THE MAGAZINE OF THOUGHTS, DREAMS, IMAGES THAT PASS THROUGH EVERY ART OF DOING, SEEING, DISCOVERING

31 October 2010

Giorgio Sambonet - Intervista esclusiva di Eliana Frontini per Taccuini Internazionali


Taccuini Internazionali, collateralmente all'articolo di Enrico Mercatali sul design del casalingo italiano nel Distretto dei Laghi, pubblicato questo stesso mese, e a quello su Roberto Sambonet, in preparazione per novembre, propone ai suoi lettori questa bella intervista ad un altro grande protagonista del design piemontese, Giorgio Sambonet.Abbiamo ritenuto utile unire i tre diversi scritti, orientati tutti a mostrare alcunie tra le espressioni più alte del design italiano, intanto perchè marchiati dal "fare piemontese", ma poi anche per essere parte integrante di quella vocazione al costruirsi in fabbrica, come parte integrante di esse, che segna in prima misura l'essenza del suo stesso germinare come idea d'un processo seriale che non potrà che diventare oggetto d'una produzione su vestissima scala.Vi proponiamo questa intervista, avvenuta nell'abitazione stessa del Maestro, anche per la sua intrinseca freschezza e spontaneità d'approccio alla natura del suo oggetto, artistico, sociale ed umano al contempo, che in questo, e di questo, Eliana Frontini ha saputo offrirne il tratto più vero.

GIORGIO SAMBONET

Una intervista esclusiva rilasciata ad Eliana Frontini


“La vera vita, è il ricordo che lasciamo di noi”. Così esordisce Giorgio Sambonet, nell’intervista forse più coinvolgente e bella, davvero bella, che ho fatto nella mia oramai quasi ventennale esperienza di giornalista.
Le domande che gli potrei fare sono moltissime, ad un uomo che ha diretto per 38 anni una delle più grandi fabbriche di casalinghi d’Italia, che, dal 1946 ad oggi, ha pubblicato 285 titoli, per un totale di 10250 pagine stampate, alcuni dei quali editi da case di prestigio come Sperling e Kupfer, Neri Pozza Marietti, Sandro Maria Rosso, Interlinea, San Marco dei Giustiniani.

Entrare in casa di Giorgio Sambonet significa varcare la soglia di un mondo di sogno. Centinaia di opere mi guardano, appese ai muri, appoggiate ovunque, poste perfino sul pavimento. E il grande, grande Giorgio Sambonet comincia a parlare, a raccontare storie, e incanta con le sue favole di vita assolutamente vissuta.
Cosa chiedere a quest’uomo che è designer, direttore d’industria, artista, poeta e chissà quante altre cose? Navighiamo a vista, le domande verranno.“Nel 1956, quando fui nominato amministratore delegato della ditta, questa era dislocata su 500 metri quadri e aveva 120 operai. Quando l’ho lasciata, nel 1985, aveva 360 operai e 14.000 metri quadri di stabilimento” esordisce Giorgio Sambonet.

“Da tre anni vado a dormire alle 20.30, e mi alzo alle 4.30 del mattino” … si direbbe che difenda la sua vecchiaia con l’ironia.


Ecco il primo aneddoto:

“Scalzo e senza mutande, mi metto qui a questo tavolo e realizzo. Scrivo. Creo immagini. Assemblo, ritaglio, incollo. Una mattina non avevo più vinavil. Mi guardo intorno quasi disperato, ma trovo solo un tubetto di super Attak. Ne metterò solo un puntino, mi dissi, intanto aspetto, arriverà giorno. A mia insaputa, però, l’Attak, appoggiato malamente al bordo del tavolo, stava gocciolando sul pavimento. Dopo un quarto d’ora feci per alzarmi, ma niente da fare: l’Attak aveva incollato il mio calcagno al pavimento. Mi sorse spontanea una domanda: cosa fa un cavaliere del lavoro di 84 anni scalzo e senza mutande col calcagno incollato al pavimento?! Non potevo chiamare il 118… poi mi venne in mente una frase di Leonardo, che senz’altro aveva pensato per altri fini, ma che in quel momento mi parve calzasse a pennello: Tu, o Iddio, tutti tuoi beni li concedi per fatica.Allora… faticosamente… tramite microstrappi riuscii a liberarmi il piede… lasciando una bella fetta di pelle attaccata al pavimento… per tre settimane camminai zoppo… applicando una delle più belle invenzioni della mia vita: lo scoccopalato. Camminavo schioccando la lingua a ritmo del passo zoppicante, lasciando che le persone che mi incontravano pensassero ciò che volevano…”


