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03 November 2010

Una visita a Villa Necchi Campiglio, a Milano, opera di Portaluppi

Villa Necchi, quadro ad olio di Mario Sironi, nell'atrio di ingresso


Villa Necchi, fronte principale, col portone di ingresso tra il parco e la piscina
(foto di Enrico Mercatali)

Una visita a Villa Necchi Campiglio

Patrimonio del FAI, Milano, via Mozart




Villa Necchi, viale di accesso alla villa, dall'ingresso su via Mozart ai suoi spazi esterni di servizio
(foto di Enrico Mercatali)


In occasione della mostra di dipinti di Tullio Pericoli (ottobre-novembre 2010) ho visitato, giorni addietro, la Villa Necchi Campiglio nel centro di Milano, facente parte del patrimonio FAI, così realizzando un interesse che da tempo avevamo sviluppato (vedi anche nell'Archivio di Taccuini Internazionali, mese di Agosto 2010 "Architetture e interni portaluppiani milanesi sono le locations del film -Io sono l'amore- di Luca Guadagnino -2009, con versione in inglese Settembre 2010).



Villa Necchi, la piscina riscaldata si trova tra la casa, il parco e il tennis. Questo spazio esterno alla casa risulta oggi stesso totalmente invisibile anche3 dagli alti caseggiati circostanti, capace pertanto di garantire privacy ai suoi utilizzatori
(foto di Enrico Mercatali)


Devo dire che quanto abbiamo veduto è stato perfino superiore alle aspettative. L'accesso da via Mozart, col bel muro di cinta e la bella casa del custode, proprio di fronte al famosissimo palazzo Fidia di Aldo Andreani, di pochi anni precedente, il superbo Giardino, quasi un parco all'apparenza, per i magnifici esemplari arborei che vi campeggiano, la Villa, così apparentemente austera, anzi quasi sobria nelle sue linee essenziale, se non fosse per tutto quanto di essa si è potuto apprendere nel corso della approfondita visita, che ne avrebbe svelato l'uso di materiali di altissimo pregio, organizzati da una progettazione di livello sopraffino per l'acutissimo senso del dettaglio e dell'uso di tecnologie d'avanguardia. E poi la piscina, il suo perimetro con pergola, quinte di separazione del campo da tennis, la nuova cafeteria.

Il lato corto della casa con l'aggetto dell'elegante "giardino d'inverno"
(foto di Enrico Mercatali)


La villa appare perfino piccola, vista dall'esterno, tanto è immersa nel verde, ed oggi circondata dall'imponente edilizia milanese del novecento che la rende ancor più "unica" e così poco urbana, in quel ritaglio di terreno che essa era riuscita ad avere per sè, quale sottrazione, all'epoca del suo acquisto da parte dei Necchi, da una limitrofa proprietà Sola (oggi Istituto dei Ciechi), che affaccia anche su Corso Venezia. Piccola e semplice, anche per l'adozione, da parte di Portaluppi che allora era al culmine della sua carriera professionale, dei linguaggi del moderno, piuttosto che quelli della tradizione classica, allora ancora molto in voga (vedi ad esempio quanto avrebbe fatto in alcuni suoi interni l'architetto Tommaso Buzzi, chiamato dopo la guerra a "rivederne" alcuni decori e arredi, ispirandosi a modelli di "roccaille" forse richiesti dal committente, pur essendo egli, a sua volta, un eccelso artista capace di capolavori assoluti, ma che in questo caso decisamente sconfitto dal rigore del progetto originario).

L'area della piscina con lo sfondo costituito dal lungo pergolato in calcestruzzo, rivestito in marmo
Sotto: una visione prospettica interna al pergolato
(entrambe le foto sono di Enrico Mercatali)


I primi approcci ai dintorni del corpo di fabbrica principale non potevano deludere, proprio perchè facenti parte della regia complessiva degli spazi interni ed esterni cui Portaluppi si dedicò entro un quadro organico assai sapiente: la piscina, unica nel suo genere allora nel cuore della città, dalle dimensioni più appropriate ad una dimora suburbana che ad una cittadina, dettata dall'esigenza dei proprietari di condurre una vita fatta di mondanità e ricevimenti altolocati, era fin dalle origini capace di riscaldarsi anche alle alte temperature. Essa stava alla facciata principale della casa come quest'ultima stava al giardino con alberi d'alto fusto: con un solo sguardo le tre componenti entravano in un sol quadro, giustificando un ambiente nel quale ogni componente potesse fare da sfondo agli altri due.

