (denominata in seguito "Elisabettina"), frequentata anche da Melotti, dove si dava spazio alle nozioni tecniche e alle attività grafiche favorendo le attitudini artistiche degli allievi, e dalla quale si accedeva direttamente al Politecnico.
La prima esperienza significativa del giovane Melotti è comunque la frequentazione di Fortunato Depero, che a quel tempo era "entrato nella storia della pittura moderna, avendo a padrini Balla e Boccioni; pur compagno delle nostre folli serate lo consideravamo già un personaggio", e che soprattutto nel periodo compreso tra il 1919 e il 1924, si dedicò con passione al settore delle arti decorative.
Il manifesto Ricostruzione futurista dell'universo (1915) rivela con quanto entusiasmo i firmatari, Balla e Depero, si proponessero di creare una nuova realtà, introducendo nel quotidiano, degli oggetti in grado di "ricostruire l'universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente", trovando "degli equivalenti astratti di tutte le forme e di tutti gli elementi dell'universo stesso, poi li combineremo insieme, secondo i capricci della nostra aspirazione, per formare dei complessi plastici che metteremo in moto". Una componente fondamentale di tale dichiarazione è la volontà di servirsi di tutti i generi di materie e materiali (fili metallici e di cotone, stoffe, cartoni e vetri colorati, reti metalliche, specchi ecc.) per costruire i complessi plastici, purché essi mantengano un carattere appariscente.
Senza dubbio questo aspetto, congiunto al proposito dei due futuristi di imporre la creatività dell'artista a tutto l'ambiente dell'uomo, nello spazio urbano, nel costume in genere, impressionò i giovani di Rovereto, ai quali Depero seppe inoltre trasmettere la sua carica vitale, alimentata da una felice fantasia. Egli aveva costituito dal 1919 nella cittadina trentina una Casa d'Arte con il suo nome, sistemata l'anno seguente nei più spaziosi e luminosi saloni di Casa Keppel.
Si mette in moto la macchina della Casa d'Arte proprio quando Melotti torna a Rovereto più frequentemente, mentre inizia a studiare ingegneria a Milano.
Depero, che veniva aiutato dalla moglie nel suo laboratorio artigiano, incoraggiava i giovani che gli stavano accanto a intraprendere la strada delle arti applicate affinché esse potessero divenire degne compagne delle arti figurative in genere.
Con la manualità e per mezzo di materiali umili considerati allora 'antiartistici' - come è spiegato nel manifesto del 1915 - egli riusciva a esprimere tutto il suo linguaggio: uno stile sintetico e lineare fatto di colori forti campiti a zone, di forme geometrizzate a incastro, cariche di senso della dinamicità. In particolare nelle creazioni degli anni Venti è presente una valenza metafisica, come bene aveva individuato Carlo Belli in Kn (Milano 1935): "Depero dipingeva, senza saperlo, i più bei quadri metafisici prodotti da questo movimento. ... (Il corteo della gran bambola - La casa del mago - Città meccanizzata dalle ombre - Villaggio sconosciuto) visioni spettacolose di un naturalismo magico superiore allo stesso De Chirico. Il Depero militava più che mai allora nel futurismo, ma la Musa metafisica era nell'aria"; e come spiega più recentemente P. Fossati: "Depero era ... investito pure lui da una sorta di osmosi tra futurismo e musa metafisica, ... l'onda montante e sostanziale che impregnava l'atmosfera dinamica di Depero di una scenografia tesa e misteriosa è quella metafisica, e non era difficile smarrire i connotati del futurismo ormai sfigurato in essa" (in L'immagine sospesa …, Torino 1971, pp. 179-180).
L'aria metafisica che influenza le soluzioni di Depero, distaccandolo forse proprio a sua insaputa dagli altri futuristi, deriva probabilmente anche dalle sue esperienze in campo teatrale: egli infatti dipinge figure astratte tipo marionette, manichini, e le inserisce in spazi cubici colorati.
Secondo G. Marzari e P. Setti i giovani roveretani pur ammirando le novità estetiche di Depero (si veda ad esempio il già citato Kn di Belli) tuttavia "mostrano una sostanziale indifferenza per la produzione artigianale della Casa d'Arte", deducendo che "i temi folkloristici dei prodotti dell'arte applicata, deludono certamente chi come Belli, Melotti e Pollini ha proiettato i propri interessi in direzione dell'arte come avanguardia" (in Fausto Melotti, Luigi Figini, Gino Pollini, Renata Melotti, Rovereto 1984, p. 15).
Questa ipotesi sembrerebbe convalidata leggendo un'affermazione dello stesso Melotti, scritta in occasione della morte dell'illustre concittadino: "... laboratorio di cuscini e arazzi, nei quali - egli - disperdeva e volgarizzava la sua pittura", ma si deve pensare che lo scultore non si sta esprimendo con lo spirito di un tempo, ma da uomo maturo che guarda al passato. Eppure nello stesso articolo sembra trasparire una certa emozione nel racconto della preparazione della Veglia futurista che fu organizzata il 10 gennaio del 1923. Scrive infatti: "C'eravamo prestati tutti, lavorando a tagliare e incollare carte, cartoni colorati, a imbastire pupazzi, fiori, aggeggi che avrebbero frastornato la sale nelle quali ... l'intera borghesia del Circolo Italia sarebbe stata sottoposta all'elettroshock futurista".
E uno shock sicuramente lo ebbero le persone che intervennero al veglione, per i colori squillanti delle stanze e dell'arredamento, per le strane figurazioni (cavalieri galoppanti, enormi fiori) che coprivano le pareti, per le stalattiti fosforescenti di tanti colori (a forma di piramidi capovolte) che piovevano dal soffitto, e per l'originale trovata finale che vedeva gli organizzatori uscire improvvisamente vestiti da 'locomotive'. Un vero e proprio spettacolo teatrale con musica e luci che Melotti sembra ricordare con piacere rivivendo quello stesso coinvolgimento di allora. Per lui fu un impulso notevole partecipare a queste discussioni, ed operare in questi settori dell'arte applicata quando ancora non si era impegnato seriamente in alcuna attività artistica.
Nulla, però, può dirci se l'artista quando era a Rovereto, tra le varie arti decorative, venne a conoscenza della tecnica della ceramica, ma partire da un periodo così remoto è estremamente importante, in quanto ci permette di inquadrare l'ambiente culturale roveretano, e di capire quali pensieri il giovane Melotti avesse potuto maturare sull'arte.
E' a Torino, dopo una permanenza di circa tre anni (1925-27), che Fausto Melotti impara il mestiere di scultore seguendo gli insegnamenti dello zio Carlo Fait (1877-1968) che lavorava presso lo studio del famoso Pietro Canonica (1869-1959), e contemporaneamente frequentando l'Accademia Albertina. Egli non ricorderà, negli anni seguenti, con piacere questa esperienza perché giudicata priva di un reale valore artistico; essa fu però ugualmente importante se non altro perché determinò la scelta di dedicarsi seriamente alla scultura.
Quando Melotti, già laureato, si stabilisce a Milano (1928), dopo la breve parentesi torinese, decide di seguire definitivamente quella che era la sua inclinazione.
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Milano, 26 luglio 2011
Testo e Foto di Enrico Mercatali
(dedico queste fotografie a Maria Elena)
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