Della sua personalità così sfaccettata, facciamo parlare prima di tutto Sambonet imprenditore. Qual è stato il suo più grande affare?La fornitura dell’albergo presidenziale di Washington : 2500 camere, 7 ristoranti… e io, italiano di Vercelli, chiamato dall’International Hilton a fare un’offerta. Mi venne un’idea geniale. Tra le altre cose, dovevo fornire anche il preventivo per 97 enormi scaldavivande. Si trattava di stabilirne il prezzo. Non sapevo proprio che cifra mettere perché in Europa non esistono. La lasciai in bianco. Era la cosa più importante. Misi… “Lambretta price”, cioè, il prezzo di una Lambretta. Quindici giorni dopo venni convocato dal Presidente dell’Hilton e della TWA.
Come ufficio, aveva una stanzetta vuota come la cella di un monaco. Notai la foto di un yacht sulla sua scrivania. Gli dissi, “di quella barca d’altura ce ne sono in giro tre esemplari. Vedo con piacere che una è sua. Un’altra, è mia”. Ci demmo subito del tu. Parlammo per mezz’ora di oceani, di mari e di pesca… alla fine mi disse: “ma che cosa sei venuto fare qui?”, ed io: “mah, mi avete chiamato, per una questione di prezzi …” e lui, battendosi la mano in fronte, “è vero, il Lambretta price! Perché?” Ed io: “per lasciarti la possibilità di scegliere tra un costo di fabbrica ed un prezzo sdoganato e consegnato al cliente”. E lui: “ah, ma…” ed io: “era il solo modo per arrivare da te!”

Ebbi l’ordine, e il prezzo impostomi era quello più alto.Qualche mese dopo partirono sette vagoni di argenteria da Vercelli, destinazione Washington. Mio padre, con la vecchia madre, andò a vedere partire il convoglio, e quando il treno si mosse, si tolse il cappello, in segno di rispetto.
Veniamo a Sambonet poeta… il primo premio letterario?

A 18 anni, quando mi iscrissi al Politecnico, feci voto di non scrivere più poesie fino a 46 anni, perché volevo dedicarmi al lavoro. Allo scadere del 46° anno, era il 1967, era un giovedì di festa, la fabbrica era vuota, e io avevo un ginocchio rotto.
La mia vita era la fabbrica. Sentivo le campanelle delle suore … la mia fabbrica era monastica. Ho sempre sostenuto che la faciada l’è di cujon.. Scrissi allora la mia prima poesia, “La fabbrica”. La poesia andò in mano ad un assessore e in capo ad un paio di mesi a Giannessi, critico della Stampa e titolare della cattedra di letteratura a Milano. Vado a casa sua, Giannessi legge per un quarto d’ora, zitto, e io… stavo malissimo! Poi, a gran voce, chiamò la moglie: “Gina portaci due cognac!” e poi disse: “Dio mi fulmini se non è vero, non ci sono in Italia, oggi, dieci poeti come lei”.Un mese dopo, con la poesia religiosa “Non c’è altro Dio” vinsi il premio letterario Lerici Pea. Su 1240 concorrenti per la poesia inedita. Valentino Bompiani mi scrisse un telegramma di congratulazioni: “Bravo, bravissimo”!!!… e con una poesia religiosa!”
A quel tempo vivevo all’Elba, in una catapecchia senz’acqua, in mezzo ai rovi, e non facevo altro che scrivere. Ricevetti un telegramma: “Comunicati vinto Lerici Pea – Stop – Assunto informazioni – Roba seria – puoi accettare – papà”.

Al Castello di Lerici Raphael Alberti mi consegnò l’assegno da un milione, Alberto Lupo recitò la poesia. Mio padre commentò: “Carmina dant panem!” (“allora la poesia può dar da mangiare!” n.d.r.)
Qual è stato il suo primo libro pubblicato?