L'ingresso principale della casa orientata verso il parco
(foto di Enrico Mercatali)


Così i proprietari della casa (i famosi produttori di macchine da cucire, esportatori in tutte le case del mondo dei loro ambiti prodotti) avrebbero potuto offrire ai loro ospiti, nel corso dei loro inviti, un quadro sicuro di forza e potere, uniti al buon gusto e alla capacità d'una penetrazione sociale di alto livello. Non a caso infatti essi, nel giro di pochi anni, forse anche proprio per effetto di tale biglietto da visita, da semplici industriali del pavese, riuscirono ad imporsi come i potenti della città, potendosi fregiare dell'amicizia di casa Savoia.

Sopra e sotto: La scala e la pensilina ellittiche conferiscono alla casa un segno forte
di inequivocabile essenzialità e di raffinata personalizzazione
(foto di Enrico Mercatali)


Numerose sono infatti le foto, negli interni della casa, degli appartenenti a tale famiglia, ospiti costanti in Villa Necchi, a partire da Umberto di Savoia, per giungere ai suoi figli Gabriella e Vittorio Emanuele (Gabriella, addirittura, poteva vantare nella casa un appartamento a lei esclusivamente dedicato che utilizzava nel corse delle sue numerose visite nella città lombarda).

L'angolo orientato verso il parco caratterizzato dai cristalli di grande superficie del giardino di inverno. Sia i serramenti che i raffinati frangisole esterni sono frutto di un attento studio funzionale che adotta tecniche estremamemte d'avanguardia
(foto Enrico Mercatali)

L'interno della Villa, devo dire, mi ha profondamente emozionato per l'impatto imprevisto con le sue proporzioni e le sue dimensioni, che quasi per nulla si sarebbero evinte dalla visione unicamente esterna della casa. In effetti, quella che dall'esterno appariva come una casa di due soli livelli, all'interno offriva generosamente 4 piani, di cui uno seminterrato, due piani principali ed un piano sottotetto quasi invisibile da fuori.

La meridiana orientata a Sud (foto di Enrico Mercatali)


Già l'ingresso principale è un locale quasi "smisurato", specie in altezza, ed esso mostra subito quanta importanza veniva data all'impatto psicologico su ogni ospite. Già in esso poteva subito misurarsi ogni potenzialità dell'edificio, fatto per stupire in ogni senso (non nascondiamoci peraltro il fatto che la nettezza delle stesse linee moderne, più di quanto facciano oggi, alle quali siamo abituati, quanto potessero fare allora che erano una grande novità).


La presenza d'un moderno ascensore, la presenza di una impiantistica termica ad aria di grande innovazione le cui griglie in ottone Portaluppi volle segnaleticamente sottolineare quale contributo tecnico alle scelte più globali di modernità.


Una distribuzione planimetrica agile ed articolata, priva di simmetrie ma piena di volontà funzionaliste: corpi scala separati ma dipendenti ai piani per proprietari ed ospiti e per il personale di servizio, locali destinati ad ogni funzione specifica della giornata e delle differenti occasioni, ben integrati con gli spazi di servizio, in cui ogni dettaglio potesse apparire ben organizzato e meditato, sia in termini comportamentali che psicologici:


sale per la conversazione, per la musica, per fumare, per lo studio, per il caminetto, per cenare, lo stesso giardino d'inverno dotato di doppie pareti vetrate con larga intercapedine per il ricovero delle piante durante l'inverno, dotazione di porte di sicurezza, serramenti di altissima fattura carpentieristica, scorrevoli e dotati di ferramenta originale studiata nel minimo dettaglio appositamente per la casa, sia esterna che interna.


Come in ogni architettura che si rispetti, di ogni epoca e paese, il meglio lo si può trovare nei locali di servizio, ove possono osservarsi da vicino tutti i segreti di una progettazione d'attenzione, al dettaglio d'ogni funzione, e dove i materiali usati, oltre che ad essere di bell'aspetto, devono rispettare standard di alta qualità in durevolezza e resa funzionale.