Giannessi era molto amico di Montale e di Buzzati ed io un giorno gli portai una storia d’amore tra un sasso e una radice, due oggetti che avevo trovato su una spiaggia a Stintino, in Sardegna. Radice e sasso erano incastrati, e io ho scritto due libri, quattordici liriche che il sasso scrive alla radice ed altre quattordici nelle quali la radice risponde al sasso. Quando Montale le lesse, volle scrivere la presentazione. E mi regalò il suo Diario della Versilia, in originale, con i disegni fatti col caffè e col burro cacao, col rossetto, col caffelatte, con quello che trovava… io ero una delle cinque persone che poteva entrare in casa di Montale, in via Bigli, a qualsiasi ora.
E conobbi la Gina, la fantesca di Montale, che voleva sempre parlar di pentole.
In casa di Montale non c’erano libri né quadri, solo portacenere colmi di mozziconi di sigarette. Unica nota di colore, un’upupa imbalsamata sulla testata del letto. Eugenio (ma il suo vero nome era Eusebio!) non parlò mai con me di poesia, tranne una volta. Tutte le mattine mi prendeva a braccetto e voleva che andassimo per i prati. Era vecchio. Ad un certo punto si fermava e si metteva a cantare Verdi o Puccini. Il suo sogno sarebbe stato essere un baritono.
Montale una sera a casa di Neri Pozza, comune editore, ad Asolo, a cena, presenti Andrea Zanzotto e la moglie, a bruciapelo mi chiese: “Cosa pensi della mia poesia?” Risposi… e ebbi fortuna. Ricordavo a memoria alcuni suoi versi: “la mia venuta è testimonianza di un viaggio che scordai. Giuran fede queste mie parole ad un evento impossibile e lo ignorano”. Non parlammo più di poesia, fino a Saint Vincent. Nella sala che ospitava le grandi litografie ricavate dal “Diario della Versilia”, davanti a giornalisti di tutto il mondo, scendendo le scale mi indicò col dito a tutti ed esclamò: “Oh, Sambonet…” e girando lo sguardo sugli astanti, aggiunse: “un poeta d’acciaio inossidabile, gli altri faranno la ruggine”.
Io mi offesi, e, dopo la cena, ero al suo tavolo, assediato dai curiosi, feci buon viso a cattivo gioco, ma da allora non tornai più in via Bigli.
E mio padre, quando seppe del perché, mi disse… “Sei un cretino! Ti ha fatto un grande complimento!” (mio padre pensava a quell’inossidabile… ed io ad un tegame!).

Quando mi nominarono Cavaliere del Lavoro, Cossiga mi disse: “non so se complimentarmi di più con lei per le sue posate o per le sue poesie”.
Sambonet artista. Ci racconta della sua prima mostra?

Era il 1978. Io non avevo mai fatto mostre prima, neanche a Vercelli. Ma ho sempre disegnato.
E’ capitato che dovessi andare in America a presentare i miei prodotti. Prima partimmo mio figlio Giulio ed io, poi saremmo stati raggiunti dai miei collaboratori, era un viaggio di perlustrazione. Arrivammo di domenica, c’era un tempo infame.
Arriva una telefonata dall’Italia, l’aereo con i miei collaboratori, a causa del maltempo, non sarebbe arrivato che martedì. Mio figlio aveva portato due voluminose cartelle di disegni e tempere mie da mostrare – su loro invito – ai nostri amici e clienti americani. Lunedì mattina vuota, gran pioggia.
Che facciamo? Io dissi a mio figlio: “telefona al Guggenheim, e chiedi del direttore”. Mio figlio era stupito. Io insistetti, “telefona, e fatti passare il direttore. Devi dirgli, che, come gli antichi Greci andavano a Roma a far vedere le loro opere, così tuo padre presenterebbe le sue opere al direttore del Guggeheim”. Rispose il vicedirettore, mister Jackson: “Oggi è lunedì, il museo è chiuso” e mio figlio: “papà, lunedì è chiuso, il museo. Propone martedì”, e io: “digli che martedì non possiamo, perché dobbiamo andare in giro a vendere pentole”. “Venite allora oggi alle 2, ma passate dal portone dietro, vi aspetteranno due uscieri”. Ci andammo puntali, ed entrammo nel museo. Si stava allestendo una grande personale di Lucio di Fontana. Mister Jackson guardò i disegni per quaranta muniti, in silenzio… alla fine, esclamò: “E poi, dove andate?” “Ad Atlanta!” – “Atlanta?” e, preso un catalogo della Guggenheim in pochi minuti ci fece di suo pugno una presentazione per la Omny International Gallery, la più importante galleria di Atlanta.
Quella fu la mia prima mostra… durò un mese … ebbe un seguito, un altro mese a Washington… e un altro seguito ancora, al Rockfeller Center di New York, alla Rizzoli Art Gallery. Alla fine di questo itinerario confesso di aver avuto la tentazione di cambiare mestiere: avevo venduto 28 quadri.
I tre libri preferiti
“Alice nel paese delle meraviglie”, per la logica del non senso dietro ad una favola che non è per bambini, “I viaggi di Gulliver”, perché fanno vedere le cose da tutti i punti di vista, da quello della formica a quello del gigante, passando attraverso l’uomo, e “Don Chisciotte”, per l’entusiasmo nelle imprese più pazze e il saper entrare nello spirito divino delle cose, e per il buon senso e la pazienza di Sancho Panza.
Eliana Frontini

L'intervista è già stata pubblicata il 9 gennaio 2009 su "Nella Nebbia, rivista mensile con uno sguardo trasversale sull'arte" edito a Vercelli.

25 October 2010

Distretto dei laghi e design d'eccellenza

BBPR (Belgioioso, Banfi, Peressuti, Rogers): La Torre Velasca a Milano (1956-1958), alta 108 metri, nella quale vi si vedono ben distinte le parti ad uffici, quelle basse, da quelle residenziali, le alte. Qui sopra: la maniglia utilizzata per tutte le porte della torre, disegnata dagli stessi autori, e prodotta da Olivari, di Borgomanero, tutt'ora in catalogo

Distretto dei Laghi e design d'eccellenza


Il design italiano, soprattutto quello che più ha acquisito fama internazionale, deve assai a quanto proviene dalle fabbriche localizzate tra i laghi d'Orta e Maggiore.




 La caffettiera che Aldo Rossi ha disegnato per Alessi in tre versioni dimensionali, in alluminio e malamina, trae la sua iconica forma dalla cupola veneziana della "Salute", opera di baldassarre Longhena, qui nella foto, con antistante la chiatta che trasporta il "Teatro del Mondo", che Aldo Rossi realizzò per la Biennale Architettura del 1979


E' in quel territorio infatti, particolarmente, che la cultura locale del saper fare italiano ha assunto nel tempo dimensioni industriali internazionalmente note, anche e soprattutto attraverso la tradizione del moderno che più qui che altrove ha saputo trovare terreno fertile, la quale a sua volta è figlia d'una cultura che sa quanto conti il saper abbinare le capacità artigianali alle potenzialità dell'industria, nell'ambito d'un binomio inscindibile che è stato definito come "territorio del design".




Il vassoio che Bob Venturi ha disegnato per Alessi si ispira a Piazza Campidoglio in Roma, opera di Michelangelo. Qui nella foto con altri prodotti da lui stesso disegnati, sempre per Alessi,  in serie limitata. Negli stessi anni il grande innovatore dell'architettura, autore tra l'altro di "Architecture, complexity and contraddiction" che aprì la strada al postomodernismo architettonico, ha realizzato a Philadelphia (USA), questo ironico giardino pubblico


Proprio nell'ambito di questa piccola porzione di territorio piemontese interlacustre, esso ha preso vita nell'immediato dopoguerra ed ha sviluppato sino a noi le proprie radici, equidistante dalle valli montane dell'Ossola e del Rosa dalle citta pedemontane di Novara e Vercelli,  così come equidistante anche dai centri nevralgici del trasporto mitteleuropeo (Brennero, Gottardo, Bianco) e dalle grandi città del Nord Italia, Milano Torino e Genova, ed equidistante infine dai grandi aeroporti europei di Malpensa e Zurigo, che sanno collegarlo alle altre culture dell'intero mondo. Ad opera di pochi ma lungimiranti creatori, tali saperi si sono via via specializzati nella produzione dell'oggetto casalingo e nella creazione d'una idea di esso che trascendesse la pura funzione per acquisire più ampi significati simbolici. Michael Graves, notissimo architetto statunitense noto fra l'altro quale componente dei New York Five, ha disegnato per Alessi questo set per pepe-sale.