Anche qui infatti (come si può vedere anche nelle bellissime scene, e nel back stage, del film di Luca Guadagnino e di Tilda Swinton "Io sono l'amore", proprio in questi locali girato nel 2009) armadi ed apparecchiature d'ogni tipo, compreso un alzavivande tra il piano sotterraneo ed il retro della sala da pranzo, fanno da scenario per la favolosa collezione di bicchieri e stoviglie, e dell'argenteria di famiglia (Nel film, non a caso forse, si tratta d'un amore tra la padrona di casa ed il giovane e avvenente cuoco che armeggia in quella cucina con grande maestria).


Ai piani alti fa ancor maggiore sfoggio di sè la grande qualità dell'impianto distributivo disegnato da Portaluppi, ove nel famoso corridoio voltato a tutto sesto (anch'esso tanto "ribadito" nel film che ho più volte citato) le numerose porte, tutte uguali tra loro tanto da rendere un poco ossessivo il loro succedersi, per l'ingresso direttamente nelle camere o nei loro locali guardaroba, oppure nei guardaroba accessibili direttamente dal corridoio, vi si confondono in modo quasi ludico.
Entrano in scena qui numerosi "piccoli appartamenti indipendenti", distinati ai singoli membri di famiglia o ai loro ospiti, ove grandeggiano, primi tra tutti, i locali di servizio, i bagni, con i loro altissimi soffitti (così alti non siamo più abituati a vederne dopo esserci abituati agli standard odierni), le immense vasce da bagno, le gigantesche doccie ed i relativi apparati della quotidianità privata: lo spogliarsi, il vestirsi, il truccarsi, per le donne, ecc.
Ed anche qui, museograficamente, alcuni armadi oggi possono essere visti pieni di abiti di allora, delle signore, con le loro collezioni di borsette, di scarpe, di accessori vari che la mondanità dell'epoca suggeriva.

Un cenno infine voglio fare agli apparati decorativi che, specie nei locali del piano terra, Portaluppi sà dispiegare con dovizia d'abilità e passione. In essi si alternano, a seconda delle convenienze di rappresentanza, motivi geometrici molto moderni (quelli a losanghe, per esempio, sono assai simili a quelli da lui adottati, ad esempio, nell'imbotte del palazzo di Porta Venezia che prospetta sui Giardini Pubblici), a motivi veristi fatti d'una presenza delicata e pittorica, a volte perfino poco decifrabili, nei loro motivi simbolici o naturalistici, per l'estrema minuzia dei loro spessori e la piccola dimensione d'ogni elemento. Analoghe considerazioni posso fare anche a proposito delle pavimentazioni, dove la grande varietà dei marmi adottati, o delle essenze lignee dei parquett, osservano pur sempre un grande rigore d'impianto geometrico che li rende così assolutamente integrati allo spirito moderno che permea tutto l'edificio.

In aggiunta, o in parziale sostituzione, di alcuni arredi ed opere d'arte che ornavano in origine i muri dei locali della casa, possono essere ammirate oggi molte opere appartenenti alla collezione e al lascito Gianferrari al FAI, costituito da diecine di dipinti dei più grandi artisti italiani del novecento (Morandi, Boccioni, Carrà, De Pisis, Funi, Sironi, ecc.). Esse, non solo non interferiscono con le armonie complessive di quegli ambienti, ma anzi contribuiscono ad accrescerne una corretta lettura da parte dei visitatori.

La casa Fidia di Aldo Andreani, la cui realizzazione precede di poco quella di Villa Necchi, ne fronteggia il cancello di ingresso al parco, ed entra a far parte integrante dello scenario urbano visibile dagli appartamenti per gli ospiti, al primo piano della casa
(foto di Enrico Mercatali)


Vorrei consigliare i lettori di Taccuini Internazionali, che si apprestino ad una visita a questo gioiello del moderno nostrano, non da meno a mio avviso ai tanti ottimi esempi di moderno d'oltralpe, un giro anche negli immediati intorni della Villa, di via Mozart e adiacenze fino a piazza San Babila, per vedere i numerosissimi esempi architettonici di quell'epoca, e per poterne apprezzare la varietà e lo spirito, nel quale una erronea deformazione critica successiva ha voluto vedere un certo "stile fascista", ma che in realtà trattasi solo dell'uso di stilemi in voga a quell'epoca, o più semplicemente espressione di essa, che il dettame fascista ha talvolta aberrato in termini dimensionali, ma che non ha certo contribuito a determinare, o a fuorviare dai suoi forti legami con il clima internazionale che allora incominciava a parlare un linguaggio capace di accomunare i diversi paesi europei.

Milano, 3 novembre 2010

Enrico Mercatali

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