Grandi marchi industriali come Lagostina, Bialetti, Alessi, Olivari e numerosi altri sono divenuti nel tempo icone stesse di ciò che nelle case di tutti oggi appare come naturale, ovvio, e quasi scontato, di azioni quotidiane del fare casalingo, come quello di fare il caffè, aprire una porta, tagliare il pane, bollire l'acqua, ecc.Per Alessi (Omegna 1921) grandi firme del design mondiale ne hanno disegnato i prodotti ormai riconoscibili e ritrovabili ovunque nel mondo: Aldo Rossi, Alessandro Mendini, Richard Sapper, Ettore Sottsas, Michel Graves, Enzo Mari, Philip Stark, Robert Venturi, per non citarne che alcuni.

 Michael Graves, Humana Building a Louisville (Kentucky)


Che non sia più la forma a seguire la funzione, o che non sia più del tutto quest'ultima a seguire la prima, ovvero quale sia esattamente il predominio delle due sull'altra è divenuta nel tempo un dilemma tanto irrisolvibile quanto un inutile gioco, e tant'è stabilire che l'esatto equilibrio tra loro stia nel baricentro di tali sfere di pensiero e di ricerca. Ed allora oggi ci si pone la questione di quanta parte abbia la ricerca oggi di tale baricentro qualora si debba stabilire come muovere nella direzione del rinnovamento di questo settore nevralgico della produzione italiana, ovvero di interpretare al meglio i gusti del pubblico dei potenziali compratori di tale genere di merce.

 Alessandro Mendini, i cavatappi di Alessi


L'intuito sicuro e le capacità spiccate prima di Giovanni e di Carlo, e poi di Alberto Alessi, il fondatore e poi suo figlio e quindi il nipote della famiglia di industriali omegnesi del settore casalingo, hanno dato avvio al settore più vivo della tradizionale lavorazione dell'acciaio in tale ambito geografico, per portarlo, all'inizio del secondo millennio, alla più vasta distribuzione mondiale attraverso l'affidamento delle responsabilità direttive ed artistiche alle più note personalità internazionali dell'architettura e del design.


 Alessandro Mendini, Art Director Alessi, dominus dell'innovazione Alessi coniugata attraverso l'apporto delle più grandi firme mondiali dell'architettura, è anche autore del Museo di Groningen (Olanda), qui nella foto.


Nascono così oggetti capaci di affidare alla tradizionale funzione un'aura di grande rilevanza iconica, come nella famose caffettire di Aldo Rossi, i cui coperchi, diventano altrettante maquette della cupola veneziana della Salute, di Baldassarre Longhena, o del Teatro del Mondo, che lo stesso autore aveva realizzato in laguna qualche anno prima, evocando forme e modi della teatralità shachespeariana.In questo filone si innestano le giocose forme dei bollitori di Richard Sapper e di Michel Graves, semisferico il primo e conico il secondo, già presaghi delle sempre più ludiche forme future, fatte per rendere allegra, e possibilmente spensierata l'atmosfera domestica d'ogni cittadino del mondo.

Alessandro Mendini, Forum Di Omegna (VCO), sede tra l'altro di un piccolo Museo del Design con prodotti Alessi


Quindi, giocando tra riferimenti colti e di scherzosi aforismi, si dispiegano le forme più disparate per ammiccare tra ilo serio e il faceto. Bob Venturi disegna un vassoio bicromatico d'acciaio con i decori della michelangiolesca piazza capitolina, mentre Stefano Giovannoni azzarda a chiamare "merdolino" lo spazzolino del water, al quale imprime la forma di un vaso da fiori contenente una verde piantina. E così, un poco alla volta tutto diventa leggiadria e spensieratezza: il cestino del pane con le stilizzate figurine di bambini e bambine, le formaggiere diventano transatlantici con vistosi fumaioli, il cavatappi diventa una spiritosa figurina femminile e lo spremiagrumi un terribile androide-ragno.



Oliera e formaggiera disegnate da Ettore Sottsas per Alessi


Quest'ultimo, nato dalla matita di Philip Stark, è tuttora uno degli oggetti casalinghi più venduti al mond, e fa il paio con la ancor più famosa e tradizionale caffettiera Bialetti, nata nell'anno 1933 per la geniale intuizione di Alfonso Bialetti, industriale dell'alluminio, in forme ancora un po' decò a pianta esagonale. In seguito vi è stato aggiunto, come marchio, l'omino stilizzato coi baffoni, nato dalla matita di Paul Campani negli anni '50, che altro non è che l'effige del suo autore Renato Bialetti, figlio del fondatore dell'azienda (Crusinallo, Omegna 1919), che a tutt'oggi, ultraottantenne, può essere incontrato ai tavolini del Gigi Bar in Stresa. Oggi il 90% delle famiglie italiane possiede una caffettiera Bialetti. Ma oggi anche l'azienda originaria ha dovuto chiudere i battenti per la gravissima crisi che fin dagli anni 70 aveva iniziato a farsi avvertire, e che, dopo diverse vicissitudini ha portato alla vendita della stessa alla Società Faema e poi a gruppi esteri.

Ettore Sottsas, villa privata Holabuenaga, Maui, Haway, 1989-97


Ancora più antica l'azienda Lagostina (Omegna 1901) avvia le proprie produzioni nell'ambito degli articoli in acciao per la cucina, le sue famose posaterie ed il pentolame (ancora oggi esposto al MOMA di New York il famoso pentolame "Casa mia" in accio inox del 1934. Nel 1956 la sua prima pentola a pressione, realizzata in acciaio 18/10 di altissima qualità, viene esportata in ottanta paesi del mondo, facendo assurgere la sua azienda produttrice a leader mondiale indiscusso. Dagli anni settanta in poi la produzione vi viene diversificata in ragione d'un mercato sempre più esigente e concorrenziale portando l'azienda verso scelte basate fondamentalmente su criteri funzionalisti, da cui emerge tra tutti la famosa "Pastaiola", primo set squisitamente italiano, dedicato per intero alla cottura della pasta.



 Philippe Starck ha disegnato questo spremiagrumi per Alessi, icona di modernità, uno degli oggetti più azzeccati degli ultimi tempi, presente in quasi tutte le case d'America e d'Europa


Così come nei settori per la cucina, anche Olivari (Borgomanero 1911), leader della lavorazione dell'acciaio nell'ambito della maniglia, basa la sua fortuna su un catalogo che vanta le più grandi firme dell'architettura e del design, tra le quali ricordiamo, Luigi Caccia Dominioni, Vico Magistretti, Ignazio Gardella, Joe Colombo, Alessandro Mendini, Mercatali e Pedrizzeti, Oscar Tusquets, Marcello Nizzoli, Richard Sapper, Marcello Piacentini, B.B.P.R., Albini e Helg, Giò Ponti, ecc.


Philippe Starck ha disegnato "Motò 6.5 per Aprilia


Dobbiamo doverosamente dire che affianca queste grandi aziende del casalingo, che pur sempre fa parte della nostra regione anche se di una diversa provincia, la Sambonet di Vercelli, che manifesta però anch'essa, per questo, la grande specificità alto piemontese in tali produzioni, il cui altissimo livello in fatto di design, vi è altrettanto qui rappresentato dall'estrosa ma sobria genialità di Roberto Sambonet, che sarà oggetto d'un altro articolo che Taccuini redigerà tra breve.
Quello che maggiormente ci premeva di sottolineare, quale questione di grande rilevanza culturale, nelle note che state leggendo, è come, nelle nostre terre, dalle quali sono emerse e tutt'ora vi fanno spicco, le vocazioni di cui sopra, così profondamente ancorate alle radici mitteleuropee del Bauhaus, di gestaltica imprimitura, siano anche ancor più profondamente legate alla cultura del costruire architettura dall'alto fascino e radicamento ancestrale alla rappresentazione simbolica dell'uomo nella storia, che sa far emergere, sia pur dalle sue umili attività di agricoltore di risaie, i propri vessilli sulle alte cuspidi di raffinate quanto possenti basiliche. Ed è l'Antonelli il dominus dal cuore di pietra (vedi Sebastiano Vassalli), Alessandro Antonelli nato a Ghemme e "maestro di fabbricerie" in Novara e dintorni che, dalla pietra e dalla terra, disegna e produce capolavori frutto d'una elevatissima ambizione unita ad una altissima capacità.
E' da quella terra, come da quegli insegnamenti, che sono nati i grandi che oggi ancora producono ed esportano nel mondo le nostre icone, ed il sapere, ancorchè non più all'apice oggi delle tecnologie, ma certo ancora assai dello spirito e della creatività che vi emerge dal profondo.

Le immagini che sono state poste a corredo del testo, che si riferiscono ad oggetti della produzione del "Distretto del design", riferite ai singoli autori, riportano anche esempi di architetture riferibili alle stesse firme, a riprova che i segni sono frutto a volte, più che della pura e libera fantasia, soprattutto della riflessione profonda e della paziente interpretazione filosofica sui temi fondamentali della vita che molti di loro hanno affrontato.

Enrico Mercatali

06 October 2010

WIMU - WINE MUSEUM AT BAROLO CASTLE. “What there wasn’t there is now”



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WIMU-WINE MUSEUM AT BAROLO CASTLE
“What there wasn’t there is now”

On the numerous plasma screens on the walls of WI-MU rooms, beautiful images about wine theme alternated, showing both culture and style. This glass in which intense ruby red wine is poured, says:
"Eyes for seeing, a nose for sniffing, a tongue for pleasant tastes, a mouth for speaking and breathing. These are our knowledge’s resources" – Ippocrates.

In the tasting room, all the best vintages of the 200 wineries which produce Barolo in Barolo are exposed
WI-MU WINE MUSEUM, AT FALETTI CASTLE IN BAROLO: “WHAT THERE WASN’T THERE IS NOW”

The Wine Museum, called “Wi-Mu” has officially opened its doors to Barolo, with budgets and spread advertisement, great sponsorship and remarkable expectations of significant returns. On sunday the 12th of September 2010, the invitation was: “Get in the wine” !Finally
what was promised has happened, with popular and generous celebrations around the Castle’s walls, with shops and stalls full of local products, eating houses and restaurants stormed and a public coming from any part of Europe to partecipate, emotionally at least, to the event that had been far-back waited: “What there wasn’t there is now”.


Barolo Castle, seen from the small square beneath

Acrobats and dancers, small orchestras and jugglers, while in the inside the presentations - precluded to the public on the first day- were starting, made everything possible so that people in the narrow streets could rejoice at the beginning of a new era, in that edge of land which aspired to become a small paradise, for remarking how waited and festive the occasion was, for the starting of an event that had been rooted in history for ages and still expected a lot for the future, given the extraordinary qualities of its land and culture’s product, so exalted and appreciated all over the world, whose name is Barolo, excellent wine between the italian ones! Of course it is one of the best in the world, but it’s also really inimitable, because of the complicated essence of its origin, due to the wisdom of the ones who know its deepest secrets, and have rooted its knowledge in the ages and exalted it on the noblest tables which have welcomed and valorized it; but it is also due to the unique aspects and characteristics of the place, those hills in Langhe area so rich in sun and minerals, in clayey ground so wisely tilled, hard to be turned over but so mild to be ministered, whose particular climate closes in a single circle any other possible truth you would want to tell.


When we got intobarolo Castle, with our dossiers ready to be verified in every detail, we wereinformed of the fact that in those rooms anything possible had been done tosurround the Great Product with scenographies worth its name; in fact, they hadcalled one of the greatest names that today circulate in the world for talentand style, the swiss architect Francois Confino, who had already given a proofof his abilities in the Mole Antonelliana in Torino, with extraordinary and unusual preparations of the Cinema Museum, certainly very special even in interpreting the architectural masterpiece that Antonelli’s Mole is, created for being an israelitic temple.

The Silvio Pellico room, in the castel

But also in this Castle you could start breathing a richness of history and stories in a new way, and being between those walls, in those colours, in the delicacy of those few but wise touc
hes of style, immediately gave us the sensation that the event was being successful, that the goal was about to be reached, that the elegance and sobriety that reign over there were the real signature of the organization; it weren’t anymore the noisy and popular sides of the town festival to dominate, but a more intimate ritual, a more contained ceremony of inner concentration.


Although there were many people crowding its rooms, you could guess that the Museum’s arrangement had been thought for focusing the attention on the narrated theme, seen from the different perspectives that have made him such, following a totally sensorial and completely personal approach, an intimate way of foretasting its symbolic value, more than its banal reality of beeing a food, although a regal one.

Everything of thearrangements converged on it, like the historical efforts of cultivation(documented by beautiful historical pictures), the always more refinedproduction systems, the physical characteristics of the tradition’s places and tools, the cultural environment of its valorization, the su btle but univocal discrimination that has determined it as an excellence, the markets that have made it famous all over the world.

The noble Floor of the Castle still keeps and represents Faletti Family of
Barolo’s furnishing. The figures of Marquis Carlo Tancredi Faletti and his wife Juliette Colbert are represented and set to highlight the fundamental role that they’ve had in the creation of Barolo wine. But you can also see the figures of Silvio Pellico and Count Camillo Benso of Cavour, protagonists of italian Risorgimento, whose steps have rung out in these rooms, like the ones of Carlo Alberto and Vittorio Emanuele II, while the wine was already being produced all around, very wisely.
“These presences are fundamental in here because the birth of Barolo wine is a chapter of the same story, populated by those same protagonists”. That’s what you can read from some captions in those rooms.

The genealogich tree of the Faletti family, that owns the castle of Barolo

The entrance room to the Museum is crowded by life-size silhouettes of the people whom the pictu
res found in the Castle retracted. Each of them speaks with the voices of rural people, and tells the stories that knows… for example that “at the castle” they were preparing a big banquet for illustrious guests, and Barolo wine was poured out.


An english acrobat amused the public in the small square of Barolo, on the 12th of September 2010

And so here we are in front of the table really laid for that big banquet, with old crockery, and a stylish set up. Here are the guests of honour, who were, besides Count Camillo of Cavour, general Francesco Staglieno and the french oenologist Louis Oudart, Juliette Colbert and the many personages of Carlo Alberto’s court, illustrious guests at Racconigi castle, to whom Juliette had donated the famous "carrà" of Barolo wine, 325 barrels sent by Barolo Marquise (one for each day of the year, except for the fourty days of Lent, drawn by oxen to the court of Turin, in the general atonishment of citizens).

A glimpse of vineyards between the houses of an alley in Barolo

During the tour of the Museum, the period in which the Castle became site of Barolo College is narrated. The visitor is invited to take a seat, between the original furnishings, to attend the lesson of a “virtual” master, who teaches us old secrets and explains everything that we didn’t know about that wine.

The eventual tastings, in the cellars, let us come closer to that wine, not only virtually but sensorially, testing its aromas, odours and colours ourselves, and entirely savouring its fragrance.


A partial view from some windows in the big representation room on the noble floor of the castle. The repairs have conserved the beautiful brick vaults and have inserted a floor of staves made out of oak.


The fair approach to Carretta Estate of Piobesi of Alba and to Bruno Giacosa of Neive donated us really high pleasures of tasting. We also tried a “Barolo chinato”, which we had never tasted before.
It’s been a pity that we were alone, in this party, because a similar occasion imposed to be well-accompanied, for making it really joyful and complete.

One more destination, from today on, for the tourists coming from the area of great
Italian North-West lakes, and from the places in Piedmonte and on the mountains, between whom you can often find the desire of wine, of the intense approach to its hills full of historical and natural vigours, but most of all ready to give to the ways of taste the best accent, which marks more that anything else, the sense you must give to life.
And here is the long-awaited moment! “Prosit” !
Barolo, September 12th 2010
Enrico Mercatali
(Translation from italian by Penelope Mirotti - Pictures by Enrico Mercatali)

Published in Italian by Taccuini Internazionali